Ricordando Alberto Lai, con “Seui in su coru”
Venerdì Santo
di Gianni Loy
Un sottile strato di nubi diffonde grigiore sulla terra, che alla vigilia del calvario ben si addice. Nel paese suo rappresentano su scravamentu. Il coro, allenato a scuola colta, canta le stesse preghiere cantilenate, per secoli, dalle loro madri in quella che fu la loro lingua. [segue]
Santa Maria, madre de Deus, prega po nosus … Il sacrificio è universale, ma il celebrante, straniero, ogni tanto incespica nelle asperità linguistiche delle stazioni che conducono al Golgota
Babbu nostru chi ses in su celu … Alberto si è presentato al Padre nel giorno della lavanda dei piedi. Si è presentato con espressione serena, vestito in abito – perché così si costuma – con accanto le poche reliquie che è consentito portare appresso. Senza cravatta, ché per l’accesso al Regno pare non sia indispensabile, forse neppure consigliata.
No mi giamedas Maria, ca so mamma ’e dolore … Alberto ha fatto ritorno con la nudità originaria, come al primo vagito, che sapeva d’acqua calda, di levatrice e d’insolita agitazione, nelle case povere dove la culla si tramandava di fratello in fratello. Ha fatto ritorno a mani vuote, mostrando mani callose, senza segni di potere, perché le cose del mondo sono solo vanagloria.
Setti ispadas de dolore su coro m’han trapassadu … Ha fatto ritorno senza neppure i talenti ricevuti. Tutti li ha spesi, perché nel mondo dove ha vissuto, tanti hanno avuto bisogno di affetto. Gli affetti suoi più cari, oggi, replicano lo strazio di Maria ai piedi della croce, mentre il curato porta in processione Cristo deposto e la madre sua addolorata lungo le strade deserte del paese suo.
C’è stato un tempo nel quale i seuesi si scambiavano visite di cortesia tra le macerie della città; nel quale i parenti celebravano assieme le feste, i cugini si riconoscevano l’un l’altro. Come quando, periodicamente, nella città che faticosamente guariva le proprie ferite, ci recavamo da ziu Aureliu e da zia Laura, in piazza san Domenico, perché le nostre famiglie si portavano bene e a mia madre piaceva coltivare gli affetti. Mi sovviene che Alberto ha mantenuto l’abitudine, o il vezzo, di continuare a chiamarci con grado di parentela: cugini!
E poi quel chiodo fisso: quel paese abbarbicato nella montagna. Non poca parte della sua passione è stata dedicata all’ideazione e alla messa in opera di intraprese di ogni tipo rivolte al paese suo. Una passione che lo ha accompagnato per gran parte del cammino. Quasi dovesse sdebitarsi nei confronti del paese che gli aveva dato i natali, un paese che da secoli incuba braccia e menti da mandare in giro verso altri mondi vicini e lontani e che intanto si spopola.
Passione coltivata sino all’ultimo scorcio, quando, di primo mattino, occupava un tavolino nel bar di Leandro, sfogliava il quotidiano e si intratteneva, all’occasione, coi primi avventori. Solo, o in compagnia, affacciato su funtana ‘e cresia, osservava i passanti, e ripassava una vita intensa della quale andava orgoglioso. Si sentiva a casa. Di Alberto, può dirsi che non ha mai smesso di portare Seui in su coru.
Eravamo quasi coetanei: seuesi, sì, ma, come si suol dire, “di seconda generazione”. Alberto era diverso, somigliava ancora, era un epigone della arrembante generazione del dopoguerra. La sua attitudine imprenditoriale ricorda più mio padre che i miei fratelli e me, e il suo attaccamento al paese mi ricorda il canto improvvisato di mia madre: “biveus in Casteddu, ma seus de Seui – e sempri ‘nci pensaus po candu ‘nci torraus”.
Babbu nostru chi ses in is Celus, perdonananosì is peccaus nostrus … I peccati suoi tutti li ha perdonati. Per l’amore profuso durante la vita terrena ha accolto in paradiso, a mani aperte, il padre, lo sposo, l’imprenditore, l’amico, il cugino, il seuese. Un posto speciale Dio lo ha sicuramente riservato a bombetta, il suo prediletto. Ché è Dio degli umili, dei pargoli, e de is allegronis sciorbeddaus.
Gianni Loy
Ciao Franco,
dallo scritto di Gianni Loi su Aladin ho appreso della morte di Alberto Lai. Ebbene, Alberto è L. Il ragazzino (genio) mio coetaneo che ricordavo in raccontino apparso il 4 agosto 2018 su “Aladin” come contus de Biddanoa da inserito in una serie di articoli intorno alla Cagliari dell’immediato dopoguerra. Alberto è stato una grande persona e lo ricordo come una vera miniera di simpatia e di amicizia.
Saluti Gianni Pisanu
https://www.aladinpensiero.it/?p=85715