Per la Pace. Ostinatamente!
COMUNICATO STAMPA 18/6/22
L’appello delle realtà cattoliche
L’Italia non può disertare la conferenza di Vienna sul trattato per l’abolizione delle armi nucleari
Il rischio della guerra nucleare è più vicino che mai. È difficile comprendere perciò la scelta dell’Italia di non partecipare, neanche come Paese Osservatore, al contrario di Germania e Olanda, alla Conferenza di Vienna dei Paesi che hanno ratificato il “Trattato per l’abolizione delle armi nucleari”. Le armi nucleari sono armi di distruzione di massa, eticamente inaccettabili anche nel semplice possesso, come ha più volte sottolineato papa Francesco: perché allora non ratificare il Trattato che ne sancisce l’abolizione, già ratificato da 62 Paesi di ogni parte del mondo?
La recente Assemblea Generale dei vescovi italiani ha ripreso e rilanciato nel suo messaggio finale l’appello di oltre 40 associazioni e movimenti cattolici che chiede all’Italia di aderire al “Trattato per l’abolizione delle armi nucleari”, adottato dalle Nazioni Unite fin dal 2017.Come ha messo in evidenza in questi giorni lo “Stockholm International Peace Research Institute” (SIPRI) di Stoccolma, il più autorevole Ente internazionale di ricerca su questi temi, «il rischio di utilizzo di armi nucleari sembra più alto ora che in qualsiasi momento, dall’apice della Guerra Fredda». Gli Stati dotati di armi nucleari stanno aumentando o aggiornando i loro arsenali. Siamo davanti ad una tendenza definita “molto preoccupante” dallo stesso SIPRI.
Il nostro appello, lanciato il 2 giugno 2021 con il titolo Per una Repubblica libera dalla guerra e dalle armi nucleari, è il risultato di una lettura condivisa e urgente dei segni dei tempi per il bene del nostro Paese e dell’intera umanità.
La scelta dell’Italia è incomprensibile dopo il segnale positivo arrivato lo scorso 18 maggio 2022 con la Risoluzione approvata dalla Commissione Esteri della Camera dei Deputati che impegna, almeno, il Governo “a valutare la partecipazione dell’Italia come «Paese osservatore» alla Prima Riunione degli Stati Parti del Trattato di proibizione delle armi nucleari (TPNW)”, in programma a Vienna dal 21 al 23 giugno 2022.
Sollecitiamo perciò nuovamente, in coerenza con la campagna “Italia ripensaci” promossa dalla società civile, la diplomazia italiana a compiere un passo concreto per una qualsiasi forma di presenza del nostro Paese nella Conferenza che si svolgerà dal 21 al 23 giugno a Vienna per iniziativa dell’International Campaign for the Abolition of Nuclear weapons (premio Nobel per la Pace 2017), assieme all’International Physicians for the Prevention of Nuclear War (premio Nobel per la Pace 1985).
Davanti alla temuta escalation della guerra in Ucraina si rivelano di una stringente attualità le parole profetiche di don Primo Mazzolari: «Abbiamo bisogno di giustizia sociale, non di atomiche».
Segreteria organizzativa
Laila Simoncelli, coordinatrice Diritti Umani e Giustizia Comunità Papa Giovanni XXIII
lailaita@libero.it
Michele Tridente, Segretario Generale dell’Azione cattolica italiana
m.tridente@azionecattolica.it
Stefano Tassinari, vicepresidente nazionale Acli
stefano.tassinari@acli.it
Carlo Cefaloni, Movimento dei Focolari, redazione rivista “Città Nuova”
carlo.cefaloni@gmail.com
Don Renato Sacco, Consiglio nazionale Pax Christi
renatosacco1@gmail.com
Anselmo Palini, saggista
palini.anselmo@gmail.com
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Armi all’Ucraina. Dove si pensa di arrivare?
17.06.22 – Guido Viale su Pressenza.
Nell’arcipelago del “pacifismo” (oggi “putinismo”) di chi in queste circostanze è contrario all’invio di armi all’Ucraina – la maggioranza, sia in Italia che in Europa – c’è una componente, più radicale o, se vogliamo, più irremovibile nelle sue posizioni, contraria alla guerra e alle armi sempre, perché è contraria a uccidere per motivi morali. Motivi che prevalgono su qualsiasi altra considerazione di ordine politico o sociale.
Ma ci sono altre componenti, forse meno circoscrivibili, perché fanno dipendere le loro scelte o il loro orientamento dalle circostanze, che sono contrarie ad alimentare questa guerra per considerazioni di altro genere, che riguardano gli interrogativi relativi ai suoi possibili esiti.
Anche nel vasto e vincente, anche se non maggioritario, campo di coloro che sono favorevoli all’invio di armi all’Ucraina o, addirittura, di quante più armi possibile (“Che cosa manca oggi? Armi” riferisce Adriano Sofri) c’è chi invoca innanzitutto – e gli va accreditata sincerità – ragioni di ordine morale: se uno è aggredito con le armi deve difendersi con le armi. Anzi, bisogna aiutarlo a difendersi o addirittura difenderlo noi, sempre con le armi. L’alternativa è la resa, che vuol dire perdita della libertà, dell’onore, della dignità, per lui o lei e l’abbandono, per noi. Altri invece, all’interno di questo campo, antepongono la volontà o il bisogno di salvaguardare o di alterare i rapporti di forza vigenti, cioè la politica, a ogni altra considerazione.
Questo è probabilmente il motivo di fondo per cui l’indignazione che si prova per l’aggressione russa all’Ucraina non si riscontra per quella della Turchia, membro della Nato, al Rojawa (unica vera democrazia del bacino del Mediterraneo) o per l’occupazione della Palestina da parte di Israele.
A tutti va comunque dato atto, salvo prova contraria, di provare orrore per la strage di giovani vite, di donne, bambini e anziani sopraffatti dalle manovre belliche, o costretti a fuggire, a rintanarsi, a subire stupri e violenza, o ad affrontare, nel migliore dei casi, un futuro oscuro e difficile. Anche se in alcuni queste immagini hanno il sopravvento su tutto il resto, mentre altri riescono in qualche modo a metterle da parte.
Nessuno nega a chi è aggredito il diritto di difendersi. Ma come? I fautori dell’invio di armi all’Ucraina non pensano mai che quel paese, se non ne avesse già ricevute in abbondanza prima e dopo l’inizio dell’aggressione russa, avrebbe dovuto per forza fare ricorso alle risorse della mediazione, chiamando in aiuto tutti i potenziali alleati. Non per combattere, ma per richiamarli alle loro responsabilità (“l’abbaiare ai confini della Russia” di papa Francesco, ma anche di una lunga lista di “esperti” che la politica estera la conoscono e l’hanno praticata). Perché è chiaro che a monte e all’origine di quell’invasione c’è un confronto tra Nato e Federazione russa improntato all’ostilità e non certo alla collaborazione.
Queste considerazioni vanno fatte non per “scaricare” o per dividere le responsabilità, ma perché sono la base di partenza di ogni possibile piattaforma di mediazione e di risoluzione del conflitto.
Certamente, più quella guerra si protrae e incancrenisce, accumulando vittime, devastazioni, angherie e odio, più sarà difficile individuare le basi di una possibile cessazione delle ostilità. Forse è per questo che coloro che non vedono altra via per raggiungere un risultato che l’invio di sempre più armi non si pongono la domanda: dove si pensa di arrivare?
Alla vittoria? Quale vittoria? La destituzione di Putin o la disgregazione delle Federazione russa? Per perseguire – non dico raggiungere – quel risultato bisognerà moltiplicare per mille lo “sforzo bellico”, cioè i morti da esigere dal popolo ucraino, ma anche da quello russo. E anche se c’è chi, come Luigi Manconi, sostiene che l’arma atomica non è una minaccia, perché anche dopo la dissoluzione dell’URSS permane comunque nel mondo un equilibrio della deterrenza che la mette fuori gioco, va ricordato che a capo della Federazione russa c’è un uomo paranoico (come tutti i dittatori), forse con i mesi contati, che desidera solo lasciare un suo segno sulla Storia (e non che sull’altra sponda la leadership brilli per lucidità). Questa è sicuramente una delle – sacrosante – ragioni che spingono molti ad approdare all’arcipelago dei “pacifisti”. Altro che putiniani!
Ma anche dando credito a posizioni come quella di Manconi e ipotizzando che il conflitto rimanga confinato entro il recinto delle armi “convenzionali”, tra droni, laser, satelliti, razzi ipersonici, per non parlare di gas e armi biologiche di cui è difficile individuare l’origine, le nuove armi in cammino verso il fronte da entrambe le parti hanno cambiate ancora una volta le caratteristiche della guerra,
L’aspetto più grottesco di questa guerra è comunque la frenesia con cui si aumentano le spese militari e le armi mandate al fronte, per combattere e contrastare un “nemico” da cui si dipende per il funzionamento di tutta la struttura economica, pagando profumatamente le forniture che lo tengono in piedi e poi indignandosi se solo si azzarda a ridurle o a interromperle.
Ma quale esito ci si può aspettare se né Zelensky né Putin possono trattare se non dopo aver ripreso l’iniziativa sul fronte dei combattimenti? Quanto dovrà protrarsi questa guerra guerreggiata? E quanti morti dovrà esigere senza nessuna prospettiva precisa?
Questo è un punto. Ma ce ne è un altro che domina su tutto, compresa l’eventualità di un olocausto nucleare, che è solo una possibilità; mentre l’estinzione dell’umanità per l’incombere della crisi climatica e ambientale è una certezza.
Le guerre, e particolarmente questa, sono un potente fattore di accelerazione della crisi climatica, sia sul fronte dei combattimenti, che consumano risorse, devastano il territorio e emettono gas climalteranti, sia nelle retrovie della “vita civile”, dove sta bloccando e invertendo tutte le timide misure, prospettate più che varate, di contenimento dell’aumento della temperatura planetaria. E questo a partire dalla frenetica ricerca di nuove fonti di combustibili fossili per sostituire quelli russi.
Leggendo qualche articolo di coloro che si schierano senza se e senza ma dalla parte della fornitura di armi all’Ucraina, senza nemmeno prendere in considerazione la possibilità di promuovere subito una mediazione che, in fin dei conti, dovrebbe far capo agli stessi governi che quelle armi le forniscono e le promettono, a me pare che stiamo vivendo in due pianeti diversi: uno dove le “ragioni” degli Stati devono prevalere sulle vite dei loro cittadini e l’altro dove la consapevolezza e la mobilitazione dei cittadini dovrebbero ridurre alla ragione i rispettivi governi.
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Guido Viale
Guido Viale è nato a Tokyo nel 1943 e vive a Milano. Ha partecipato al movimento degli studenti del ‘68 a Torino e militato nel gruppo Lotta Continua fino al 1976. Si è laureato in filosofia all’università di Torino. Ha lavorato come insegnante, precettore, traduttore, giornalista, ricercatore e consulente. Ha svolto studi e ricerche economiche con diverse società e lavorato a progetti di cooperazione in Asia, Africa, Medioriente e America Latina. Ha fatto parte del comitato tecnico scientifico dell’ANPA (oggi ISPRA). Tra le sue pubblicazioni: Un mondo usa e getta, Tutti in taxi, A casa, Governare i rifiuti, Vita e morte dell’automobile, Virtù che cambiano il mondo. Con le edizioni NdA Press di Rimini ha pubblicato: Prove di un mondo diverso, La conversione ecologica, Si può fare e Rifondare l’Europa insieme a profughi e migranti. Con Interno4 edizioni ha pubblicato nel 2017, Slessico Familiare, parole usurate prospettive aperte, un repertorio per i tempi a venire. Sempre con Interno4 Edizioni nel 2018 ha pubblicato l’edizione definitiva e aggiornata del suo importante libro sul ‘68.
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La guerra in Ucraina: c’è chi dice no
14-06-2022 – di: redazione Volerelaluna.
Mentre la guerra continua con il suo carico di morti, feriti e profughi, il mondo è percorso da inni alla guerra, più o meno espliciti e più o meno accompagnati da parole di circostanza sulla necessità che “un giorno” si arrivi alla pace. Anche nel nostro Paese è così e la sinistra con l’elmetto non di distingue dalla destra. Contemporaneamente nel teatro di guerra, in Russia, in Bielorussia e in Ucraina c’è chi, a costo della vita, lavora concretamente per la pace: sono gli obiettori di coscienza, che disertano l’arruolamento e il campo di battaglia. Nessuna fonte ufficiale ne parla ma sono decine di migliaia: per loro la pace è più importante degli opposti nazionalismi.
Alcuni in Europa hanno cominciato a rompere il silenzio ufficiale e a chiedere per loro un appoggio e iniziative concrete.
Va in questa direzione l’appello rivolto ai parlamentari europei dall’International Fellowship of Reconciliation (IFOR), dalla War Resisters’ International (WRI), dall’European Bureau for Conscientious Objection (EBCO) e Connection eV (Germania) che ha avuto l’adesione di 60 altre organizzazioni per la pace, i diritti umani e i rifugiati provenienti da tutta Europa, tra cui il Movimento Nonviolento. L’appello – che contiene anche una bozza di risoluzione del Parlamento europeo (qui la versione italiana) ‒ muove dalla premessa che, secondo il diritto internazionale, i militari e le donne che combattono per la Russia in questa guerra stanno conducendo un’operazione illegale, che verosimilmente anche la Bielorussia sta partecipando alla guerra al fianco della Russia e che in entrambi i Paesi le persone che si rifiutano di partecipare alla guerra molto probabilmente dovranno affrontare un serio procedimento giudiziario, che le qualifica per la protezione ai sensi della Direttiva UE in materia. Eppure negli Stati membri la stragrande maggioranza delle persone colpite non ha ancora ricevuto alcuna garanzia di tale protezione. Si presume che tra le 300.000 persone che hanno recentemente lasciato la Russia a causa della guerra, ci siano molti uomini che cercano rifugio all’estero per evitare di essere mandati in guerra. Negli ultimi mesi circa 20.000 uomini bielorussi hanno lasciato il Paese per evitare il reclutamento. Allo stesso modo ci sono obiettori di coscienza ucraini che non vogliono combattere in questa guerra; circa 3.000 uomini hanno chiesto asilo nella sola Moldavia. Ad ogni cittadino, registrato in Ucraina entro il 24 febbraio 2022, è attualmente concesso il soggiorno umanitario nell’Unione Europea ma è incerto cosa accadrà agli obiettori di coscienza ucraini quando questa disposizione scadrà. La conclusione dell’appello è che i paesi europei devono accogliere queste persone in fuga dallo sforzo bellico senza burocrazia, e garantire loro un diritto permanente di soggiorno. E questo non solo in base a principi umanitari ma perché il diritto umano all’obiezione di coscienza è stato riconosciuto, tra l’altro, dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e dal Parlamento europeo e deve essere garantito a tutti, in ogni dove.
Una posizione analoga, con riferimento agli obiettori ucraini, è stata assunta in Italia dall’Associazione giuristi democratici, che ha diffuso un documento in cui si legge: « In Ucraina, dall’inizio della invasione russa, vige la legge marziale e il divieto di lasciare il Paese per tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni. Il Governo di Mosca, da parte sua, ha previsto la coscrizione obbligatoria dal primo aprile al 15 luglio 2022 per i giovani tra i 18 e i 27 anni. L’escalation militare sta investendo le popolazioni civili anche sotto questo aspetto. Per questa ragione, facciamo appello al Governo ucraino affinché venga allentata questa misura fortemente restrittiva della libertà personale, garantendo che gli uomini di cittadinanza ucraina che per qualsiasi ragione ‒ personale, familiare, politica, religiosa, culturale ‒ vogliano uscire dal Paese, possano farlo in assoluta sicurezza. In tal senso, chiediamo al Presidente della Repubblica, al Governo e ai parlamentari italiani ‒ indipendentemente dalla loro appartenenza politica e dalla posizione assunta sul conflitto Russia/Ucraina ‒ di adoperarsi presso il Governo ucraino affinché un tale provvedimento, in linea con la migliore tradizione giuridica europea in tema di libertà individuali e di obiezione di coscienza, venga assunto al più presto» (è possibile aderire all’appello ai link info@giuristidemocratici.it e https://chng.it/J2rZFgTH).
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