Rocca anteprima. Il nuovo numero da oggi online

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- Rocca 18/2022 del 15 settembre 2022.

Noialtri
Editoriale di Mariano Borgognoni su Rocca 18/2022.

Abbiamo concluso qui in Cittadella un bel corso di studi cristiani sull’opera poliedrica e profetica di Pier Paolo Pasolini a 100 anni dalla nascita e a 60 dal suo primo incontro con don Giovanni Rossi e la Pro Civitate Christiana. Ci siamo misurati con la memoria certo, ma prima di tutto con il deserto culturale contemporaneo, da Pasolini lucidamente previsto, e con l’opportunità o la necessità di ricominciare daccapo che il deserto offre sempre. La fine delle ideologie può giungere a sua volta alla fine. Pensieri lunghi e profondi possono nascere quando le crisi che ci vengono addosso non trovano ricette negli archivi del passato ma, semmai in esso sono custoditi spunti, intuizioni, percorsi interrotti che chiedono di ricominciare l’opera andando oltre la pura resistenza o, peggio, la resa. Dobbiamo farlo noialtri. Non altri al posto nostro. Per vie nuove, capaci di dare vita a inedite forme politiche, forse ad una biopolitica che riannodi i fili tra esperienze concrete di socialità e solidarietà molecolarmente diffuse e orizzonte generale di governo della società.

Noialtri nella identità e nella diversità, nella stessa possibilità di cambiarci. Nell’essere insieme ma senza essere assorbiti nell’indifferenziato che realizza nel presente il rischio di omologazione lucidamente intuito da Pasolini mezzo secolo fa. «Prevedo la spoliticizzazione completa dell’Italia: diventeremo un grande corpo senza nervi, senza più riflessi. La strada maestra fatta di qualunquismo e di alienante egoismo è già tracciata» scrisse. Come non vederlo nel vuoto di una politica che, anche in questa campagna elettorale, non trova le parole, quelle autentiche. Se, come scriveva Ionesco «contano solo le parole, il resto sono chiacchiere», la sensazione oggi è quella di essere dentro una bolla leggera ed evanescente dove la chiacchiera è al posto di comando. Di per sé l’assieme del sistema politico italiano meriterebbe un’astensione collettiva. Una sorta di rifiuto militante di stare al gioco. Con una legge elettorale astensiogena ma scientemente lasciata lì per dar vita ad un Parlamento di nominati e non di eletti (non si lamenti poi il parlamentare di essere considerato un quisque de populo). E con questa legge elettorale, con la stupida tagliata d’accetta sul numero dei parlamentari (ultimo dei problemi di una opportuna riforma istituzionale che, per esempio, differenzi le competenze di Camera e Senato) i partiti, sempre più pallidi ed esangui come capacità di rappresentanza e di pensiero, non hanno neanche aperto le liste a quanto di significativo poteva venire da diversi settori della società. Malgrado tutto però, sarà opportuno votare, pur dentro i limiti di questa sovranità mutilata. Esprimere un voto. Un libero voto. Attenti: la teoria del voto utile rischia di far aumentare l’astensione e di essere un boomerang micidiale.
Occorre votare perché la corsa evocata dalla nostra copertina possa riprendere. La corsa dei diritti sociali e civili; la corsa a cercare soluzioni socialmente sostenibili nella crisi che addenta le condizioni elementari di vita di molti. La corsa contro le forze del razzismo, del «tassapiattismo», dell’iniquità sociale e della regressione civile. Una corsa per rendere più forte l’argine democratico e costituzionale e tenere aperta la possibilità di dar vita a nuove soggettività politiche capaci di pensare e costruire un diverso paradigma sociale e nello stes- so tempo ancorarlo all’antico sogno di alleggerire il mondo dall’ingiustizia.
In questo numero abbiamo voluto rimettere al centro dell’attenzione il perdurare della guerra e del suo ferreo legame con l’aumento della povertà, un argomento nascosto per calcolo e per viltà dal confronto elettorale. Con l’intervista a Carlo Rovelli abbiamo riproposto i temi decisivi e ormai non solo concreti ma incombenti della costruzione di un nuovo ordine internazionale multipolare che ponga la risoluzione pa- cifica delle controversie internazionali, la crisi bruciante dell’ecosistema e la lotta alle disuguaglianze al centro di una grande politica. Perché non la strutturale anarchia del mercato ma solo la politica può gover- nare i processi globali secondo un fine e non secondo il mero interesse.
Ci vorrà un nuovo internazionalismo capace di rileggere il globale e il locale e le loro connessioni. E, dentro di esse, le permanenti esigenze di garantire la dignità umana, i diritti sociali e civili, l’emancipazione dalla miseria e dallo sfruttamento. Su questo (non su altro) i cattolici nell’insieme dovrebbero uscire da una certa afonia, come scrive nel suo articolo Gaiardoni. Ma sull’argomento torneremo. Per ora ne parla solo il Papa. Se non sarà troppo tardi dovremo parlarne tutti. ❑

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