XII Dossier Caritas 2022 sul cammino sinodale

8a6adc27-3423-433a-9f63-8f701b9a0354Il cammino sinodale della Diocesi di Cagliari.
di Mario Girau
“Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”. Queste parole di Papa Francesco accompagnano e cominciano a entrare – a volte con comprensibile fatica – nella cultura dei laici e del clero delle nostre comunità. Il Papa ha invitato tutti i battezzati – soggetto del sensus fidelium, la voce viva del Popolo di Dio – a partecipare a questo processo sinodale iniziato a livello diocesano. Un’operazione di discernimento a vasto raggio, che richiede una diffusa capacità di ascoltare le voci di altre persone nel loro contesto locale, comprese quelle che hanno lasciato la pratica della fede, di altre tradizioni religiose, di nessun credo. Con particolare attenzione a quanti sono a rischio esclusione: disabili, rifugiati, migranti, anziani, poveri, anche attolici che praticano raramente o mai la loro fede. «Gesù insegna e manifesta il suo mistero per strada, in cammino. In tal modo – dice l’arcivescovo Giuseppe Baturi nella celebrazione d’apertura del l’iter sinodale diocesano – attiva un percorso di conversione, un cambiamento dei sentimenti e del pensiero che ciascun discepolo realizza nella profondità del proprio essere».
[segue]
L’indizione del Sinodo universale ha rappresentato per le Chiese in Italia l’occasione per dare seguito ad alcune indicazioni offerte da Papa Francesco negli ultimi anni. Già nel 2015, al Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze, il Pontefice parlò di “stile sinodale”, mentre nel 2019 tornò sul tema della sinodalità raccomandando di avviare un processo “dal basso verso l’alto, e dall’alto verso il basso”.
Uno svolgimento quasi obbligato dopo che la Commissione Teologica Internazionale ha approvato il documento sulla “La sinodalità nella vita e nella missione della chiesa”, dove è scritto:
«L’intero Popolo di Dio è interpellato dalla sua originaria vocazione sinodale. La circolarità tra il sensus fidei di cui sono insigniti tutti i fedeli, il discernimento operato ai diversi livelli di realizzazione della sinodalità e l’autorità di chi esercita il ministero pastorale dell’unità e del governo descrive la dinamica della sinodalità. Tale circolarità promuove la dignità battesimale e la corresponsabilità di tutti, valorizza la presenza dei carismi diffusi dallo Spirito Santo nel Popolo di Dio, riconosce il ministero specifico dei Pastori in comunione collegiale e gerarchica con il Vescovo di Roma, garantendo che i processi e gli eventi sinodali si svolgano in fedeltà al depositum fidei e in ascolto dello Spirito Santo per il rinnovamento della missione della Chiesa.
«In questa prospettiva, risulta essenziale la partecipazione dei fedeli laici. Essi sono l’immensa maggioranza del Popolo di Dio e si ha molto da imparare dalla loro partecipazione alle diverse espressioni della vita e della missione delle comunità ecclesiali, della pietà popolare e della pastorale d’insieme, così come dalla loro specifica competenza nei vari ambiti della vita culturale e sociale.
«Per questo è indispensabile la loro consultazione nel dare avvio ai processi di discernimento nella cornice delle strutture sinodali. Occorre dunque superare gli ostacoli rappresentati dalla mancanza di formazione e di spazi riconosciuti in cui i fedeli laici possano esprimersi e agire, e da una mentalità clericale che rischia di tenerli ai margini della vita ecclesiale. Ciò chiede un impegno prioritario nell’opera di formazione a una coscienza ecclesiale matura, che si deve tradurre a livello istituzionale in una regolare pratica sinodale».
Non è stato facile socializzare in poco più di tre mesi la decisione dell’Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana (maggio 2021) di far partire (ottobre 2021) il cammino sinodale per prestare orecchio a “ciò che lo Spirito dice alle Chiese”. Un percorso che si svilupperà in cinque anni, con un’articolazione in tre fasi: narrativa (2021-2022; 2022-2023), sapienziale (2023-2024) e profetica (2024-2025).
Nei primi due anni protagoniste sono quelle che un tempo si chiamavano “realtà di base”: cioè parrocchie, associazioni, gruppi e aggregazioni ecclesiali, ma anche singole categorie: è la fase diocesana. Praticamente una «consultazione del popolo di Dio», come indicato dalla costituzione apostolica Episcopalis communio di papa Francesco pubblicata il 15 settembre 2018 che “trasforma” il Sinodo dei vescovi. Si tratta della fase di ascolto “dal basso” della gente, operazione cara al Pontefice, principale novità introdotta dalla riforma del Sinodo dei vescovi voluta da Francesco.
La Segreteria generale del Sinodo ha inviato alle singole diocesi di tutto il mondo il “Documento preparatorio”, accompagnato da un questionario e da un vademecum. Lo stesso testo è stato consegnato anche ai dicasteri della Curia romana, alle Unioni di superiori e superiore maggiori, alle federazioni della vita consacrata, ai movimenti internazionali dei laici e alle Università e facoltà di teologia.
Organizzazione della fase diocesana nella Chiesa di Cagliari
L’arcivescovo Giuseppe Baturi nomina due referenti della consultazione sinodale – don Mario Farci, docente di Teologia e preside della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, e l’avvocato Silvia Piras – e una Commissione sinodale diocesana di 17 membri tra laici, presbiteri e consacrati, rappresentanti delle realtà ecclesiali presenti in Diocesi. La Commissione si insedia ufficialmente il giorno 24 settembre 2021. Nomine necessarie per mettere su binari del funzionamento l’anno pastorale 2021-2022 che, in sintonia con quanto richiesto dalla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, è dedicato all’ascolto e alla consultazione capillare del Popolo di Dio, inserendosi a pieno nel tracciato del Sinodo universale “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. In questo modo risulta possibile avviare una consultazione anche al di là del perimetro di coloro che si sentono membri della comunità ecclesiale, attraverso la proposta di un cammino spirituale di ascolto reciproco e di una sinodalità vissuta, sulla quale far leva per quella riforma che il Signore domanda continuamente alla sua Chiesa.
Il 21 settembre 2021 il vicario generale, mons. Ferdinando Caschili, “allerta“ i direttori degli uffici diocesani comunicando la costituzione di ogni “cellula curiale” in gruppo sinodale e invitandoli a rispondere ai seguenti interrogativi:
a) Chiedersi quali esperienze della nostra Chiesa particolare l’interrogativo fondamentale richiama alla vostra mente; 2 b) Rileggere più in profondità queste esperienze: quali gioie hanno provocato? Quali difficoltà e ostacoli hanno incontrato? Quali ferite hanno fatto emergere? Quali intuizioni hanno suscitato? c) Cogliere i frutti da condividere: dove in queste esperienze risuona la voce dello Spirito? Che cosa ci sta chiedendo? Quali sono i punti da confermare, le prospettive di cambiamento, i passi da compiere? Dove registriamo un consenso? Quali cammini si aprono per la nostra Chiesa particolare?
Il primo ottobre successivo il vicario generale scrive ai parroci indicando alcune piste di lavoro, “illuminate” da alcuni brani dell’ “Evangelii Gaudium”.
«Carissimi confratelli – dice mons. Caschili – qualcuno forse terrà nell’intimo del suo cuore una domanda: “C’era bisogno di avviare questo cammino sinodale?”. La risposta è certamente sì! A quale scopo? Per riacquistare la consapevolezza che tutti siamo corresponsabili del vangelo! Nell’Evangelii gaudium si legge: “Attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione. È comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario.
Però dobbiamo riconoscere che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la missione” (n. 28).
Nelle nostre comunità è necessario puntare ad uno stile pastorale integrato, integrale e inclusivo; integrato perché la visione ecclesiale non sia ancora letta per settori distinti, integrale perché non ci sono dimensioni a sé stanti ma si fa parte di una grande comunità inclusivo perché nessuno ne resti o si senta escluso».
Nella basilica di N.S. di Bonaria l’arcivescovo avvia ufficialmente il percorso sinodale
Il 17 ottobre 2021 nella basilica di N.S. di Bonaria l’avvio ufficiale del percorso, preceduto il 14 ottobre da un’assemblea diocesana. «Il cammino sinodale che oggi si apre anche nella nostra Diocesi, nella varietà dei suoi gesti e nella ricchezza delle parole […] deve poterci ricondurre – dice l’arcivescovo Giuseppe Baturi all’omelia della celebrazione inaugurale – all’essenza stessa della Chiesa, chiamata a vivere e mostrare al mondo la propria “diversità”: non vi si esercita il dominio sugli altri, ma il servizio per gli altri, secondo un amore senza misura, ad esempio di Cristo. La ragione di questa comunione è la stessa della missione: il lieto annuncio da offrire agli uomini è il riscatto da ogni schiavitù in forza della morte e risurrezione di Gesù Cristo. La fonte della comunione è la stessa della missione: la grazia e la gioia dell’incontro con Cristo. “Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita” (EG 49)».
L’arcivescovo cagliaritano ripropone alla sua Chiesa gli impegni derivanti dalle prerogative battesimali di ciascun cristiano: «La comunione e la missione esigono – aggiunge mons. Baturi davanti un’assemblea numerosa – la partecipazione di tutti i discepoli, secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno, nell’assunzione lieta e convinta delle fatiche e oneri che esse comportano. In questo coinvolgimento tutti i fedeli sono come ridestati, devono essere ridestati, nella loro intelligenza e affettività per l’edificazione della comunione e la credibilità ed efficacia dell’annuncio. Ogni discepolo è chiamato a contribuire alla vita della Chiesa in modo attivo e creativo, in ascolto reciproco e nel servizio vicendevole».

«Sento di dire – prosegue il nostro arcivescovo – che il primo esito di questo cammino che iniziamo è la ferma e lieta professione di fede della quale parla la Lettera agli Ebrei (4,14). Risuonano le parole del Concilio Vaticano II: “Tutto ciò che di bene il popolo di Dio può offrire all’umana famiglia, nel tempo del suo pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa è l’universale sacramento della salvezza che svela e insieme realizza il mistero dell’amore di Dio verso l’uomo… Il Signore è il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia d’ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni. Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti” (GS 45). Il cammino sinodale è in profondità adorazione del Signore presente nella storia. Egli è “l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e il fine”.. Sia la nostra gioia, il senso della nostra vita, l’amore per cui vivere e per cui morire».

Il significato del cammino sinodale – spiega monsignor Baturi – «è un atto di amore verso Cristo, la Chiesa e i nostri fratelli uomini. Camminiamo insieme. Non lasciamoci paralizzare dalle paure o dalle resistenze delle abitudini, apriamo il nostro cuore alla speranza di un bene maggiore e futuro, entriamo con generosità in questa avventura, che etimologicamente indica un futuro che ci viene incontro, con l’unico desiderio di imparare di nuovo e più profondamente del mistero della Chiesa, mistero di comunione e missione (senza questo desiderio di imparare, tutto si irrigidisce in pretese e chiusure). Serve la povertà di spirito di chi aderisce al cammino storico della Chiesa. «Questo percorso sinodale è atto d’amore, di fede e speranza». La celebrazione nel cuore mariano della arcidiocesi « è stata una testimonianza corale che ha confortato – è il commento di mons. Baturi – tanti nostri fedeli e li ha guidati nella comprensione di questo cammino come un bel dono da accogliere e un compito cui dedicarsi con cordialità di mente e di cuore».

Monsignor Giuseppe Baturi scrive al clero

L’arcivescovo, nel giorno in cui la Chiesa fa memoria di San Carlo Borromeo, indirizza ai sacerdoti e ai diaconi un messaggio per invitarli « a entrare con fiducia e coraggio nel cammino sinodale» e «a sensibilizzare i fedeli sulla natura della sinodalità nelle parrocchie, nelle comunità e negli ambienti in cui svolgono il proprio servizio e a far sì che il cammino intrapreso si riveli un’esperienza autenticamente ecclesiale». Un coinvolgimento espressamente richiesto dai vescovi italiani per far sì che il sinodo diventi un coinvolgimento dal basso di tutta la Chiesa:

«Sarà un evento [il sinodo] nel quale le nostre comunità cercheranno di porsi “in uscita”, favorendo la formazione di gruppi sinodali non solo nelle strutture ecclesiali e negli organismi di partecipazione (consigli presbiterali e pastorali), ma anche nelle case, negli ambienti di ritrovo, lavoro, formazione, cura, assistenza, recupero, cultura e comunicazione. Gli operatori pastorali, coordinati dai presbiteri e diaconi, con i supporti che provengono dalle diocesi, dalle circoscrizioni regionali e dalla CEI, sono invitati a porsi al servizio di questa grande opera di raccolta delle narrazioni delle persone: di tutte le persone, perché in ciascuno opera in qualche misura lo Spirito; anche in coloro che noi riterremmo lontani e distratti, indifferenti e persino ostili».

Il ruolo che i sacerdoti possono/devono svolgere per far sì che dal sinodo scaturiscano realmente i risultati attesi e voluti dallo Spirito è fondamentale. Per questo i vescovi, in Italia, e i coordinatori del Sinodo mondiale sollecitano e sensibilizzano di continuo l’opera degli uomini di Chiesa più a contatto con i laici. A volte anche mettendo a confronto comprensibili preoccupazioni dei sacerdoti e risultati attesi dal sinodo.

Santa Sede: il ruolo dei sacerdoti

«Evidentemente, davanti a questo cammino, ci possono assalire dei timori. Innanzi tutto, ci rendiamo ben conto – scrivono il cardinale Mario Grech (segretario generale del Sinodo dei Vescovi) e l’arcivescovo L. You Heung (Prefetto della Congregazione per il Clero) – che i sacerdoti in molte parti del mondo stanno già portando un grande carico pastorale. E adesso – può sembrare – si aggiunge un’ulteriore cosa “da fare”. Più che invitarvi a moltiplicare le attività, vorremmo incoraggiarvi a guardare le vostre comunità con quello sguardo contemplativo di cui ci parla Papa Francesco nell’Evangelii gaudium (n. 71) in modo da scoprire i tanti esempi di partecipazione e di condivisione che stanno già germogliando nelle vostre comunità.

«L’attuale fase diocesana del processo sinodale si propone infatti di «raccogliere la ricchezza delle esperienze di sinodalità vissuta» (Doc. prep., 31 ). Siamo certi – spiegano i due esponenti della Santa Sede – che ce ne sono molte di più di quelle che può sembrare a prima vista, magari anche informali e spontanee. Ovunque ci si ascolta profondamente, si impara l’uno dall’altro, si valorizzano i doni degli altri, ci si aiuta e si prendono le decisioni insieme, c’è già sinodalità in atto. Tutto questo va preso in rilievo e apprezzato, in modo da sviluppare sempre più quello stile sinodale che è «lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa Popolo di Dio» (Doc. prep., 10).

Ma ci può essere anche un altro timore: se si sottolineano tanto il sacerdozio comune dei battezzati e il sensus fidei del Popolo di Dio, cosa sarà del nostro ruolo di guida e della nostra specifica identità di ministri ordinati? Si tratta, senza dubbio, di scoprire sempre più l’uguaglianza fondamentale di tutti i battezzati e di stimolare tutti i fedeli a partecipare attivamente al cammino e alla missione della Chiesa. Avremo così la gioia di trovarci a fianco fratelli e sorelle che condividono con noi la responsabilità per l’evangelizzazione.

«Ma in questa esperienza di Popolo di Dio potrà e dovrà venire in rilievo in modo nuovo anche il peculiare carisma dei ministri ordinati di servire, santificare e animare il Popolo di Dio. In questo senso vorremmo pregarvi di dare in particolare un triplice contributo all’attuale processo sinodale: – Far di tutto perché il cammino poggi sull’ascolto e sulla vita della Parola di Dio. Papa Francesco così ci ha recentemente esortati: «appassioniamoci alla Sacra Scrittura, lasciamoci scavare dentro dalla Parola, che svela la novità di Dio e porta ad amare gli altri senza stancarsi» (Francesco, Omelia per-la domenica della Parola di Dio, 23 gennaio 2022). Senza questo radicamento nella vita della Parola, rischieremmo di camminare nel buio e le nostre riflessioni potrebbero trasformarsi in ideologia. Basandoci invece sulla messa in pratica della Parola costruiremo la casa sulla roccia (cf. Mt 7, 24-27) e potremo sperimentare, come i discepoli di Emmaus, la luce e la guida sorprendente del Risorto. – Adoperarci perché il cammino si contraddistingua per il reciproco ascolto e la vicendevole accoglienza.

«Prima ancora dei risultati concreti, sono già un valore il dialogo profondo e l’incontro vero. Sono molte, infatti, le iniziative e le potenzialità nelle nostre comunità, ma troppo spesso singoli e gruppi corrono il rischio dell’individualismo e dell’ autoreferenzialità. Col suo comandamento nuovo, Gesù ci ricorda che «da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35). Come pastori possiamo fare molto perché l’amore risani le relazioni. e guarisca le lacerazioni che spesso intaccano anche il tessuto ecclesiale, affinché ritorni la gioia di sentirci un’unica famiglia, un solo popolo in cammino, figli dello stesso Padre e quindi fratelli tra noi, a cominciare dalla fraternità fra noi sacerdoti. – Aver cura che il cammino non ci porti all’introspezione ma ci stimoli ad andare incontro a tutti.

Papa Francesco, nell’Evangelii gaudium, ci ha consegnato il sogno di una Chiesa che non teme di sporcarsi le mani coinvolgendosi nelle ferite dell’umanità, una Chiesa che cammina in ascolto e al servizio dei poveri e delle periferie. Questo dinamismo “in uscita” incontro ai fratelli, con la bussola della Parola e il fuoco della carità, realizza il grande progetto originario del Padre: «tutti siano una cosa sola» (Gv 17, 21). Nella sua ultima Enciclica Fratelli tutti Papa Francesco ci chiede di impegnarci per questo insieme anche ai nostri fratelli e alle nostre sorelle di altre Chiese, ai fedeli delle altre religioni e a tutte le persone di buona volontà: la fraternità universale e l’amore senza esclusioni, che tutto e tutti deve abbracciare. Come servitori del Popolo di Dio siamo in una posizione privilegiata per far sì che ciò non rimanga un orientamento vago e generico, ma si concretizzi là dove viviamo».

La prima assemblea sinodale diocesana

Dopo un momento sinodale, l’11 novembre, esclusivamente riservato ai sacerdoti, martedì 30 novembre 2021 la prima assemblea diocesana, partecipata in modalità mista (in presenza e in streaming con 17 sedi periferiche collegate) da circa 1200 persone tra laici e consacrati. Dopo una preghiera introduttiva curata dall’ufficio liturgico diocesano le relazioni dell’arcivescovo e di Silvia Piras, con le indicazioni metodologiche per il cammino sinodale. I presenti nell’aula magna del seminario, circa 160 persone, e i fedeli collegati online possono così partecipare attivamente ai lavori in pieno stile sinodale, con spunti di riflessione e osservazioni, culminate, nell’ultima parte della serata, in un dialogo con i relatori.

Partecipazione, comunione, interrogarsi sono alcune delle parole chiave emerse dal confronto e riprese da monsignor Baturi nella sintesi finale, condivisa con l’assemblea. «Il sinodo – afferma l’arcivescovo – esprime sia il movimento dell’essere convocati e raccolti nell’unità, grazie a una dinamica di convergenza, sia il movimento di un cammino verso una meta, dell’andare insieme ai fratelli verso Cristo e portare il Vangelo al mondo. A ben guardare è il tema di questo Sinodo dei vescovi 2023 per il quale il Papa convoca tutte le Chiese particolari a una grande iniziativa di incontro, ascolto e discernimento: Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione. Sono dimensioni che indicano il mistero della Chiesa, di cui siamo invitati ad avere viva memoria». La Chiesa del dialogo è infatti una Chiesa sinodale, e la fase diocesana è basilare perché implica l’ascolto di tutti i battezzati. Fondamentale sarà maturare una vera mentalità sinodale che risponda alle aspettative riposte dal Pontefice. « Il sinodo è un bel dono – conclude mons. Baturi – e questo cammino è un compito provvidenziale, perché può aiutarci a tornare all’essenziale, a ricomprendere e vivere la gioia della Chiesa, del suo stile, del suo modo di essere davanti al Signore risorto e nel mondo. Non è un impegno in più, ma un movimento di riscoperta».

La sintesi sinodale dell’Arcidiocesi

Si sono costituiti gruppi sinodali nei vari ambiti ecclesiali: parrocchie, comunità, seminario, curia diocesana, vita consacrata, associazioni e movimenti, giovani, carcere, Caritas, Istituto Superiore di Scienze Religiose, realtà comunitarie segnate da disagi ed emarginazione, operatori diocesani per l’ecumenismo etc. In ciascun gruppo è stato designato un moderatore e un segretario. I “circoli” sinodali si sono confrontati sull’interrogativo fondamentale del Documento Preparatorio e su uno o più nuclei tematici tra i dieci indicati. Gli incontri, in generale, sono stati organizzati nel modo seguente: preghiera iniziale e invocazione dello Spirito; un primo giro di ascolto seguito da qualche minuto di silenzio; un secondo momento di attenzione alle parole degli altri; un terzo ascolto con la preparazione di una breve sintesi; preghiera conclusiva. Sono state convocate anche alcune Assemblee da parte di parrocchie, uffici diocesani e gruppi diocesani, alle quali talora ha preso parte l’Arcivescovo.
La sintesi (10 pagine) di sette mesi di lavori in diocesi, trasmessa il 30 aprile 2022 dall’arcivescovo alla segreteria nazionale del sinodo, è articolata nei 7 punti seguenti: tappe del percorso, caratteristiche del percorso di ascolto intrapreso, interlocutori privilegiati, formazione, missione, «chiesa che vorrei», costruttori di comunità. Una sintesi quasi esaustiva che in filigrana manifesta volto e corpo della nostra Chiesa diocesana, con punti di forza e debolezza, potenzialità e limiti, e prospetta fin d’ora un possibile campo d’azione dell’attività pastorale della Chiesa cagliaritana.
Di particolare interesse il quadro delineato sulla famiglia.
« I documenti pervenuti presentano la famiglia ancora come istituzione sociale di base, la cui esistenza non viene messa in discussione nella sua immagine tradizionale di coppia eterosessuale, ordinata al bene reciproco dei coniugi e alla procreazione ed educazione dei figli. Tuttavia – si legge nella sintesi – nel territorio della Chiesa locale la famiglia, non meno che altrove, si presenta ferita, luogo di sofferenza diffusa, più che di sicurezza. Anche quando sceglie di costituirsi sul sacramento, cosa per altro sempre più rara (così come accade nella maggior parte del territorio nazionale dove si registra un crescendo inarrestabile delle unioni civili e delle libere convivenze), dopo la partecipazione alla preparazione prematrimoniale, si eclissa quasi totalmente dalla comunità parrocchiale. Nel percorso successivo, benché in sofferenza, non ricorre alla comunità per trovarvi il necessario sostegno sacramentale, di preghiera e di formazione continua. Per questo nelle parrocchie si nota la quasi totale assenza delle “generazioni intermedie”.
Il territorio nella sua componente socio-familiare e la comunità parrocchiale restano due mondi separati e non comunicanti. Ne consegue che la famiglia non è più il primo agente di evangelizzazione e la sua azione sulla educazione religiosa dei figli è perlopiù ininfluente. La scarsa collaborazione dei genitori con i catechisti, ai quali viene delegata l’educazione religiosa dei ragazzi, rende poco efficace un insegnamento percepito come distaccato dalla vita. Ancora una volta si ripropone, su una questione vitale, lo scollamento tra la “cultura ecclesiale” e i bisogni reali delle persone.
In questa criticità che investe la famiglia va ricercata una delle cause più importanti del distacco delle nuove generazioni dalla Chiesa. Per questo da più parti perviene la richiesta di programmare catechesi specifiche per i genitori, magari riscoprendo la prassi della Chiesa antica di riunirsi nelle case per pregare e riflettere sulla Parola. In realtà nella Diocesi si realizzano diverse attività di sostegno per le famiglie e si registra la presenza di nuovi gruppi ecclesiali di famiglie. Al loro interno, sulla base dell’Amoris Lætitia, si elabora un modello di famiglia cristiana più consono ai tempi».
Anche la situazione del pianeta-giovani e ragazzi è “letta” puntualmente.
«Unanime è il consenso che individua la causa prima dell’abbandono della pratica religiosa da parte delle nuove generazioni nel rapido cambiamento culturale che ha interessato il mondo occidentale a partire dalla seconda metà del secolo scorso. La realtà sconcerta – si legge nella sintesi – perché va troppo oltre la possibilità di gestire consapevolmente un fenomeno di enorme complessità, che rimanda a una serie di concause maturate nel passato recente e meno recente. Come è noto i cambiamenti culturali, anzi i cambiamenti d’epoca – come spesso ci ricorda Papa Francesco – si riconoscono perché portano con sé una visione nuova dell’uomo: è indubbio che oggi si affermi una nuova visione dell’uomo. In second’ordine si ricercano altre cause più ordinarie dell’abbandono della pratica religiosa in massa da parte delle nuove generazioni. Esse vengono individuate nel distacco evidente tra quelli che sono i reali interessi e le preoccupazioni delle persone rispetto all’insegnamento veicolato nelle Chiese mediante i canali abituali – e non solo – dell’istruzione religiosa, principalmente la catechesi e le omelie. Mentre i presbiteri continuano a predicare in un linguaggio divenuto estraneo ai più, le nuove generazioni cercano altrove i propri orientamenti di vita. Lo scollamento tra ciò che si dice in Chiesa e la vita reale è sempre più forte. Tuttavia si deve riconoscere che la Chiesa investe tanto nella catechesi dei fanciulli e dei ragazzi, ma – pare – con risultati poco soddisfacenti, quindi la proposta catechistica risulta inadeguata. Alcune ragioni di questa inefficacia sono state già individuate nel mancato compito delle famiglie d’essere le prime educatrici alla fede, e nella formazione dei catechisti ancora legati a schemi obsoleti, per di più veicolati da linguaggi estranei alla sensibilità di oggi. In ogni caso si registra all’interno delle comunità una mancanza di relazioni tra generazioni diverse e un insufficiente ascolto dei giovani».
Il capitolo sulla “Formazione” offre interessanti considerazione su “clero” e laici.
«La formazione del clero riguarda soprattutto i presbiteri, ma coinvolge anche i diaconi. Gli ambiti indicati sono quelli umano, biblico e dottrinale. Le tendenze ondivaghe di una parte del clero, oscillante tra rimpianti tradizionalisti e improprie spinte in avanti, sono sentite come una seria minaccia. Tali forme rincrescono e fanno sempre male, ma sembrano rimandare comunque ad una carenza di formazione.
Il profilo del ministro sacro, del quale non si mette in dubbio la specificità della missione nella Chiesa per chiamata divina, si caratterizza per una humanitas che sa accogliere, ascoltare, dialogare, collaborare. Al di sopra di tutto – si legge nella sintesi -ci si aspetta che i ministri sacri siano uomini che fanno esperienza di Dio nella preghiera, nel silenzio, nello studio e nella meditazione della Parola di Dio. Deficit di ascolto della Parola produce deficit di ascolto dei poveri, dei giovani, delle famiglie. Da parte loro, i presbiteri non sono insensibili alla vista delle chiese che si svuotano; un senso diffuso di stanchezza e di frustrazione rende sempre più sentita l’esigenza di vivere momenti di comunione, anche per superare una certa solitudine che caratterizza il loro stato di vita.
Il presbiterio, per un verso riconosce il limite dell’individualismo che caratterizza gran parte della pastorale; per altro desidera riscoprire la natura collegiale del proprio ministero. La comunione col presbiterio e col suo Vescovo arricchisce il prete non solo di un chiaro orientamento pastorale, ma anche di un valido sostegno umano. I diaconi permanenti, dal canto loro, segnalano una non chiara identità del loro ministero, dalla quale scaturisce una incerta valorizzazione del suo esercizio, nonché un’ambiguità di relazioni col presbiterio stesso.
È chiara la richiesta che l’istanza prima della formazione, sia iniziale sia continua, attiene sostanzialmente all’ambito di una religiosità cristiana ed evangelica autentica. Una formazione carente si traduce in rischio di protagonismo del clero, con la tendenza a far prevalere la propria visione piuttosto che aiutare il discernimento in un percorso comunitario. Stando così le cose, ne segue che la Chiesa deve risanare sé stessa seguendo due direttrici: investire di più a) sulla pastorale delle vocazioni, sul discernimento vocazionale del clero e sulla sua formazione; b) sull’urgenza di ricominciare ad essere essa stessa elaboratrice di cultura cristiana, in un mondo che è già cambiato, per abbattere il muro che la separa da larghe fasce della umanità»
La formazione dei laici, nessuno escluso, è urgente e deve essere incentrata sull’ascolto della Parola di Dio, sulla catechesi, sul silenzio e la meditazione, perché ciascuno sappia discernere nella realtà in cui vive le esigenze del Vangelo e imparare ad agire alla luce dello Spirito Santo. Le occasioni di ascolto della Parola possono essere gli incontri parrocchiali, i ritiri, i percorsi biblici, il catechismo, i campi scuola, la preparazione al battesimo e al matrimonio. «Ai laici cui sono affidati incarichi specifici come animatori di gruppi, catechisti o altro, si deve dare facoltà di acquisire una formazione idonea al servizio prestato. Solo se formati adeguatamente, i laici saranno coscienti della loro corresponsabilità nella Chiesa. La formazione dei laici è essenziale per crescere all’interno delle comunità secondo uno stile sinodale, che permetta loro di valorizzare a beneficio comune le proprie professionalità e competenze. Tale formazione deve essere vista anche in funzione dell’evangelizzazione, dal momento che i cristiani laici sono chiamati a testimoniare la fede nel mondo in cui vivono. A questo riguardo, sono da considerarsi autentici punti di forza la volontà dei laici di munirsi di una preparazione specifica mediante corsi di formazione a livello religioso, sociale, politico, Arcidiocesi di Cagliari 7 educativo. L’ISSR continua ad essere frequentato con entusiasmo da molti cristiani non solo orientati all’insegnamento religioso. Si auspica che le foranie si organizzino per affidare il coordinamento e la formazione continua dei catechisti e degli operatori pastorali a persone laiche fornite di competenze specifiche».

«L’occasione del Cammino sinodale» contiene “in nuce” un’ipotesi di piano pastorale con alcune precise indicazioni: 1) Non disperdere il potenziale umano, di fede e di carismi vera sfida della nuova stagione di vita ecclesiale; 2) sinodo opportunità ispirata dallo Spirito Santo per promuovere la comunione tra le varie componenti del popolo di Dio. 3) la sinodalità esperienza ed esigenza interiore per un più profondo e vero incontro con Dio e con i fratelli; 4) la costituzione di gruppi sinodali favorisce la fraternità anche in contesti problematici come quello del carcere e dei migranti; 5) capacità di cambiare mentalità, di passare dall’individualismo ad una visione di convergenza e di comunione; 6) rispettare le strutture comunionali esistenti e creare altre opportunità per vivere questo stile sinodale; 7) riconoscimento della centralità della persona, sommamente amata e valorizzata da Dio creatore, in qualunque stato essa si trovi.
Uno sguardo al primo anno nazionale
Nel più generale cammino sinodale della Chiesa italiana «Non sono mancate incertezze e perplessità a rallentare il percorso; nel cuore dell’inverno si è riacutizzata la pandemia con il suo carico di lutti, sofferenze e disagi; alla fine di febbraio è scoppiata la guerra in Europa, riaccendendo ferite, paure e risentimenti. In mezzo a queste crisi, che reclamano un contributo al dialogo, alla pace e alla fraternità, il popolo di Dio si è messo in cammino. Si sono formati circa 50.000 gruppi sinodali, con i loro facilitatori, per una partecipazione complessiva di mezzo milione di persone. Più di 400 referenti diocesani hanno coordinato il lavoro, insieme alle loro équipe, sostenendo iniziative, producendo sussidi e raccogliendo narrazioni. Si è creata una rete di corresponsabili che è un primo frutto, inatteso, del Cammino e una risorsa preziosa per la sua prosecuzione.
Mentre esprimiamo gratitudine al Signore per la generosità di quanti si sono resi disponibili, ci impegniamo a sostenerli – scrivono i vescovi italiani – anche nel secondo anno. Ciascuna diocesi ha trasmesso alla Segreteria Generale della CEI una sintesi di una decina di pagine. I referenti diocesani si sono incontrati alcune volte online e due volte in presenza a Roma: dal 18 al 19 marzo e dal 13 al 15 maggio 2022. Quest’ultimo appuntamento residenziale con la partecipazione dei Vescovi rappresentanti delle Conferenze Episcopali Regionali, ha permesso di stendere una prima sintesi nazionale -il cosiddetto “Testo di servizio” – articolata intorno a “dieci nuclei”; successivamente, durante la 76ª Assemblea Generale della CEI (23-27 maggio 2022), alla quale hanno preso parte, nelle giornate del 24 e 25 maggio, 32 referenti diocesani, cioè due per ogni Regione ecclesiastica, si è ulteriormente riflettuto, in modo sinodale, arrivando a definire alcune priorità sulle quali concentrare il secondo anno di ascolto.
Quali le consegne di questo primo anno? Dalle sintesi diocesane, che andranno valorizzate nelle rispettive Chiese locali, ne emergono alcune: crescere nello stile sinodale e nella cura delle relazioni; approfondire e integrare il metodo della conversazione spirituale; continuare l’ascolto anche rispetto ai “mondi” meno coinvolti nel primo anno; promuovere la corresponsabilità di tutti i battezzati; snellire le strutture per un annuncio più efficace del Vangelo.
Un incontro lungo il cammino mentre confluivano le sintesi diocesane nel maggio 2022, l’incontro di Gesù con Marta e Maria, nella casa di Betania (Lc 10,38-42) si è profilato come icona per il secondo anno. Parole come: cammino, ascolto, accoglienza, ospitalità, servizio, casa, relazioni, accompagnamento, prossimità, condivisione… sono risuonate continuamente nei gruppi sinodali e hanno disegnato il sogno di una Chiesa come “casa di Betania” aperta a tutti.

Cammino sinodale 2022-23. «I cantieri di Betania»

Si intitola “I cantieri di Betania” il testo con le prospettive per il secondo anno del Cammino sinodale consegnato il 12 luglio ’22 alle Chiese locali. Un documento, come spiegato dal card. Matteo Zuppi, Presidente della CEI, «frutto della sinodalità», nato « dalla consultazione del popolo di Dio, svoltasi nel primo anno di ascolto (la fase narrativa), strumento di riferimento per il prosieguo del Cammino che intende coinvolgere anche coloro che ne sono finora restati ai margini». «Una grande opportunità per aprirsi ai tanti ‘mondi’ che guardano con curiosità, attenzione e speranza al Vangelo di Gesù».

Il testo – che ha come icona biblica di riferimento l’incontro di Gesù con Marta e Maria, nella casa di Betania – presenta tre cantieri: quello della strada e del villaggio, quello dell’ospitalità e della casa e quello delle diaconie e della formazione spirituale. Questi cantieri potranno essere adattati liberamente a ciascuna realtà, scegliendo quanti e quali proporre nei diversi territori. A questi, ogni Chiesa locale può aggiungerne un quarto che valorizzi una priorità risultante dalla propria sintesi diocesana o dal Sinodo che sta celebrando o ha concluso da poco. La Chiesa di Cagliari ha scelto quello della « partecipazione per la missione».

La comunità diocesana riunita nel cammino sinodale 2022-2023

Ogni atto della vita comunitaria della Chiesa cagliaritana deve essere letto come momento del cammino sinodale. Nella solenne apertura – il 9 ottobre scorso nella basilica di N.S. di Bonaria – dell’anno pastorale 2022-2023, «epifania della comunione e della missione della Chiesa», l’arcivescovo Giuseppe Baturi indica il metodo da adottare nei lavori sinodali: «Dilatare la celebrazione eucaristica nello specifico modus vivendi et operandi della Chiesa. Ciò che qui accade deve potersi dilatare e deve diventare il modo in cui la Chiesa, nelle varie comunità, vive e opera manifestando in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea, nell’esercitare la carità e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice. Che la vita e l’azione della nostra Chiesa di Cagliari sia come una dilatazione della verità della celebrazione eucaristica, in rapporto alla quale avvertire l’esigenza della conversione e del rinnovamento. Il senso del cammino sinodale anzitutto è penitenziale, abbiamo bisogno di conversione non di conferme. Le conferme le danno gli amici o i complici, Dio converte. C’è un’esigenza di conversione e di rinnovamento che trova il suo paradigma nella verità della celebrazione eucaristica. Il tempo ci è dato per questo, l’anno che viene ci è dato per questo. Il Vangelo ci aiuta a comprendere che il tempo ci è dato per camminare».

L’arcivescovo indica al popolo un risorsa necessaria per il successo del sinodo. « Noi siamo impegnati e dobbiamo impegnarci a dialogare, a intraprendere azioni, ma la questione sottesa al cammino sinodale è anzitutto la fede, la qualità della nostra fede. Non è in gioco semplicemente l’organizzazione o l’efficienza delle nostre strutture, ma – ha detto il presule – la nostra fede, il nostro rapporto con Gesù Maestro, vivo e presente tra noi che continua a camminare e ad attraversare il nostro umano, le nostre relazioni, le circostanze della nostra convivenza».

Nel pomeriggio del 13 ottobre 2022 nell’Aula Magna del Seminario arcivescovile di Cagliari, il terzo incontro – rivolto a tutta la comunità diocesana ( il 12 ottobre solo il clero) – nel secondo anno di ascolto sinodale e l’apertura dei “Cantieri di Betania”. Entrambi gli eventi – presieduti dall’arcivescovo – sono stati scanditi da diversi momenti, a partire da una preghiera introduttiva e una lectio divina sull’icona biblica di Betania proposta da padre Piergiacomo Zanetti, docente della Pontificia facoltà teologica della Sardegna. È seguito l’intervento del referente diocesano del Cammino sinodale, don Mario Farci, che si è soffermato sui quattro “cantieri” proposti dalla Cei. «Partecipazione per la missione» è quello scelto dalla nostra Diocesi.

«Abbiamo inaugurato il nuovo anno pastorale – afferma il vescovo Baturi – con la Santa Messa di domenica 9 ottobre in Cattedrale. La celebrazione eucaristica, la sinassi, è davvero il paradigma del Sinodo, poiché la Chiesa, nella celebrazione eucaristica si percepisce come comunità, assemblea radunata dal Signore per vivere una comunione nel dono della sua presenza. Il nuovo anno pastorale sarà modellato sui “Cantieri di Betania”, si tratta di “luoghi di lavoro” che servono a costruire o riparare, ed è la vita stessa che lo esige. Senza indugio – esorta il vescovo – ognuno rincorra la propria vocazione e partecipi a costruire una Chiesa per tutti. A livello operativo non si tratta di articolare la proposta centralizzandola, bensì è ogni realtà ecclesiale che, nella misura in cui agisce e si sente partecipe del mistero di Cristo e della sua missione profetica, darà al vissuto diocesano una caratterizzazione. Significa accogliere la soggettività che tutti sono chiamati a esprimere, e in questo modo – sottolinea mons. Baturi – la Chiesa di Cagliari splenderà per la sua unità, ma nella diversità di situazioni, contesti, caratteri, storie. Il fedele è chiamato a seguire Cristo e quindi quando ciò accade, a creare qualcosa di nuovo e di buono per tutti».L’esperienza del secondo anno sarà ancora quella dell’ascolto allargando sempre di più la direzione e i soggetti di riferimento.

«L’obiettivo – spiega don Mario Farci, referente diocesano per il Cammino sinodale e preside della Pontificia facoltà teologica della Sardegna – è quello di “avviare una nuova esperienza di Chiesa”, che pratichi la sinodalità e irrobustisca la capacità di “camminare insieme”. Sinergia con il cammino dello scorso anno all’interno di una unica fase narrativa, ampliamento delle persone e dei mondi coinvolti, approfondimento di alcuni aspetti e di alcune domande, soggettività delle singole realtà diocesane ed ecclesiali in ordine ai cantieri da sviluppare sono i pilastri del nostro impegno. I cantieri – conclude don Farci – pur presentandosi come percorsi specifici, intendono trovare linfa nella vita quotidiana delle comunità e, dall’altro lato, contribuire alla vitalità delle forme

Una nuova primavera per la Chiesa
«Il discernimento sulle sintesi del primo anno di Cammino ha permesso di focalizzare l’ascolto del secondo anno lungo alcuni assi o cantieri sinodali, da adattare liberamente a ciascuna realtà, scegliendo quanti e quali proporre nel proprio territorio. Il carattere laboratoriale ed esperienziale dei cantieri potrà integrare il metodo della “conversazione spirituale” e aprire il cammino sinodale anche a coloro che non sono stati coinvolti nel primo anno. Quella del cantiere è un’immagine che indica la necessità di un lavoro che duri nel tempo, che non si limiti all’organizzazione di eventi, ma punti alla realizzazione di percorsi di ascolto ed esperienze di sinodalità vissuta, la cui rilettura sia punto di partenza per la successiva fase sapienziale».
Al popolo di Dio della Chiesa che è in Cagliari il compito di contribuire a una nuova primavera ecclesiale.
«La capacità di immaginare un futuro diverso per la Chiesa e per le sue istituzioni all’altezza della missione ricevuta dipende in larga parte dalla scelta di avviare processi di ascolto, dialogo e discernimento comunitario, a cui tutti e ciascuno possano partecipare e contribuire». «Ricordiamo che lo scopo del Sinodo e quindi di questa consultazione non è produrre documenti, ma “far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un ‘alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani».
Mario Girau

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