25 aprile Ora e Sempre Resistenza!
Un 25 aprile di lotta per far sorgere la pace
Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi.
Accanto alla gente di Ucraina, a chi resiste in quella terra aggredita, per evitare il sacrificio ancor più grande di un popolo martoriato e un incontrollato effetto domino del teatro bellico. Nelle piazze come ogni anno perché il fascismo fu violenza e guerra fin dalla sua nascita
25 Aprile Antifascismo Guerra e Pace
Il Presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo.
Il 25 aprile è un giorno di festa. Ma mai come quest’anno è segnato da una tragedia che si sta svolgendo da due mesi a 2.500 chilometri di distanza e che potrebbe espandersi come una metastasi. Perché la guerra è una metastasi. Sai come comincia, ma non sai se, come e quando si estenderà.
È la tragedia del popolo ucraino che sta soffrendo un tempo di distruzioni, eccidi, bombardamenti a causa di un’invasione sanguinosa. Il primo pensiero non può perciò che essere rivolto a quella gente che ha visto, da un giorno all’altro, sconvolti il lavoro, la quotidianità, la sicurezza, la vita. Non si può essere indifferenti davanti a una tragedia europea che mette in discussione i fondamenti del vivere civile. La domanda che assilla tutti è come uscirne, come far sì che termini il supplizio del popolo e come evitare che la guerra dilaghi. Per questo è giusto dedicare la Giornata della Liberazione alla pace, com’è sempre stato, è e sarà nelle tradizioni dell’Anpi.
Mirella Alloisio, componente del CLN Liguria, partigiana, ha affermato al congresso nazionale dell’Anpi, che “la nostra lotta è stata prima di tutto una lotta per la pace”. Dedicare il 25 aprile alla prospettiva della pace vuol dire farne il giorno della speranza, il giorno della più grande unità contro l’invasione sanguinosa, una guerra alle porte, il rumore delle armi. Non ci sarà pace senza un negoziato, una trattativa. Non ci sarà pace senza una scintilla che rischiari il buio di una notte che è piombata sull’Ucraina e sull’Europa in modo improvviso e imprevisto. Sia chiaro: c’è un aggredito e un aggressore e c’è il diritto morale e giuridico dell’aggredito di difendersi attraverso una lotta di resistenza. Tutto ciò è essenziale. Ma oggi non è più sufficiente davanti alla continua escalation, alla nuova offensiva militare delle armate di Putin, alle parole di fuoco che intercorrono fra i capi di Stato, al riarmo generalizzato che riguarda i Paesi dell’Unione Europea e le grandi potenze.
Ogni guerra è stata peggiore della precedente perché ogni guerra ha visto un armamento sempre più sofisticato dal punto di vista tecnologico. Da più di 70 anni la guerra ha cambiato natura perché prevede la possibilità dell’uso dell’armamento nucleare. Allo scempio di Hiroshima e Nagasaki è seguito il tempo dell’equilibrio del terrore dove il reciproco timore di un attacco atomico ha comportato un altrettanto reciproca dissuasione dall’uso dell’arma letale. Ma quel tempo, il tempo della guerra fredda, non c’è più; invece dell’auspicato nuovo mondo plurale e policentrico si è imposto un disordine mondiale dove ha prevalso la volontà di potenza, aprendo la fase di un terrore senza equilibrio.
Troppe volte in queste drammatiche settimane si è accennato all’atomica, sia pur come ultima difesa, rompendo un tabù che durava dal dopoguerra. Né dimentichiamo che il nostro Paese, per posizione geografica, per numero di basi militari (Nato e americane), per l’armamento atomico, è una potenza militare e perciò, nella stessa misura, vulnerabile. La pace oggi non è quindi una predicazione astratta da anime belle che non si fanno carico delle dure repliche della realtà, ma un obiettivo urgente ed essenziale per evitare un ancor più grande sacrificio del popolo ucraino e una incontrollata esplosione del teatro di guerra con un effetto domino.
In questo scenario il 25 aprile ci ricorda immediatamente, come un grande sospiro di sollievo, la fine del conflitto che insanguinò il nostro Paese e la liberazione dalle armate naziste e dal fascismo. Il fascismo fu guerra per la sua nascita, la sua vita, la sua morte.
Nacque dalla “inutile strage” del Primo conflitto mondiale e da quell’impasto mortale di nazionalismo, irredentismo, mito della violenza che ne seguì. Visse con la missione della guerra: in Africa, in Spagna, in Francia, nei Paesi orientali. Morì nella sua più grande apologia di violenza, la repubblica di Salò.
E fu la violenza che tenne assieme il suo convulso filo cronologico, dagli squadristi del 1919 alle brigate nere saloine. Una violenza che si costituì come stato d’eccezione permanente per cui l’altro italiano era sempre visto come il nemico interno e perciò perseguitato e, se necessario, ucciso come nel caso di Giacomo Matteotti, dei fratelli Rosselli e di tanti altri antifascisti. La Resistenza fu il contrasto armato, pacifico, civile e sociale a tutto ciò e salvò l’Italia da una sconfitta che ebbe ben più gravi conseguenze nella Germania smembrata e nel Giappone annichilito dalle atomiche. E i resistenti, donne e uomini, nel loro andare in direzione ostinata e contraria, gettarono i semi di quell’impianto valoriale che si incardinò pochi anni dopo nella Costituzione della Repubblica: democrazia, libertà, eguaglianza, solidarietà, lavoro, pace.
Qui ed ora queste parole assumono un significato rinnovato, di pregnante attualità su cui è possibile e necessario costruire la più larga unità delle forze democratiche: pensiamo alle diseguaglianze che hanno raggiunto in questi ultimi anni i picchi più alti dall’ultimo dopoguerra; pensiamo al lavoro in un Paese in cui nel 2022 si contano 5 milioni e mezzo di poveri; pensiamo alla solidarietà, dopo una tragedia di due anni – la pandemia – che ha travolto la vita di più di 160mila cittadini; pensiamo alla democrazia, insidiata da un declino non ineluttabile ma segnato da una crescente sfiducia nelle istituzioni, come si vede dall’altissimo numero di astensioni elettorali; pensiamo alla pace che è oggi la più drammatica emergenza. Su tutto ciò ci si può e ci si deve unire contrastando la pericolosissima deriva della demonizzazione, dell’individuazione dell’altro come il nemico interno, della militarizzazione del dibattito pubblico.
Vogliamo che sia un grande 25 Aprile di unità, di lotta contro la guerra, di impegno per l’attuazione della Costituzione. Vogliamo che sia il giorno in cui portare nelle piazze tutta la nostra intelligenza, tutto il nostro cuore, tutta la nostra passione civile perché si affretti a sorgere una nuova alba.
Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi.
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Manifesto Russell-Einstein
Nel 1955 il filosofo-matematico Bertrand Russell e lo scienziato Albert Einstein si fanno promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e della scelta pacifista per l’umanità, sottoscritta da scienziati e intellettuali di prestigio.
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Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.
Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti, e su tutti i conflitti domina la titanica lotta tra comunismo
e anticomunismo. Chiunque sia dotato di una coscienza politica avrà maturato una posizione a riguardo. Tuttavia noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica la cui evoluzione è stata sorprendente e la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare.
Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”
La gente comune, così come molti uomini al potere, ancora non ha ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Si ragiona ancora in termini di città distrutte. Si sa, per esempio, che le nuove bombe sono più potenti delle precedenti e che se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca.
È fuor di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno verrebbero distrutte grandi città. Ma questa non sarebbe che una delle tante catastrofi che ci troveremmo a fronteggiare, e nemmeno
la peggiore. Se le popolazioni di Londra, New York e Mosca venissero sterminate, nel giro di alcuni secoli il mondo potrebbe comunque riuscire a riprendersi dal colpo. Tuttavia ora sappiamo, soprat- tutto dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe atomiche possono portare gradatamente alla distruzione di zone molto più vaste di quanto si fosse creduto.
Fonti autorevoli hanno dichiarato che oggi è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Se fatta esplodere a terra o in mare, tale bomba disperde nell’atmosfera particelle radioattive che poi ridiscendono gradualmente sulla superficie sotto forma di pioggia o pulviscolo letale. È stato questo pulviscolo a contaminare i pescatori giapponesi e il loro pescato.
Nessuno sa con esattezza quanto si possono diffondere le particelle radioattive, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che una guerra con bombe all’idrogeno avrebbe un’alta probabilità di portare alla distruzione della razza umana. Si teme che l’impiego di molte bombe all’idrogeno possa portare alla morte universale – morte che sarebbe immediata solo per una minoranza, mentre alla maggior parte degli uomini toccherebbe una lenta agonia dovuta a malattie e disfacimento.
In più occasioni eminenti uomini di scienza ed esperti di strategia militare hanno lanciato l’allarme. Nessuno di loro afferma che il peggio avverrà per certo. Ciò che dicono è che il peggio può accadere e che nessuno può escluderlo. Non ci risulta, per ora, che le opinioni degli esperti in questo campo dipendano in alcuna misura dal loro orientamento politico e dai loro preconcetti. Dipendono, a quanto emerso dalle nostre ricerche, dalla misura delle loro competenze. E abbiamo riscontrato che i più esperti sono anche i più pessimisti.
Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile.
Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggior- mente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Tuttavia, anche se un accordo alla rinuncia all’armamento nucleare nel quadro di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe la soluzione definitiva del problema, avrebbe nondimeno una sua utilità. In primo luogo, ogni accordo tra Oriente e Occidente è comunque positivo poiché contribuisce a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, nel momento in cui ciascuna parte fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso come quello di Pearl Harbour, timore che al momento genera in entrambe le parti uno stato di agitazione. Dunque un tale accordo andrebbe accolto con sollievo, quanto meno come un primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.
Invitiamo questo congresso, e per suo tramite gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente mozione:
In considerazione del fatto che in una futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi sono una minaccia alla sopravvivenza del genere umano, ci appelliamo con forza a tutti i governi del mondo affinché prendano atto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e di conseguenza li invitiamo a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le loro controversie.
Albert Einstein Bertrand Russell
Max Born
(Premio Nobel per la fisica)
Percy W. Bridgman
(Premio Nobel per la fisica)
Leopold Infeld
(Professore di fisica teorica)
Frédéric Joliot-Curie
(Premio Nobel per la chimica)
Herman J. Muller
(Premio Nobel per la fisiologia e medicina)
Linus Pauling
(Premio Nobel per la chimica)
Cecil F. Powell
(Premio Nobel per la fisica)
Józef Rotblat (Professore di fisica)
Hideki Yukawa
(Premio Nobel per la fisica)
Trad. it. di Aurelia Martelli
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