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Per costruire la pace
Editoriale di Tonio Dell’Olio.
A fare un’analisi seria dei linguaggi e dei racconti, dell’informazione corrente e della mentalità che va sempre più prendendo corpo nell’opinione pubblica, ci si rende conto che la narrazione della guerra prende di gran lunga il sopravvento rispetto al bisogno della costruzione della pace. Riusciamo a sapere tutto del drone Bayraktar Tb2 di produzione turca usato [segue] dalle forze armate ucraine contro gli obiettivi militari russi e dei droni Sahed-136 di fabbricazione iraniana usati dai russi contro le città ucraine, ma non si registra alcun sussulto credibile sul piano diplomatico, ovvero sulla possibilità di dialogo e trattativa di pace. Si riaffaccia persino la minaccia nucleare che in tutti questi anni c’era stata fatta digerire come «garanzia di pace» secondo la teoria della deterrenza atomica, ovvero dell’equilibrio del terrore. A furia di parlare di armi nucleari tattiche e di potenziali atomici limitati e circoscritti, anche gli armamenti di distruzione di massa stanno diventando tollerabili e digeribili all’intelligenza media. «Oggi, in effetti – ha detto in proposito il Papa nel suo intervento il 25 ottobre presso il Colosseo – si sta verificando quello che si temeva e che mai avremmo voluto ascoltare: che cioè «l’uso delle armi atomiche, che colpevolmente dopo Hiroshima e Nagasaki si è continuato a produrre e sperimentare, viene ora apertamente minacciato». Ed è ancora lo stesso Bergoglio a dire che la guerra rappresenta il fallimento della politica. Tutt’altro che la sua continuazione con altri mezzi! Ed è per questo che siamo chiamati a svegliare la politica dal torpore in cui sembra caduta. Anzi dobbiamo pretendere che si ravveda dal suo fallimento. Anche la semplice decisione di rimpinzare di armi l’area di guerra significa di per sé rassegnarsi alla soluzione armata, ovvero violenta, ovvero omicida, ovvero fratricida, del conflitto. Ma c’è ancora qualcuno che crede davvero a una soluzione armata dei conflitti e di questo conflitto in specie? Ammesso che l’uso della violenza possa condurre a una pacificazione, somiglierebbe a quella dei cimiteri. Forse sarebbe più simile a una tregua che a una pace. Sarebbe destinata a covare la vendetta sotto la cenere solo apparentemente fredda. No, solo il dialogo e l’incontro tra le parti, solo il cammino verso la comprensione delle ragioni dell’altro, possono partorire una pace che sia degna, durevole, giusta. Lo ribadisce il Papa: «Che cosa deve ancora succedere? Quanto sangue deve ancora scorrere perché capiamo che la guerra non è mai una soluzione, ma solo distruzione? In nome di Dio e in nome del senso di umanità che alberga in ogni cuore, rinnovo il mio appello affinché si giunga subito al cessate-il-fuoco. Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili» (Angelus, 2 ottobre 2022). E se oggi riconosciamo che non vi sono le condizioni per cui le parti in guerra si parlino e che effettivamente quel conflitto coinvolge a vario titolo molte altre nazioni, allora il dialogo non può essere perimetrato esclusivamente attorno ai rappresentanti di Russia e Ucraina ma deve allargare il tavolo a livello internazionale. E questo, in realtà, avrebbe dovuto proporre l’Onu sin dai primi rumori di questa guerra. Sono le richieste ragionevoli e praticabili della piazza del 5 novembre convocato da Europe for peace e che dovrebbe trovare eco in tutte le capitali europee. Ma soprattutto abbiamo bisogno di profonda e autentica conversione alla pace. Abbiamo bisogno di maturarla nella coscienza individuale quanto in quella collettiva. Abbiamo bisogno di riproporla a livello delle chiese, al cuore delle chiese stesse. Come Chiara d’Assisi all’arrivo dei Saraceni in Assisi, le chiese sono chiamate ad essere un corpo di pace, prima e più che un corpo diplomatico. Ce lo ricorda Paolo Ricca in un denso articolo su Riforma, settimanale delle chiese evangeliche (28 ottobre 2022): «La Chiesa non è forse corpo di Cristo? E che cosa può essere in terra il corpo di Cristo, Principe della pace, se non un corpo di pace? (…) Come si diventa corpo di pace? In un modo solo: adottando la nonviolenza come stile e prassi di vita, insegnando capillarmente ai suoi membri la teoria della nonviolenza, le sue radici spirituali e ragioni morali, e addestrandoli alla prassi e tecniche di questa cultura ancora praticamente sconosciuta». ❑
ROCCA 15 NOVEMBRE 2022
per costruire la pace
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