SINISTRO SINISTRA aggiustare o rifare?

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SINISTRO SINISTRA
aggiustare o rifare?

di Mariano Borgognoni

All’indomani delle elezioni politiche è iniziata e continua (anche sulle nostre pagine) una riflessione sulla Sinistra, sui suoi fondamenti e sul suo destino in Italia. È una riflessione più che necessaria per la democrazia, i diritti sociali e civili, i valori costituzionali della Repubblica.

Tanto più dopo un voto che ha di fatto messo in discussione il collante antifascista della Nazione come terreno condiviso e ha posto, per la prima volta in un grande Paese fondatore della comunità europea, la destra postfascista e sovranista alla guida del governo. Non è cosa di poco conto e proprio per la sostanziale coerenza di cui ha dato prova Giorgia Meloni dobbiamo immaginare che le sue politiche non si discosteranno troppo da quanto ha sostenuto nell’ultimo quinquennio e da quanto è nel dna della sua formazione culturale e politica. Di questa trincea identitaria ci parlano anche le elezioni dei Presidenti delle Camere. E ciò dentro la drammatica situazione di guerra, di estensione della povertà e dell’impoverimento.
Di fronte a questo processo politico che va ben oltre la dimensione nazionale, sarebbe necessario organizzare una ferma e forte presenza democratica, popolare, di sinistra.
E intanto, da subito un movimento unitario per la pace, contro il riarmo dentro lo schema atlantista (niente affatto europeista), per il lavoro e la sua dignità, per il mantenimento e lo sviluppo di l’editoriale uno welfare veramente universalistico e che protegga milioni di persone cadute in una situazione di bisogno (disoccupa- ti, lavoratori poveri etc.), per una redistribuzione del reddito verso il basso e non verso l’alto come è avvenuto in questi anni di intollerabile ed economicamente miope apertura della forbice del- le disuguaglianze.
Ma se lo stato del Paese è questo già da sé ci parla di grandi responsabilità della Sinistra che ha segato, con dete zione degna di miglior causa, il ramo su cui era seduta. Ed è chiaro da sempre che quando la Sinistra è senza popolo, senza un progetto di avanzamento delle sue condizioni economiche e sociali, quel popolo si rifugia in modo subalterno nella protezione della Destra. Se la Sinistra non si propone di lavorare per una partecipazione consapevole e organizzata quel suo popolo diventa gente totalmente atomizzata, folla arrabbiata di individui solitari.
Non c’è dubbio che la nuova articolazione del mondo del lavoro ha cambiato il paesaggio sociale del passato anche recente, ma il compito di una Sinistra moderna è quello di leggere «i segni dei tempi» e comprendere come permangano e talvolta si aggravino nel presente situazioni di alienazione e di sfruttamento. Se invece ci si rassegna ad essi o addirittura li si favorisce, si finisce per rompere quel legame sentimentale, di cui tanti stucchevolmente ora parlano, con il mondo che ha più bisogno che il mondo cambi.
Sarà possibile dar vita ad un profondo cambiamento, a cominciare dal Pd? Purtroppo non è scontato poiché un gruppo dirigente, ormai autoreferenziale, che non si è preoccupato neanche di modifi- care una legge elettorale che impedisce di fatto di eleggere davvero il Parlamento, tende, direi quasi naturaliter ad eternizzare se stesso. Il rosatellum serve a questo: riservare il gioco della politica a quelli che sono rimasti dentro i palazzi (dove peraltro ben poco si decide) dopo la fine della politica che si reggeva sui partiti di massa e sul protagonismo dei corpi intermedi. All’interno di questa logica il Pd è diventato via via un partito tecnico (non esistono solo i governi tecnici), di competenti gestori del mondo co- m’è, poiché «del doman non v’è certezza» e non c’è nessun principio-speranza a cui affidarsi. Esiste tuttavia un mondo di militanti, di simpatizzanti, di elettori nasoturatisti, di consapevoli astensionisti, che, forse, possono ancora bombardare
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ROCCA 1 NOVEMBRE 2022
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Urgente un protagonismo sociale che spinga la sinistra politica a muoversi
di Alfiero Grandi​
14.10.2022

La sconfitta elettorale delle “non destre” è ancora fresca, siamo all’inizio della nuova legislatura e già nei primi passaggi importanti si manifesta con chiarezza che la sconfitta non è stata un incidente di percorso. Se si rivotasse oggi il risultato sarebbe ancora peggiore, per le “non destre”. Certo, le destre dimostrano che non basta vincere per sanare le ferite al loro interno che restano vistose, addirittura tali da offrire spazi alle opposizioni, che purtroppo non sono in grado di approfittarne perché restano confuse, stordite da una sconfitta elettorale cocente, per certi versi storica, che è stata possibile solo per la frammentazione dello schieramento potenzialmente in grado di presentarsi come un’alternativa alle destre.

Per questo non vanno sottovalutati i limiti e per certi versi la vera e propria crisi politica e di valori delle “non destre”. Ci sono questioni di fondo da affrontare.
Tuttavia, la sconfitta delle “non destre” è il risultato di errori politici madornali e imperdonabili, altrimenti lo schieramento di destra che ha preso il 44% dei voti e ha ottenuto il 59% dei seggi in parlamento non avrebbe vinto, malgrado un aumento del 10% delle astensioni.

Sarebbero state possibili alternative politiche.
Naturalmente era decisivo cambiare per tempo questa infame legge elettorale. Un misto tra un flipper impazzito che scarica gli eletti a casaccio nel paese e una camicia di forza per gli elettori, costretti ad un voto unico, che premia le coalizioni, vere o finte che siano, e per di più finge di ignorare che con il taglio dei parlamentari la soglia per ottenere l’elezione del 3% (quando è tale, altrimenti molto più alta) è in realtà più alta del 33%, quindi è circa il 4,5 %. Si scrive 3% e si legge 4,5%.

Questi ed altri aspetti della legge elettorale, come i voti degli elettori che hanno pesi enormemente diversi tra loro, dovevano portare le “non destre” ad ingaggiare una lotta senza quartiere per cambiare la legge elettorale per tempo e c’è stato almeno un momento in cui avrebbero potuto farlo: quando la maggioranza rosso/gialla aveva i numeri per farla approvare e le condizioni politiche per farlo perché il taglio dei parlamentari meritava almeno una contropartita in cambio dell’approvazione definitiva. La verità è che l’incertezza, la confusione, l’illusione delle “non destre” di rinviare all’infinito la prova elettorale, senza mai chiedersene il prezzo, hanno portato a perdere tutte le occasioni per procedere alla riforma della legge elettorale che le destre non volevano perché puntavano a tornare insieme dopo essersi divise per tutta la passata legislatura.

Eppure, a Letta, appena eletto segretario del Pd, era stato spiegato con cura dal Cdc che la nuova legge elettorale era una condizione indispensabile da ottenere ad ogni costo prima del voto. Del resto, la stessa cosa era stata già esposta con forza anche al M5Stelle e a S.I. Sono arrivate le elezioni e il risultato è (purtroppo) noto. Neppure le indicazioni venute da diverse parti ad usare al meglio la legge elettorale in vigore, almeno per difendersi nel modo migliore, non ha trovato ascolto. Era sufficiente presentare candidature uniche nei collegi uninominali per evitare il cappotto della destra. Il voto nei collegi uninominali si sarebbe riverberato, esattamente come per la destra, tra tutte le componenti delle “non destre”. Un risultato Win Win, nessuno guadagna e nessuno vince sugli altri coalizzati, ma prende seggi alle destre.

Si è detto che non si poteva fare uno schieramento con chi aveva provocato la caduta del governo Draghi, ora si dovrà fare la stessa cosa in condizioni enormemente più difficili se non si vuole regalare alle destre una prateria per le incursioni dentro l’opposizione, come è già accaduto in occasione dell’elezione di La Russa, eletto con il soccorso di una parte dell’opposizione, una sorta di ripetizione dei 101 di Prodi. In realtà, un accordo almeno temporaneo contro le destre era del tutto possibile sulla base di una piattaforma formidabile – ricordata anche da Liliana Segre in apertura dei lavori del Senato – la Costituzione, la sua difesa e la sua attuazione.

Denunciare i pericoli per la Costituzione e poi non trarne le conseguenze costruendo uno schieramento per impedirne lo snaturamento è una contraddizione inspiegabile. Anche perché la maggioranza di Draghi comprendeva Lega e Forza Italia che hanno condizionato le politiche del governo. Quindi schierarsi in una difesa acritica di tutto l’operato del governo Draghi aveva (ed ha) poco senso, tanto più che la destra invece millantava ben altri obiettivi in caso di vittoria elettorale, quindi manteneva uno spazio di manovra.

La guerra.
Qui forse c’è il vero punto della difficoltà a creare uno schieramento politico alternativo, per lo meno nei collegi uninominali della Camera e del Senato. L’impressione è che sia arrivato un messaggio (dalla Nato, dagli Usa?) che il temperamento nell’invio delle armi dall’Italia sostenuto da Conte insieme alla richiesta di avviare trattative di pace doveva portare a posizioni diversificate tra Pd e M5Stelle. Comunque sia questo è stato un errore politico. La pace riguarda tutti e non è più accettabile che il tema trattative per la pace resti oscurato da una continua escalation nell’invio delle armi, di crescenti difficoltà nell’economia e nell’energia, mentre gli Usa queste difficoltà non le hanno, anzi vendono il loro Gnl liquefatto a prezzi molto più alti che sul loro mercato interno contribuendo ad una disparità concorrenziale crescente tra Usa ed Europa.
Viene sottovalutata la questione che un’Europa più povera, in recessione e in crisi occupazionale diventerà una polveriera sociale ed economica e l’Unione europea, incapace di iniziativa autonoma per la pace e per salvaguardare la sua economia, ricorda – purtroppo – l’orchestra del Titanic.

Bisogna prendere atto che le “non destre” politiche ci metteranno tempo, se ci riusciranno, a svolgere un’opposizione efficace. La speranza è nelle mani della società, dove la sinistra esiste, ben oltre la definizione di “non destre”, che chiamo così perché nessuno sa oggi come chiamare quelli che non sono destre. Occorre fare crescere movimenti, iniziative, associazioni, cercando di unificare il più possibile. È un buon senso immediatamente comprensibile: occorre unire le forze, sottinteso non come è accaduto con i partiti.

Ad esempio, è arrivata la notizia importante che il 5 novembre ci sarà una grande manifestazione unitaria per la pace a Roma, di straordinaria importanza per invertire una tendenza remissiva e sbagliata.

Occorre dare maggiore respiro ed unità agli obiettivi cominciando dal lavoro per la pace che deve essere un assillo quotidiano, in alternativa alla ripetitiva insistenza sulle armi e sulla rincorsa agli armamenti, in cui si è distinto il segretario generale della Nato.

Pace, ambiente, contrasto al cambiamento climatico, investimenti massicci nelle energie alternative, politiche industriali e occupazionali, cancellazione del Jobs Act e nuovi diritti per chi lavora, contrasto radicale alla povertà ormai in crescita esponenziale. Se questo dovesse suonare come smentita di precedenti comportamenti pazienza, chi ha deciso sbagliando se ne farà una ragione e finalmente le destre si confronteranno con piattaforme forti e alternative nate dalla società, anziché dai partiti.

È una speranza che potrebbe diventare una certezza di cambiamento della stessa politica, che dovrà raccogliere le istanze, cambiare o affondare.
Dalla società debbono venire scelte nette e forti, di protagonismo attivo, nella consapevolezza di un ruolo insostituibile, tale da provocare un terremoto politico nelle “non destre”, che dovranno adeguarsi o lasciare il posto ad altro/i.

Non è certo il momento di frenare ma di suscitare partecipazione attiva, consapevole, protagonismo, capacità di iniziativa e la responsabilità oggi è sulle spalle della società, dei movimenti che la percorrono, per creare un salto di qualità nella stessa politica.
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Ufficio stampa: Andreina Albano 3483419402 – andreinaalbano@gmail.com
Adesione del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale
alla manifestazione nazionale per la pace che si terrà il 5 novembre a Roma

Aderiamo alla Manifestazione nazionale per la pace indetta per il 5 novembre a Roma da Europe for peace, con l’adesione di tantissime organizzazioni sociali, sindacali, laiche, cattoliche, culturali, di volontariato. Una manifestazione che è espressione della volontà di pace che viene in primo luogo dalla società civile.
L’escalation della guerra in Ucraina sta rischiando di portare il mondo sull’orlo di uno scontro nucleare. Di fronte a questo pericolo per l’intera umanità si è levata forte la voce di papa Francesco: “Quanto sangue deve ancora scorrere perché capiamo che la guerra non è mai una soluzione, ma solo distruzione? … Si giunga subito al cessate il fuoco” La manifestazione del 5 novembre risponde quindi all’accorato appello del Papa e di tutte le voci che si sono levate dal mondo laico e pacifista perché le armi tacciano e si imbocchi con decisione la strada di una trattativa con la mediazione dell’Onu e di paesi che agiscono sotto la sua egida, che possa portare ad una conferenza internazionale di pace, come fu quella di Helsinki nel 1975, in piena guerra fredda che permise di evitare per molti anni uno scontro tra le maggiori potenze.
La continuazione della guerra iniziata con l’invasione russa, l’invio di armi sempre più potenti all’Ucraina da parte dei paesi della Nato, fra cui il nostro, la minaccia di usare armi nucleari da parte della Russia, il decreto del Presidente Zelensky che vieta di aprire negoziati con Mosca si muovono in direzione contraria alla pace e spingono il mondo sull’orlo di un baratro.
Non c’è vittoria sul campo per nessuno. Questa è una guerra a perdere per tutti. Per questo va fermata subito.
L’Unione europea deve uscire da un comportamento di appiattimento alle decisioni americane e assumere un ruolo politico autonomo sullo scenario mondiale esercitandolo in nome della pace. Il nostro paese, sulla base della nostra Costituzione, deve assumere immediatamente nella Ue e nelle relazioni con gli altri stati la funzione di proposta e di stimolo alle iniziative necessarie per creare le condizioni della pace.
Il Cdc invita quindi tutti gli aderenti e i comitati locali ad organizzare la massima partecipazione il 5 novembre a Roma e a partecipare attivamente a tutte le iniziative sul piano locale, come quelle già previste tra il 21 e il 23 ottobre, per il cessate il fuoco e per arrivare alla pace.
La presidenza del Coordinamento per la democrazia costituzionale
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