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Crisi ed elezioni
Siamo semiseri

L’editoriale di Mariano Borgognoni.

Sul palcoscenico è tutto un piangere ma dietro le quinte attori per lo più mediocri e musicisti suonati non hanno la faccia di funerale che gli ingenui si aspetterebbero. Insomma appena si sgonfia la bolla delle parole vuote della politique politicienne si vedono ben pochi innocenti dietro la crisi di governo, lo scioglimento delle camere e la convocazione delle elezioni per il 25 settembre. Diciamo che Conte ha fatto da vettore accendendo il cerino che ha dato inizio all’incendio, ma appena calato il fumo si sono scoperti diversi altarini. Certo i Cinquestelle cercavano di uscire dal labirinto nel quale si erano improvvidamente infilati e hanno battuto la testa qua e là. Niente di grave per il Paese che di vaffaisti e qualunquisti può fare a meno. E d’altra parte anche in politica gli epifenomeni privi di fisionomia scompaiono alla svelta. Se la più grottesca delle maschere della politica italiana li chiama ormai «il partito di Conte», siano contenti: non è la caduta peggiore che gli potesse capitare. Ripartano dalle due/tre cose buone che hanno fatto (per esempio il reddito di cittadinanza); quelle che avrebbe dovuto proporre la Sinistra, magari congegnandole un po’ meglio. Ma la Sinistra esiste o è stata vittima dei cambiamenti climatici della contemporaneità?
Ma torniamo agli «altarini». Come non vedere la cosiddetta Destra di governo con la miccia ancora in mano. Avranno ragionato così: «meglio andarci subito (al voto) piuttosto che aspettare ancora mesi (di crisi sociale) nei quali the other woman potesse ancora crescere e chiudere definitivamente la partita interna sulla leadership. Sì perché a breve la si può ancora giocare, con Berlusconi che anche con una manciata di voti può avere una golden share importante, fortemente condizionante. Infatti, se guardate con attenzione la prossemica, la donna madre cristiana italiana non sembra poi così contenta come temesse sorprese. E il Pd? Sì punto interrogativo. È di certo il partito/sistema, anche nel significato positivo di chi ha un minimo senso dello Stato e delle Istituzioni. Ma talvolta è sembrato darsi morto, far parlare il silenzio, aspettare che gli altri si incartassero. E spesso gli ha detto bene, anche se alla lunga così non si può campare. Certamente i Dem temevano che lo smarcamento dei cinquestellati li facesse rimanere soli nella bad company di governo che residuava. E poi, perso per perso, un voto così, al volo, può anche riservare una sorpresa buona.
E siamo a Mario Draghi. Diciamolo chiaro, se avesse voluto rimanere sarebbe rimasto. Andare in aula e riempire di ceffoni a destra e a manca era la via migliore (notate l’aggettivo) per togliersi di mezzo. E rimanere una bella riserva della Repubblica o di altro. Peraltro senza imbattersi nella procella autunnale poco prima delle elezioni. Per concludere questa disamina semiseria solo nella forma, arriviamo al Colle più alto. Sergio Mattarella, rigoroso custode dell’interesse nazionale, avrà più o meno ragionato così (ci si scusi l’ardire Presidente): meglio 10 mesi di campagna elettorale o, togliendo il generale agosto, una mesata di comizi e via? Una sveltezza elettorale peraltro con l’affido al Governo non solo del disbrigo degli affari correnti ma anche del monitoraggio della guerra, della predisposizione dello schema della legge di stabilità e di alcuni passaggi necessari all’attuazione del Pnrr. Voglio vedere chi romperà le scatole a Draghi su questo. Chi lo farà sarà elettoralmente morto. Quindi non lo farà nessuno. Certo, con l’anticipo delle elezioni, si paga un prezzo reputazionale a livello internazionale (ma nel mondo sanno come siamo fatti). E si fregano gli elettori mandandoli a votare con l’insulso Rosatellum che gli toglie sovranità e concede alle oligarchie di partiti spesso esangui un potere drogato. Ma tanto questo pessimo Parlamento di nominati (con rispetto parlando) la riforma elettorale non l’avrebbe fatta.
Se notate un filo di indignazione, non fateci caso: è che si vorrebbe scegliere chi ci rappresenta e si desidererebbe un Parlamento degno della sua funzione, almeno di quella ancora formalmente sancita dalla Costituzione. E si spera (spes contra spem) che tut- te le forze politiche offrano agli elettori candidati non solo onesti e competenti ma rappresentativi di esperienze, bisogni e mondi sociali, capaci perciò di riannodare i fili slabbrati del tessuto democratico del Paese. Ma ormai tutto questo è alle spalle. Bisogna guardare avanti. (Paura eh!). Ai nastri di partenza si vedono per ora una Destra a trazione nazionalsovranista che parte coi favori del pronostico (il che non è sempre un vantaggio). Il cavaliere si è «inchiottato» lì rinfrescando la sua radice populista (o l’abbiamo dimenticato?). C’è poi intorno al Pd una corona centrista che agita l’agenda Draghi (ma esiste?) come fosse il libretto rosso di Mao Tse Tung. Bisogna sperare che cammin facendo vada oltre e definisca un profilo più chiaro e comprensibile agli elettori. Magari meno schiacciato sulla mera difesa delle cose fatte e della loro inevitabilità. Si pensa davvero di dire agli elettori: votateci, faremo quello che abbiamo fatto fino ad ora? C’è da domandarsi inoltre se non sia stato troppo precipitoso il passaggio dal campo largo a un campo che dà l’impressione di essere oblungo. Ci sarebbe forse lo spazio per un Fronte Popolare (fatemelo chiamare così per provocazione) che tenga insieme 3 agende: quella sociale, quella verde e
quella rossa. Insomma lavoro e lotta alle povertà, radicalità socio-ecologica, legalità e contrasto alle mafie, rifiuto della logica riarmista. Un’area che ridefinisca una teoria critica della società capace di un pensare audace e di un agire accorto e non di un pensare accorto e di un agire audace. Non dovrebbe essere lo smarcamento tattico ma la profondità ideale e programmatica il fattore principale. Ma il tradiziona- le spirito di scissione della Sinistra lo consentirà? Più no che sì. Che poi. Dico poi, la seconda e la terza area possano dialogare è cosa tutta da vedere.
Certo un’offerta politica articolata potrebbe consentire almeno di combattere l’astensionismo e tenere aperta una partita che i sondaggi vorrebbero chiusa. E il ritorno della politica sarebbe già buona cosa dopo decenni di papi stranieri, unti dal Signore, tecnocrati, attori, che non ha pari in Europa. Solo che l’inizio della campagna elettorale non è incoraggiante, tra Madonne e Rosari, piantumazioni a gogo, celodurismi atlantisti, c’è solo da augurarsi che arrivi la pioggia a riportare il senno di Orlando dalla Luna.
Mariano Borgognoni
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