Pace in Ucraina e nel Mondo
Siate realisti: chiedete l’impossibile.
Albert Camus
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«Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile»
San Francesco d’Assisi
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È possibile una prospettiva di pace in Ucraina?
di Sandro Antoniazzi
20 Aprile 2022 by c3dem_admin | su C3dem.
La pace non può venire dalla vittoria dell’uno o dell’altro. Può solo scaturire da una mediazione in cui ognuno rinuncia a qualcosa. Ed è l’Unione europea che è la più interessata a prendere un’iniziativa in questo senso. O almeno lo facciano i paesi trainanti, Germania, Francia, Italia, Spagna
La guerra in Ucraina continua con i suoi quotidiani annunci di bombardamenti, uccisioni di civili (quelle dei militari sono segrete oppure i dati hanno un carattere prevalentemente propagandistico), atrocità, esodi e sofferenze infinite.
Ascoltando i resoconti televisivi si parla di armi, di sanzioni, di truppe in movimento, di discorsi di condanna dell’aggressione: l’unica parola che si sente poco pronunciare è la parola pace.
I russi sembrano oggi decisi a continuare la guerra almeno sino alla conquista dell’intero Donbass, per annetterlo definitivamente. D’altra parte, Zelensky afferma che gli ucraini combattono per la vittoria e che non si può trattare con un aggressore criminale.
Anche l’America e la Nato sembrano sulla stessa linea, parlando anche loro di guerra per la vittoria e che la guerra sarà lunga; la recente decisione della Finlandia e della Svezia di chiedere l’adesione alla Nato ha l’ulteriore effetto di gettare benzina sul fuoco del conflitto ( e forse poteva essere evitata, almeno temporaneamente).
Nel caso dell’America è chiaro l’interesse e la volontà che la guerra si trasformi in una sconfitta della Russia, non tanto e non solo sul piano militare, quanto sul piano di un ridimensionamento in quanto potenza.
Da qui anche le ripetute posizioni di Zelensky che tendono a coinvolgere il più possibile il mondo occidentale in una guerra che, a suo parere, non riguarda solo l’Ucraina ma l’intero mondo democratico. Se l’Occidente non partecipasse decisamente e domani l’Ucraina fosse sconfitta, sarebbero enormi i problemi che si creerebbero per l’Europa e l’Occidente stesso. In base a queste convinzioni, Zelensky spinge i suoi discorsi al limite della provocazione chiedendo cose che lui stesso sa bene che sono impossibili e forse tendono a creare almeno un senso di colpa per avere di più e subito: così la non-fly zone, la richiesta di una rinuncia totale al gas russo, l’inutilità dell’ONU, la richiesta di tagliare ogni rapporto coi russi anche sul piano culturale e umano (impressionante a questo riguardo l’intervento relativo alla partecipazione di una donna ucraina e di una russa alla Via crucis di Roma: nemmeno la preghiera può essere fatta insieme).
Se le cose stanno così e ognuno combatte sino al raggiungimento della vittoria, ogni discorso di pace è chiaramente inutile.
E infatti al di là degli appelli inascoltati del Papa, solo il turco Erdogan ha preso un’iniziativa in proposito. Macron, senza poteri, aveva cercato di prendere un contatto, ma poi è stato assorbito dalle elezioni presidenziali.
Ora certamente la pace non può venire dalla vittoria dell’uno o dell’altro; può solo scaturire da una mediazione in cui ognuno rinuncia a qualcosa.
Sembra che sulla neutralità internazionale dell’Ucraina si siano fatti seri passi avanti (e mi si lasci dire che se si fosse dichiarata subito questa disponibilità, le cose avrebbero potuto andare diversamente), mentre le difficoltà maggiori provengono dalle questioni territoriali.
La Crimea è da tempo nelle mani dei russi (e infatti non è un territorio in cui sono in corso combattimenti) e forse questa situazione di fatto potrebbe essere accettata anche da parte ucraina. L’alternativa è che la Crimea rimanga ai russi senza un riconoscimento e quindi materia di contesa anche per il futuro. Ne vale la pena?
Per il Donbass, realtà molto complessa e problematica, si potrebbe individuare una soluzione provvisoria e rinviare quella definitiva a un referendum entro alcuni anni: sia la transizione che le elezioni potrebbero avvenire sotto la regia e la gestione dell’ONU, che in questo caso sarebbe chiamato a svolgere un ruolo effettivo determinante.
Naturalmente è solo un’opinione e non certo da esperto, ma che serve a sostenere che una soluzione può essere trovata.
Ciò che mi preme sostenere – nel confermare il nostro pieno appoggio all’Ucraina – è che si dovrebbe non solo e non tanto parlare di armi e sanzioni, ma decisamente di più di come sia possibile fermare la guerra e arrivare alla pace.
A riguardo sono necessari uno o più soggetti che si assumano questo obiettivo. Data per scontata l’impossibilità di un intervento dell’ONU, il cui Consiglio di Sicurezza è evidentemente bloccato, e data la posizione di neutralità della Cina, il soggetto più interessato è chiaramente l’Europa.
Se l’Unione Europea non ritenesse di assumere questo compito, potrebbero essere alcuni stati significativi (Francia, Germania, Italia, Spagna) a prendere l’iniziativa, con la chiara intenzione di realizzare una trattativa decisiva che porti alla soluzione.
E’ questo l’impegno più significativo e più urgente da affrontare oggi, anche per evitare uno squilibrio che va estendendosi a livello mondiale e non certo a favore dell’Occidente.
Sandro Antoniazzi
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Che succede?
LA PACE DEL PAPA. LA RESISTENZA UCRAINA. L’UCRAINA NELLA UE. CRISI GLOBALE
20 Aprile 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem
La proposta di Enrico Letta: “Una Confederazione europea, il percorso per l’adesione di Kiev” (Corriere della sera). La tesi di Romano Prodi: “Avanti con le sanzioni sul gas. Macron unico leader europeo” (intervista a Qn). I timori, però, per il voto francese in David Carretta, “Quanto rischia l’Ue con Le Pen” (Foglio) e Bernard Guetta, “Una destra da vergognarsi” (Repubblica). L’industriale Riccardo Illy spiega le difficoltà economiche per l’Italia: “Noi e la Germania siamo i più fragili, e la crisi durerà anche dopo la guerra” (intervista a La Stampa). I CRISTIANI, IL PAPA E LA GUERRA: Antonio Spadaro, “La pace del papa cuce e non taglia. Il sacro non è puntello del potere” (La Stampa). Riflettono su vangelo e guerra anche Fabrizio Mandreoli, Giorgio Marcello, “Rileggere oggi Pio Parisi. Note su guerra e cristiani” (Settimana news). Un articolo di Franco Monaco, “Che la guerra non prevalga dentro di noi” (Settimana news). Il presidente delle Acli, Emiliano Manfredonia, dice la sua su Il Fatto: “Non si può parlare di pace senza essere tacciati di putinismo” (inviare armi, dice, è come mettere benzina sul fuoco). Sulla stessa linea Vannino Chiti su Il Riformista: “Non ampliare la Nato. Non è saggio buttare benzina sul fuoco”. La critica di Angelo Panebianco, “Antiamericanismo. Quando i tic ritornano” (Corriere della sera). L’ANPI E LA RESISTENZA UCRAINA: Salvatore Vassallo, “Senza i partigiani l’Anpi è il feudo di una sinistra senza voti” (Domani). Gianfranco Pasquino, “I partigiani non avrebbero avuto dubbi sull’Ucraina” (Domani). Albertina Soliani (cattolica, già parlamentare Pd e vicepresidente critica dell’Anpi): “Errori sull’Ucraina. L’Anpi cambi rotta” (intervista a Repubblica). Gian Antonio Stella, “Quegli ossequi tutti per Putin” (Corriere della sera). La voce anche di Noam Chomsky, “I resistenti ucraini, come i partigiani, sono eroici” (Corriere della sera). SULLA GLOBALIZZAZIONE: Carlo Bastasin, “La Russia non autosufficiente” (Repubblica). Sabino Cassese, “Ma il mondo ora non è meno globale” (Corriere della sera). Mauro Calise, “Le alleanze variabili nel disordine mondiale” (Mattino). Amedeo Lepore, “L’economia da mondiale a selettiva” (Mattino).
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PACE E DIRITTO ALLA DIFESA. SE I PAESI NEUTRALI TEMONO MOSCA
21 Aprile 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
La rivista “Il Regno” dei dehoniani di Bologna pubblica alcuni interessanti contributi sulla Chiesa e la guerra: Gianfranco Brunelli, “La scelta” (“il male minore è aiutare gli ucraini a difendersi”); il cardinale Pietro Parolin, intervistato dal settimanale Vida Nueva e qui tradotto: ”C’è anche un diritto alla difesa”; Fabio Ruggiero, “Tra cielo e terra” (sul pensiero dei Padri della Chiesa sulla guerra); Daniele Menozzi, “Artigiani di pace” (un’analisi del pensiero dei papi sulla guerra); Maurizio Ambrosini, “Dal cuore alla mente” (sulla positiva svolta nelle politiche migratorie aperta con l’Ucraina, ma che non riguarda tutti gli altri rifugiati). Un bell’intervento di Luigi Manconi su La Stampa: “Perché il papa non deve andare a Kiev”. Don Luigi Ciotti, intervistato dal Manifesto: “Ci accusano di pacifismo? Bene. La vittoria in Ucraina è nelle mani dell’industria delle armi”. L’UCRAINA, L’EUROPA, IL MONDO: Vittorio E. Parsi spiega, sul Mattino, “Perché anche i Paesi neutrali hanno paura” di Putin e dell’allineamento sempre più marcato tra Pechino e Mosca, “nella loro crociata contro le liberaldemocrazie” (vista con favore da “gran parte dei Paesi del cosiddetto Sud del mondo”). Sulla stessa linea lo storico russo Andrey Zubov, intervistato da Repubblica: “Se Putin vince la guerra nessuno sarà più al sicuro”. Di segno opposto il pensiero di Raniero La Valle: “La Nato sogna un mondo senza Russia. E’ una follia” (Il Fatto). Andrea Bonanni mette in luce la posizione sempre più agguerrita dell’Unione europea: “Escalation in Europa” (Repubblica). Lo conferma Marco Bresolin: “La missione di Michel a Kiev: ‘Vi daremo più armi’” (La Stampa). Ma è anche vero che “Scholz frena anche sulle armi. Polemica sui tedeschi riluttanti” (Tonia Mastrobuoni, Repubblica). Quanto all’Italia, il ministro Roberto Cingolani dichiara: “A breve lo stop al metano russo. L’embargo è anche un dovere etico. Italia indipendente in diciotto mesi” (intervista a La Stampa). Stefano Ceccanti replica a Donatella Di Cesare: “Traditori per aver aiutato Kiev? Questa accusa è una medaglia” (intervista a Il Riformista). Gaetano Azzariti, “La Costituzione non legittima il nostro invio di armi all’Ucraina” (intervista ad Avvenire).
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Illustrazione in testa. San Francesco davanti al Sultano (o Prova del fuoco) è l’undicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230×270 cm.
https://it.m.wikipedia.org/wiki/San_Francesco_davanti_al_Sultano
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Storia. Francesco e il sultano: un incontro storico che portò alla pace
Franco Cardini sabato 9 febbraio 2019 su Avvenire
La visita di papa Francesco ad Abu Dhabi ha originato discussioni e addirittura polemiche in gran parte corrispondenti a quanto ci si poteva aspettare, salvo su un punto: la meraviglia, quasi l’incredulità a proposito dell’analogia con un analogo evento verificatosi otto secoli fa: l’incontro tra Francesco d’Assisi e il sultano d’Egitto al-Malik al-Kamil. È evidente che, in chi ha proposto e pianificato il viaggio del pontefice ad Abu Dhabi, l’incontro del 1219 e quindi la “celebrazione” degli ottocento anni erano sottintesi. Eppure da noi c’è chi si è stupito e chi ha addirittura parlato di leggenda.
Ora, che a proposito di eventi assegnati alla storia si possa dubitare, è più che legittimo. Deve però trattarsi di dubbio fondato, giustificato, metodico: il non prestare pregiudizialmente fede a nulla è altrettanto ingiustificato che credere a qualunque cosa. Cominciamo quindi da qui: verifichiamo se quell’episodio di ottocento anni or sono ha le carte in regola per poter essere accettato come autentico. Qui possiamo star tranquilli: studiosi seri si sono impegnati nell’analizzare le fonti che ci narrano di quella visita. Chi vuole conoscerla nei dettagli può ricorrere con fiducia al libro di John Tolan, Il santo dal sultano. L’incontro di Francesco d’Assisi e l’Islam, tradotto in italiano da Laterza nel 2009, che è l’ultima sintesi organica autorevole e affidabile sull’argomento; essa è stata del resto seguita da molti saggi e da numerosi lavori congressuali che ne hanno aggiornato la problematica.
Esistono almeno cinque fonti cronistiche occidentali attendibili che, con sostanziale concordia pur divergendo in alcuni particolari, ci testimoniano la vicenda. Esistono poi le numerose fonti francescane che, se fossero le uniche a riferire l’episodio, potrebbero suscitare legittimi dubbi: ma il loro racconto, confrontato con quello delle voci estranee all’Ordine, risulta a sua volta autorevole. Infine abbiamo una fonte epigrafica arabo-musulmana, un’iscrizione su una lapide funebre, che allude al medesimo episodio confermandone autonomamente l’autenticità. Il che non toglie che alcuni particolari dell’evento possano essere d’origine leggendaria: come la celeberrima “ordalia del fuoco”, mirabilmente evocata da un affresco giottesco della basilica superiore di San Francesco in Assisi, ma a proposito della quale il parere degli studiosi è, per vari e differenti motivi, quasi coralmente scettico.
Atteniamoci pertanto ai dati più sicuri e oggetto di comune consenso. Fino dal 1217 era stata bandita da papa Onorio III, fedele a una consegna d’Innocenzo III morto l’anno precedente, una crociata che sotto la guida del legato pontificio cardinal Pelagio si era diretta all’assedio, per terra e per mare, della città di Damiata o Damietta (in arabo Damiat) sul delta del Nilo. I capi dell’impresa avevano difatti convenuto che assediare Gerusalemme – che i crociati avevano perduto nel 1187 e che avrebbero voluto recuperare – fosse troppo complesso: la loro idea strategica era porre il blocco navale al delta nilotico, che era il principale polmone economico di tutto il mondo islamico di quell’area, e proporre quindi alle autorità musulmane di toglierlo in cambio della restituzione ai cristiani latini della Città Santa.
L’idea può sembrare macchinosa ma era plausibile. Tanto più che in quel momento l’Islam era, come più o meno sempre, percorso da una forte discordia interna. Il sultano al-Malik al-Kamil, nipote del grande Saladino e signore d’Egitto e di Palestina, era quasi in rotta col fratello al-Muazzam che dominava invece Damasco e la Siria. Francesco, che era partito ai primi del 1219, giunse all’inizio dell’estate sotto Damietta con una nave che proveniva da Acri dove aveva visitato il piccolo convento ivi aperto da alcuni dei suoi frati.
Era anch’egli sottoposto alla disciplina crociata, altrimenti non avrebbe potuto viaggiare in quel momento in partibus infidelium. È logico pertanto che abbia chiesto al cardinale legato il consenso per recarsi dal sultano, secondo il suo progetto di presenza (più che di missione) cristiana che egli avrebbe più tardi esposto nel capitolo 16 della sua Regula, redatta nel 1221 e riscritta di nuovo, con definitiva approvazione pontificia, due anni più tardi. Ai sensi di quel documento sappiamo che Francesco prescriveva al frate minore che volesse recarsi presso gli infedeli di essere mite e soggetto a tutti, di non avanzare proposta né richiesta alcuna ma di limitarsi alla professione di fede cristiana.
Sappiamo che fu ammesso alla presenza del gran signore musulmano. Il quale, come la legge del Profeta prescriveva, non avrebbe mai potuto negare udienza a un uomo di Dio che si fosse presentato al suo cospetto. E Francesco era tale: a testimoniarlo era la sua veste: un povero saio di lana non tinta, pieno di toppe e di strappi rammendati e provvisto di un cappuccio. Tale indumento, in arabo, si chiama suf: chiunque lo indossi è appunto un uomo che a Dio e alla preghiera si è consacrato. Un sufi. Quanto il sultano e il sufi cristiano si siano intrattenuti a colloquio e che cosa si siano detti, non lo sapremo mai. Le testimonianze sono varie e concordano solo sul fatto che il gran signore rinviò sano e salvo il povero frate dopo avergli offerto alcuni doni.
La crociata si chiuse con un insuccesso e i guerrieri cristiani rientrarono alle loro case. Ma dieci anni dopo al-Malik al-Kamil incontrò un altro cristiano che conosceva la terra natale di Francesco: era addirittura nato non lontano da Assisi, cioè a Jesi nelle Marche. Il sultano e l’imperatore Federico II, nel 1229, stipularono il primo patto di smilitarizzazione pacifica di Gerusalemme che conosciamo, e che resse per tre lustri, fino al 1244. Un patto nel nome d’una pace possibile.
Non diciamo altro, non azzardiamo ipotesi buone per un romanzo, ma che non servono alla storia. Al-Kamil e Federico conoscevano entrambi Francesco, sia pure in modo diverso. E avevano in comune una passione: la caccia col falco. Chissà: magari, negli intervalli dei loro colloqui politici, avranno parlato di falchi. Fratel Falco piaceva anche a Francesco.
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