È online Rocca 14/2022
L’Editoriale
di Mariano Borgognoni
PENSARE LA FEDE
viva la teologia viva
A partire da questo numero apriamo uno spazio ad un libero confronto teologico che sentiamo quanto mai opportuno, all’interno di una rivista che tiene molto al suo carattere laico ed ha a cuore la sua ispirazione cristiana. Una sorta di pentecoste teologica della cui necessità parla anche il Papa. [segue] La fede è sempre pensata, come insegna Agostino, e Dio è sempre, ontologicamente, una domanda aperta. A partire da questa convinzione ci pare utile offrire ai nostri lettori un «discorso su Dio» in un tempo segnato non tanto dalla secolarizzazione, nel cui ambito i valori e le mete della salvezza e della redenzione erano state assunte, sia pure nei soli perimetri della storia, ma dalla «secolarizzazione della secolarizzazione», cioè nel momento in cui non solo Dio come fondamento di quelle mete viene accantonato ma tende ad essere sradicata l’idea stessa di redenzione e di salvezza. Sarà pur stata la religione «oppio dei popoli», in tante occasioni, ma certo la progressiva erosione di ogni dimensione di alterità e di oltrità schiaccia gli uomini su un presente che finisce per essere un luogo di desideri corti e di lunghe frustrazioni. Allora viva la teologia viva! Cioè una riflessione su Dio che è sempre anche una riflessione sull’umano, condotta dalle donne e dagli uomini di un mondo abitato e compreso attraverso le parole di questo tempo. Ci sono certo domande eterne ma appunto costantemente aperte al pensare, al sentire e all’agire. Ad esse bisogna cercare risposte contemporanee che ridicano la fede in una «lingua» comprensibile. Anche e soprattutto nella nostra fetta di mondo, in cui viviamo il tempo della dimenticanza di Dio o della sua irrilevanza, che è poi la stessa cosa. Siamo dentro una sorta di bolla che è stata felicemente definita: agnosma diffuso. Tuttavia appare piuttosto evidente che alla vaticinata «morte di Dio» non è l’uomo che diventa Dio, riappropriandosi di quanto di sé aveva in Dio alienato, ma è, al contrario, l’uomo che rinuncia al sogno della propria piena umanizzazione. Insomma né l’oltreuomo nietzschiano né l’uomo onnilaterale marxiano si scorgono all’orizzonte. Anche per questo ci sembra utile aprire un fronte teologico contro il declinante ottundimento intellettuale della società dei consumi, contro lo stolido ottimismo dell’intelligenza di chi non vede il misteryum iniquitatis, contro ogni riduzionismo antropologico volgare. Un fronte fraterno e polemico che significa, prima di tutto, liberare Dio dalle false immagini di Dio. Questo mi pare essere oggi il compito della teologia che, ad ogni buon conto, come avvertiva Tommaso è sempre «paglia da bruciare», potendo vedere di Dio, al massimo, le spalle (Es. 33, 18-34). Anche il pontificato bergogliano con la sua salutare ventata di novità, ha bisogno di un radicale accompagnamento teologico. Qualcuno sosteneva che non ci fosse prassi rivoluzionaria senza teoria rivoluzionaria. Alla lunga non c’è un modo nuovo di vivere la fede se non si fonda su un nuovo discorso su Dio. Che, per i cristiani, ha un criterio dirimente: Gesù Cristo. È lui che ha mostrato il volto di Dio che nessuno ha mai visto (Gv. 1,18). Lì bisogna tornare, facendo quell’operazione del granchio di cui ho parlato nello scorso editoriale: tornare all’essenziale. Togliere è più importante che aggiungere. Anche togliere una parte del pensiero teologico, rinnovarlo, superarlo, sapendo che sono in campo oggi nuovi approcci e punti di vista, a cominciare da quello femminile, portatore di una sensibilità differente emersa dopo una lunga glaciazione sociale ed ecclesiale. Come è interessante che del discorso su Dio si occupino anche coloro che non sono rivestiti di un ordine sacro. Da quella collocazione si può abitare diversamente il dubbio, la sfida, il bisogno di senso che vive anche nei luoghi più refrattari e distanti dal raggio d’azione dell’ecclesialità organizzata. Certo la teologia pur avendo un suo rigoroso statuto epistemologico e un suo apparato scientifico, non è la disciplina di soli e freddi specialisti. «Che cosa è un professore di teologia?» Si chiedeva Kierkegaard. E si rispondeva: «è uno che è professore di teologia per il fatto che un altro è stato crocifisso». E allora la teologia ha a che fare con la vita, il credere con l’agire, lo studio con la testimonianza (almeno quella che si riesce poveramente a dare). È vero che la ricerca di Dio, il mettersi sulle sue tracce, espone alla disperazione o, peggio, all’arroganza. «Più di ogni altra scienza, può diventare la caricatura di se stessa», ammoniva Karl Barth. Eppure essa resta davvero, dentro questo rischio, la «gaia scienza», quella che può liberarci dalle immagini fasulle di Dio, allontanarci dalle contraffazioni della fede, potarci dalle idolatrie più varie e aiutarci a costruire, vivere e trasmettere una fede adulta. Che non risponda alle domande che non ci vengono fatte ma a quelle che stanno sulla punta della lingua e sotto la pelle di donne e uomini d’oggi. Speriamo che anche questo nuovo spazio rocchiggiano sia d’aiuto.
Lasciatemi dire infine che nel titolo immaginato per questa nuova rubrica abbiamo operato un innocente semiplagio nei confronti di Armando Matteo, Segretario nella Congregazione per la dottrina della fede, che ha intitolato uno dei suoi ultimi libri «Evviva la teologia». Nello «strillo» di copertina ha scritto una frase che facciamo nostra: «Non c’è scienza più viva di quella che, creando ponti con la rivelazione del mistero di Dio offerta da Gesù, vuole portarci nella luce di questo mistero». E non si pensi che la facciamo nostra per avere un amico al Sant’Uffizio!
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PENSARE LA FEDE
viva la teologia viva
ROCCA 15 LUGLIO 2022
l’editoriale
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