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La crisi delle democrazie e il futuro del pianeta
28-06-2022 – di: Gian Giacomo Migone su Volerelaluna.
Giungono nuove notizie allarmanti dagli Stati Uniti. La sentenza della Corte Suprema, ormai in balia di una maggioranza militante di centro-destra, che abolisce quella precedente Roe v. Wade, di fatto annulla il diritto federale di aborto, vigente da 50 anni, dando via libera ai singoli stati più o meno abolizionisti. Se a questo dato di fatto si aggiunge la difficoltà del Congresso di porre limiti anche esigui alla diffusione delle armi, che continuano a provocare stragi di innocenti, cresce il pericolo di una crisi democratica che rischia di diffondersi nel mondo intero. La democrazia americana è anche nostra. E scrivo americana perché mi riferisco a un intero continente di cui gli Stati Uniti costituiscono una parte, oggi meno egemone che mai.
La democrazia, intesa come sistema di governo fondato sulla sovranità popolare di cittadini elettori, a cui spettano diritti di rappresentanza e di libertà, in primo luogo di espressione, è oggi indebolita ovunque essa è presente, con scarsa consapevolezza dei suoi aventi diritto a causa della reticenza mediatica. Mi spiego con un esempio. I principali media, non soltanto italiani, hanno trascurato una notizia di rilevanza mondiale. Esponenti delle forze armate del Brasile, ove si svolgeranno elezioni presidenziali quest’autunno, hanno appena espresso la convinzione che esse non si svolgeranno regolarmente. Il presidente in carica, Jair Messias Bolsonaro – che nei sondaggi d’opinione risulta indietro di oltre una ventina di punti rispetto al suo sfidante, Luiz Inacio Lula da Silva (già presidente, per anni illegalmente detenuto a seguito di accuse di corruzione rivelatesi false) – ha subito cavalcato questa delegittimazione preventiva di un sistema elettorale a cui deve la poltrona su cui è seduto da quattro anni, ipotizzando un meccanismo di controllo parallelo, gestito dagli stessi militari. Con ogni probabilità si tratta del preannuncio di un tentativo di golpe, nel caso di un esito favorevole allo sfidante, nel paese dal corpo elettorale attivo più numeroso del mondo, dopo quello dell’India e degli Stati Uniti.
In India le elezioni hanno appena avuto luogo in forma regolare, anche se con un esito per altri versi inquietante, in quanto hanno confermato, a grande maggioranza, il governo di Modi, il quale persegue una politica che calpesta i diritti delle minoranze non hindu – in primo luogo, quella musulmana – e, di conseguenza, il compromesso costituzionale su cui si fonda quella democrazia.
Altrettanto, se non più pericoloso, per il potere militare colà detenuto, è lo stato della democrazia negli Stati Uniti d’America. Come noto, è in corso un’indagine della Camera dei Rappresentanti (ove, fino alle elezioni di novembre, i Democratici detengono la maggioranza) su quanto avvenuto in occasione dell’insediamento della presidenza Biden, il 6 gennaio 2021. Da filmati e testimonianze raccolte – non esclusa quella del ministro della giustizia dell’amministrazione Trump – l’assalto violento dei dimostranti, guidati da gruppi parafascisti alla sede del Congresso non è stato soltanto ispirato e, in parte, aizzato dal presidente uscente, ma ha avuto lo scopo di annullare e sovvertire l’esito elettorale che, secondo la procedura costituzionale, era in corso di definizione. L’iniziativa in atto, forse destinata a sfociare nell’incriminazione di Donald Trump, potrebbe essere interpretata come un segno di buona salute istituzionale e democratica, se non fosse accompagnata da una molteplicità di elementi di fatto che ne rendono problematica la conclusione. In primo luogo la grande maggioranza dell’elettorato che ha dato il proprio voto a Trump – secondo risultati ufficiali che gli hanno comunque assicurato oltre il 47% dei voti – continua ad essere convinta che l’esito sia stato taroccato a favore del presidente in carica. In ciò incoraggiati da Fox News, la più seguita emittente televisiva del paese, oltre che, sin dall’inizio – occorre non sottacerlo – da regole e meccanismi elettorali così assurdamente variegati, stato per stato, addirittura contea per contea, da offrire un’aura dì plausibilità anche a rilievi palesemente strumentali. Colpisce altrettanto lo scarsa attenzione che l’altra parte del paese, quella democratica, sembra dedicare alla controversia in atto. Un’opinione pubblica trasversale, da sempre volubile quanto e più della nostra, è oggi maggiormente concentrata su temi quali l’inflazione, la sicurezza pubblica, l’immigrazione, ora anche l’aborto, per gli effetti reali e percepiti sulle condizioni di vita di ciascun cittadino. I sondaggi di gradimento del presidente in carica, intorno al 30%, stanno a indicare il pericolo di una rielezione di un presidente dichiaratamente ostile, quantomeno indifferente, ai valori costituzionali del suo paese. Nel contempo, è sempre più evidente, nella politica estera di Washington, la contraddizione tra i valori professati e il modo in cui vengono esportati manu militari e con effetti negativi, mentre permangono le ferite all’habeas corpus causate dalle amministrazioni precedenti di cui il campo di concentramento di Guantanamo costituisce il monumento. È comunque da registrare in senso positivo lo sviluppo di un’area progressista guidata dal senatore Bernie Sanders, all’interno del partito democratico, che fa dichiaratamente riferimento al socialismo democratico, un tempo innominabile quanto il comunismo.
Ma in quale contesto si colloca la crisi democratica in atto, da cui il nostro continente, il nostro paese, sono tutt’altro che esenti, come dimostra, tra l’altro, la decrescente partecipazione dei cittadini alle scadenze elettorali?
In un’ottica globale sono in gioco due prospettive che la guerra in corso in Ucraina rende evidenti. Da una parte la dinamica e il prolungamento di quella guerra, scatenata dalla Russia e prima innescata, poi alimentata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati minori nell’ambito della NATO, costituiscono una sorta di prolungamento militarizzato, su terreno europeo e a spese della popolazione ucraina, della Guerra Fredda, disinnescata dalla caduta del Muro di Berlino. Dall’altra, si profila una lenta e difficile transizione dal bipolarismo, ancora favorito da Washington e da Mosca, a un sistema multipolare non ancora governato. A questo fine non sono sufficienti il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ancora paralizzato da veti incrociati, e il pletorico G20. Costituisce, invece, un interessante antidoto all’assetto precedente, la ricostituzione del BRIC – che, al di là dei regimi vigenti, comprende Brasile, Russia, India e Cina – e il suo allargamento al Sud Africa e, forse, all’Argentina. Restano fondamentali il consolidamento dell’ancora precaria Organizzazione per l’Unità Africana (OUA) e – responsabilità nostra – il rafforzamento politico e strategico dell’Unione Europea, in prospettiva affrancata dai suoi vincoli con gli Stati Uniti. In tale contesto, favorito da scambi commerciali scevri da spinte autarchiche e militariste oggi prevalenti, i sistemi democratici, oggi pericolanti, potrebbero rilanciarsi in una pacifica convivenza con una dittatura in ascesa, che ha realizzato l’affrancamento di una parte cospicua della propria popolazione, ma che non ha superato un’inquietante sovrapposizione di poteri istituzionali, finanziari e militari. Quella della Cina che, anche per la neutralità assunta in sede ONU rispetto allo stato di guerra in atto, pur partecipando alla generale politica di incremento delle armi, non sembra avere abbandonato la tradizionale impostazione multipolare della sua politica internazionale.
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Armi all’Ucraina: due domande agli amici che hanno indossato l’elmetto
28-06-2022 – di: Livio Pepino
Su Volerelaluna
La guerra in Ucraina prosegue con un andamento che la propaganda bellica non riesce a nascondere. Com’era prevedibile, data la diversità delle forze in campo, l’esercito russo avanza. Lentamente, ma avanza. E l’occupazione si estende a località strategiche e si consolida (anche se il Governo di Zelensky e i media nostrani sostengono che il ritiro delle truppe ucraine è dovuto all’intento di attestarsi in una miglior difesa: sic!). La cosa non mi piace ma ciò non cambia la realtà. La guerra non finirà a breve e non ci saranno vincitori né dichiarazioni di resa. Quando le grandi potenze – non l’Ucraina – lo decideranno si arriverà a un compromesso, magari a partire dagli accordi di Minsk del 2014 e del 2015, firmati da tutte le parti e non rispettati da alcuna. Non sappiamo quando ciò avverrà ma a determinarlo saranno esclusivamente gli interessi geopolitici delle grandi potenze, come rivendicano, quotidianamente e senza pudore, non solo Putin e i suoi generali ma anche i governanti degli Stati Uniti e dei più importanti Paesi europei, che pretendono di dettare i tempi e i modi delle trattative. Intanto ci saranno ulteriori carneficine, distruzioni, esodo di popolazioni, sofferenze immani. Poi si arriverà al compromesso: quello stesso a cui si sarebbe potuti arrivare due o tre mesi fa o si potrebbe arrivare oggi. Che questa sia la situazione lo sanno tutti ma l’interesse geopolitico (ammantato con nobili parole) fa aggio sulla verità.
Perché quanto accade non sia solo una inutile mattanza bisogna, nonostante tutto, continuare a ragionare. Non sulla legittimità della resistenza degli ucraini all’invasione e al sopruso, che è un diritto fondamentale e inviolabile (https://volerelaluna.it/commenti/2022/04/21/a-due-mesi-dallinizio-della-guerra/), come quello dei curdi, dei palestinesi, degli yemeniti e dei tanti popoli ugualmente violati nel mondo. E neppure sul fatto che le vittime siano comunque tali e abbiano il pieno diritto alla relativa considerazione internazionale, indipendentemente dalle loro idee politiche e dalle scelte dei loro governi. Non sono questi, oggi, i nodi del contendere e quel diritto e quello status non sono affatto negati dai “pacifisti” che, al contrario, sono – in Italia e in tutta Europa, nonostante le accuse e gli insulti dell’establishment – quelli che più si spendono in aiuti alla popolazione ucraina e nell’organizzazione dell’assistenza ai profughi.
Il nodo del contendere è, oggi, l’atteggiamento della comunità internazionale (e, in essa, del nostro Paese) di fronte al conflitto in corso. Gli Stati Uniti e la Nato hanno scelto fin dall’inizio della guerra (anzi prima ancora dell’inizio…) la strada di un massiccio invio di armi all’Ucraina. E, in Italia, governo e parlamento si sono prontamente allineati, fedeli a un atlantismo acritico e subalterno, col sostegno dell’opposizione di Fratelli d’Italia e di tutti i grandi mezzi di informazione. Nessuna sorpresa in ciò. Ma colpisce che a questa linea si siano accodati, talora letteralmente indossando l’elmetto, molti intellettuali e studiosi un tempo schierati per la pace “senza se e senza ma”. Ferma la legittimità di ogni cambiamento di opinione, credo che ad essi almeno due domande (sincere e non retoriche) vadano poste, per riannodare – se possibile – le fila di un dialogo o, comunque, a futura memoria.
La prima domanda è all’apparenza provocatoria e paradossale (almeno se proveniente da chi è schierato per la pace subito). Se – come dicono i fautori dell’invio delle armi – quello in corso in Ucraina non è solo un conflitto territoriale (seppur gravissimo) ma uno scontro di valori e di principi in cui sono in gioco la democrazia, i diritti umani, la stessa civiltà a livello planetario e se, per questo, le scelte sul terreno non sono politiche ma etiche, perché la comunità internazionale deve limitarsi all’invio di armi (delegando agli ucraini la difesa sul campo di quei valori) e non intervenire direttamente con uomini ed eserciti? Perché – si dice – così facendo si scatenerebbe una nuova guerra mondiale, magari con l’uso di armi nucleari, con costi umani ed economici insostenibili. Risposta sacrosanta e del tutto condivisibile, direi ovvia. Che peraltro, a ben guardare, ribalta la premessa dell’invio delle armi e rende palese che anche in questo conflitto non ci sono decisioni eticamente necessitate bensì un delicato bilanciamento di principi e di interessi. Ma, se così è, il discorso si sposta sull’opportunità, sui costi, sull’efficacia dell’invio delle armi, da comparare con altri interventi possibili (negati solo da chi non li vuol vedere perché abituato a ragionare esclusivamente nella logica della guerra: https://volerelaluna.it/controcanto/2022/06/24/draghi-prigioniero-di-putin/) e con pressioni della comunità internazionale tese a favorire una soluzione negoziata del conflitto (a partire – già lo si è detto – da accordi accettati in passato da tutte le parti). Né si dica – almeno questo si deve alle vittime quotidiane di questa follia – che la vittoria è alle porte e, con essa, il trionfo del bene: affermazioni valide per la propaganda ma che nulla hanno a che fare con la realtà.
La seconda domanda è ugualmente pressante. Se l’aggressione e la violazione di un popolo sono un’offesa a tutta l’umanità a cui la comunità internazionale deve necessariamente rispondere con la forza e con le armi, perché questa soluzione è adottata in Ucraina e non anche in Kurdistan (dove è in atto un vero e proprio genocidio), in Palestina, in Yemen e via seguitando? Non basta dire che “non ce ne sono le condizioni”: se così fosse, si dovrebbe quantomeno lanciare una campagna, proprio a margine della guerra in Ucraina, perché quelle condizioni si realizzino. Né si parli, per favore, di benaltrismo – come taluno ha fatto, affermando che l’omissione di altri interventi doverosi non inficia la validità di questo –. Non è così. La diversità di trattamento, tanto clamorosa quanto taciuta, è, infatti, il sintomo inquietante del fatto che la tutela dei diritti varia, anche sul piano internazionale, a seconda che i loro titolari siano amici o nemici o, semplicemente, meno amici (e ciò riguarda non solo il sostegno alle popolazioni aggredite e violate ma anche l’accoglienza di chi fugge dalle guerre, come i fatti di ieri a Melilla ancora una volta dimostrano). Ma, allora, la battaglia per i principi e i valori si rivela, in realtà, una battaglia per interessi; ed è, all’evidenza, la ragione per cui la, pur doverosa e sacrosanta, condanna dell’invasione russa vede l’Occidente isolato e non è condivisa dal resto del mondo, governi e popoli (https://ilmanifesto.it/perche-il-sud-del-mondo-non-e-allineato-alloccidente).
È possibile avere, dagli amici che sostengono la necessità di continuare a inviare armi all’Ucraina, risposte pacate e sincere a queste domande?
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