IMMIGRAZIONI

843f680a-f9e3-4fc1-b968-4d01693efe9eBasta propaganda,
l’Europa ritrovi la sua anima

di Fiorella Farinelli
su ROCCA 15 DICEMBRE 2022*
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Tempi bui quando chi fugge da guerre, dittature, catastrofi climatiche, povertà estreme diventa cinico strumento, e perfino ostaggio, di ambizioni e strategie politiche. Non esseri umani da proteggere ma vittime da usare per riconferme identitarie, posizionamenti in ambito europeo, alleanze nazionali o internazionali. Inquieta e scandalizza ma non è una novità assoluta. Il Mediterraneo e le sue «rotte», il luogo di migrazione più fatale al mondo, è diventato da tempo il campo privilegiato di politiche di esternalizzazione, confinamento e respingimento dei migranti mosse dall’ossessione della riduzione dei flussi, e non dall’esigenza etica, politica e perfino economica di salvare, accogliere, includere, integrare. Nell’Unione europea ora ci si divide su se e come redistribuire tra tutti i Paesi (con i più nazionalisti e «sovranisti» che si sottraggono) i profughi che hanno diritto all’asilo e i minori «non accompagnati» coperti fino ai 18 anni da protezione internazionale. È alla fine del 2014, con la non proroga dell’operazione «Mare nostrum» in capo alla Marina militare italiana – vennero allora portate in salvo, in un anno, ben 160.000 persone – che c’è stata la svolta, la decisione di puntare unicamente al contrasto dell’immigrazione definita «irregolare» e dei «trafficanti» di esseri umani.

i dati di una catastrofe
Dati ufficiali dicono che dal 2014 all’agosto 2022 i morti o dispersi in mare nel tentativo di attraversarlo sono oltre 24.000, di cui 19.800 nella rotta centrale (LibiaItalia soprattutto), 2.700 in quella occidentale (Marocco-Spagna, Africa occidentale Canarie), 1.900 in quella orientale (TurchiaGrecia). Una catastrofe umanitaria probabilmente sottostimata e sicuramente evitabile. All’azzeramento dei soccorsi su larga scala, attivati cioè anche oltre le acque italiane come era stato con Mare Nostrum, si sono affiancati, a seguito dell’accordo nel 2017 dell’Italia con la Libia che ne ha fatto un «luogo sicuro di sbarco», i respingimenti cosiddetti «per procura». Oltre 100.000 sono stati i respinti per mano libica verso le coste di Tripoli tra il 2017 e il 2021, col supporto di ingenti finanziamenti italiani ed europei a un Paese politicamente instabile, e spietatamente indifferente al rispetto dei diritti umani. Si tratta, oltre che di migranti «forzati» che hanno, come i minori non accompagnati, diritto all’asilo o a specifiche protezioni, anche di migranti che in altri tempi si sarebbero definiti «per lavoro» (proprio come i nostri giovani che scelgono di vivere e lavorare all’estero) ma ormai derubricati a migranti «illegali», visto che in molti Paesi tra cui l’Italia gli ingressi per lavoro vengono autorizzati solo per lavori stagionali o altre attività specifiche (l’ultimo decretoflussi del governo Draghi, fortemente contrastato da Fratelli d’Italia e Lega, fu per poco più di 69.000 postazioni lavorative, molte meno di quelle richieste dal nostro sistema economico-produttivo stressato dall’invecchiamento della popolazione e dal gran rifiuto dei più giovani a lavori non qualificati e malpagati). Chi non ottiene l’autorizzazione a restare (i dinieghi viaggiano attorno al 50-60%) viene «respinto», ma i respingimenti sono di fatto poco praticabili – neanche Salvini ministro dell’interno è riuscito a farne più di qualche migliaio – e così molti restano in condizione di illegalità, esposti ad ogni tipo di sfruttamento e al rischio di coinvolgimento nei mercati nerissimi della piccola criminalità, in attesa di sanatorie che da anni non si fanno più o di «migrazioni secondarie» in Paesi con normative più favorevoli. A cosa serve tutto ciò? Dov’è finita l’Europa dei diritti universali? Quali sono gli effetti sulle democrazie europee di questo smarrimento dei valori e dei principi del Trattato di Roma e del diritto internazionale?

soffia un brutto vento
In Europa e in altre parti del mondo, Usa compresi, il vento che soffia è livido.
Se via terra si innalzano chilometri di barriere contro i migranti, c’è chi, oltre a limitare al massimo i soccorsi mettendo in mora l’antica «legge del mare», vorrebbe anche «chiudere i porti». Non si vuole prendere atto dell’inevitabilità di più o meno consistenti flussi migratori (la sola recente eccezione, in Europa, è stata per i profughi dall’Ucraina), un fenomeno che non può essere più visto come un’emergenza ma che è evidentemente di natura strutturale. Non si vuole decidere né di dedicare strategie e risorse allo sviluppo delle aree più disgraziate del pianeta, tra cui quelle dell’Africa centrale tormentate oltre che da guerre, dittature e sottosviluppo, anche dai rovinosi impatti del cambiamento climatico, né di dotarsi di regole condivise con cui governare con generosità e lungimiranza il fenomeno. Sinistre e destre si contrappongono dividendosi al loro interno, ma sono le opinioni pubbliche, in particolare i più poveri e i meno istruiti che temono la presunta concorrenza dei migranti nel mercato del lavoro e nel welfare, a guardare con crescente contrarietà alle migrazioni, e i governi di ogni colore politico, sia pure con approcci e modalità diverse, non possono non tenerne conto. Alcuni, anzi, è proprio di queste contrarietà che hanno spregiudicatamente fatto la scala per salire al potere. In questo quadro, e in una logica di piccoli passi, non c’è dubbio che sia indispensabile la definizione di una nuova governance europea delle migrazioni, con nuove regole su asili e rimpatri, basata su una maggiore cooperazione e solidarietà tra i Paesi dell’Unione. E che occorra superare il vecchio Trattato di Dublino sottoscritto nel 1990 – quando le migrazioni erano poca cosa e in Europa c’erano ancora le frontiere interne – secondo cui è lo Stato di primo arrivo del migrante che deve far fronte all’accoglienza e alla gestione delle domande di asilo, con le disparità di oneri che possono derivarne, secondo le circostanze geopolitiche e di altro tipo, tra i più e i meno investiti dai flussi di primo arrivo. Non è questo però né il solo né il vero centro del problema. In Europa sono tanti – i governi, e anche i cittadini che vorrebbero solo che i migranti restassero confinati nei loro Paesi e, se non lì, in altri disposti dietro generoso compenso a sequestrarli in luoghi che impediscano di partire. È anche per questo che sono difficili nuove politiche. Ma la disumanità rimbombata negli atti e nelle parole dei giorni di novembre in cui in Italia si è tentato di impedire l’approdo a tre imbarcazioni umanitarie, sono stati imposti grotteschi e offensivi sbarchi selettivi, sono volate tra Italia e Francia accuse di disumanità e di violazione del diritto internazionale offrendo un deprimente spettacolo di discordia in un momento in cui l’Europa dovrebbe essere più che mai unita a fronte della guerra fratricida in Ucraina, impongono anche altro. C’è una coscienza da ritrovare, da coltivare, da far prevalere. Un’anima da recuperare e da far vivere come senso distintivo dell’Unione europea. Non solo. Ci sono anche verità da ricostruire perché i sentimenti negativi nei confronti dell’immigrazione vengono alimentati e gonfiati dalla voluta alterazione dei fatti e dei dati.

una verità da ricostruire
È d’obbligo, per esempio, chiedersi cosa c’è di vero nella narrazione fragorosamente vittimistica di un’Italia che sosterrebbe da sola il peso di gran parte dei flussi migratori provenienti dall’Africa. Sono i 90.000 sbarchi dall’inizio del 2022 che vengono rinfacciati dal governo italiano a un’Unione Europea che non riesce a rendere impegnativi per tutti i suoi membri gli accordi di ricollocazione dei migranti, e in cui anche gli Stati firmatari li hanno finora attuati con il più avaro dei contagocce. Tutte giustificate, dunque, le proteste dell’Italia, anche se non si può non osservare che il governo italiano è curiosamente molto amico proprio di quei governi e di quelle forze politiche che gli accordi di ricollocazione li rifiutano. Ma non è questo il punto. Il fatto è che non sono le cifre degli sbarchi a dare da sole il quadro effettivo degli «oneri» dell’accoglienza, del setaccio dei sommersi e dei salvati, dei respingimenti, ma occorre guardare anche alle cifre delle domande di asilo e di protezione internazionale nei diversi Paesi. Gli sbarchi sono infatti solo una parte degli arrivi, l’altra è quella che arriva dalla rotta balcanica, la più battuta in questa fase come dimostrano i 106.396 migranti «balcanici» intercettati da gennaio ad ottobre 2022, di più dunque dei 90.000 arrivati via mare. E poi ci sono i flussi che arrivano via terra, con i treni, i Tir, gli aerei, a piedi. Tra gli stessi arrivi via mare, ce ne sono peraltro di non registrati, quelli che viaggiano con piccole imbarcazioni non segnalate o che sfuggono al controllo delle autorità portuali. Non solo. Come sanno benissimo le polizie e gli abitanti di frontiera di tutta Europa, sono imponenti le «migrazioni secondarie», quelle dei migranti che aggirano le regole di Dublino tentando il prima possibile di passare in altri Paesi europei e di presentare là la domanda di asilo. Secondo Eurostat, ma tutte le fonti istituzionali concordano, le 537mila richieste d’asilo (+28% rispetto al 2020, il primo e più duro anno della pandemia) pervenute nel 2021 ai governi europei si sono ripartite con impatti molto diversi tra i Paesi. In testa, come sempre, la Germania, con 148.000 domande, seguita dalla Francia con 104.000, dalla Spagna con 62.000. Mentre l’Italia è al quarto posto con 45.000, meno della metà di quelle della vicina Francia. Se si guarda poi al rapporto tra le domande e i numeri della popolazione, ad essere in testa è la Svezia, con 25 richieste d’asilo ogni 1000 abitanti, seguita dall’Austria (15 domande su 1000 abitanti), dalla Francia (6), mentre il rapporto per l’Italia scende a 3,5. Numeri che dicono due cose essenziali. La prima è che l’impatto dei flussi non viene solo dal Mediterraneo, e dal suo corridoio centrale, quello che punta al più vicino approdo di Lampedusa e di altri porti siciliani e calabresi. La seconda è che sono molto consistenti i «movimenti secondari» che dai luoghi di primo arrivo passano ad altri, preferiti per vari motivi. Alcuni Paesi, tra cui l’Italia, sono da molti considerati solo di passaggio, le mete vere sono altrove, non a caso tra le frontiere più calde c’è, tra l’Italia e la Francia, Ventimiglia, come c’è Calais tra la Francia e il Regno Unito. Chi, tra i governi, oggi batte i pugni sul tavolo e si lascia andare a sguaiate proteste per «essere stato lasciato solo», i numeri veri li sa. E non dovrebbe, per poter lucrare ancora sulle paure e sulle contrarietà popolari, inventare un’invasione che non c’è, o gonfiarne la portata. Anche sulla demonizzazione delle imbarcazioni che fanno riferimento alle Organizzazioni non governative – i «taxi del mare», ironizzavano i 5Stelle nella fase in cui non erano né di destra né di sinistra – ci sarebbe molto da puntualizzare. Non sono, come si dice, «navi pirata», o «complici dei trafficanti di uomini». Non solo perché sono tenute a segnalare i salvataggi alle Guardie Costiere e a chiedere l’autorizzazione agli sbarchi alle autorità portuali ma perché, con le loro attività coerenti con la normativa internazionale del mare (cioè l’obbligo per chiunque di soccorrere e salvare i naufraghi), suppliscono alla drastica riduzione o all’assenza di operazioni gestite dagli Stati. Una supplenza numericamente modesta, del resto, visto che i loro salvataggi nel Mediterraneo non sono più del 10% del totale. Sono una flotta «civile» con missione umanitaria, appartenente a ciò che in Italia chiamiamo «privato sociale» o Terzo settore. Le Ong che la finanziano, in larga misura tedesche, fanno riferimento a chiese cristiane come la Federazione delle Chiese evangeliche, a enti laici transnazionali come Medici senza Frontiere e Emergency, a singoli filantropi. In Germania godono di finanziamenti pubblici, deliberati dal Bundestag, in base al patto di governo tra i Verdi e i Socialdemocratici tedeschi. Regolamentarne le attività è giusto, demonizzarle è una delle tante modalità di costruzione di una narrazione vittimistica e complottista dell’immigrazione. Che aggiunge veleni a un clima sociale e politico già avvelenato. Non è di questo che c’è bisogno per ottenere una più lungimirante e più condivisa gestione europea del dramma dei profughi, e dei tanti disposti a rischiare la vita per cercare nell’Europa delle democrazie e delle opportunità per tutti una vita migliore. Sulla fiancata di una imbarcazione umanitaria di Emergency campeggia la scritta «i diritti che non sono di tutti sono solo privilegi», parole di Gino Strada.

* Fiorella Farinelli
su ROCCA 15 DICEMBRE 2022

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