L’Arte per riposarci mantenendoci vivi
Diotima di Mantinea (scultura ellenistica).
Licia Lisei. Maestra di Socrate (L’ha detto lui “per bocca” di Platone!)
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Diotima di Mantinea (scultura ellenistica).
Licia Lisei. Maestra di Socrate (L’ha detto lui “per bocca” di Platone!)
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Costruire adesso l’alternativa alle destre
Alfiero Grandi
La discussione iniziata sul futuro dell’opposizione non è convincente. Anzitutto si dovrebbe riconoscere che le attuali opposizioni hanno la responsabilità storica di avere affrontato nel 2022 la sfida elettorale con le destre (unite da un’alleanza per il potere) incapaci di evitare il disastro di una maggioranza parlamentare di destra del 59% conquistata con solo il 44% dei voti. Le responsabilità di questa sconfitta annunciata sono diffuse e oggi in ogni occasione significativa la maggioranza delle destre ci ricorda che a metà legislatura nessuno sa dire se si ripeterà il disastro del 2022. La gravità del rischio è talmente grave da meritare un’attenzione che ancora non c’è da parte delle diverse opposizioni politiche e che dovrebbe essere oggetto di preoccupazione anche per le diverse soggettività sociali.
Il primo elemento di valutazione è l’influenza di una malintesa fedeltà atlantica che ha condizionato ogni altra scelta, in particolare sulla guerra in Ucraina. Questa scelta ha adottato una visione unilaterale della situazione con la conseguenza di non riuscire ad accompagnare il sostegno all’Ucraina almeno con una forte iniziativa per trattative e pace. Per questo la posizione è diventata un sostegno “fino alla vittoria” dell’Ucraina, in osservanza alle scelte Usa e Nato. Con la drammatica conseguenza di relegare in secondo piano la lotta al cambiamento climatico, che richiede la convergenza tra diversi, e di portare in primo piano il riarmo, fino alla proposta attuale di considerare fuori dai vincoli europei di bilancio le spese per gli armamenti. E’ evidente lo spirito guerrafondaio che caratterizza questa deriva bellicista, fino a prefigurare una nuova suddivisione del mondo, pur diversa dal passato.
Altro elemento è la sottovalutazione del ruolo che può e deve avere la nostra Costituzione i cui principi fondamentali possono ispirare un programma di governo alternativo alle destre, le quali – non a caso – nel loro programma hanno scritto elementi di sovversione costituzionale con cui stiamo facendo i conti. Autonomia regionale differenziata, prezzo pagato dagli alleati alla Lega; separazione delle carriere e conseguente Csm diviso, composto con sorteggio per disarticolare l’associazionismo dei magistrati (l’Anm ha superato l’80% dei votanti per la rappresentanza in controtendenza all’astensionismo nelle elezioni generali) con conseguente rischio per l’autonomia dei Pm e per l’obbligatorietà dell’azione penale, sono tutte modifiche radicali della Costituzione; premierato e cioè elezione diretta del Presidente del Consiglio con conseguente accentramento dei poteri e comprimendo il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica, riducendo il parlamento ad un ruolo subalterno al “capo” eletto direttamente, dando vita alla “capocrazia”.
Le destre puntano a cambiare la Costituzione con interventi radicali, le opposizioni avrebbero buon gioco a presentarsi idealmente (come i magistrati il 25 gennaio scorso) con in mano la Costituzione. L’errore del 2022 oggi viene riproposto da alcuni autorevoli esponenti delle opposizioni che sembrano avere dimenticato che proprio allora le opposizioni non riuscirono neppure a fare il cosiddetto accordo tecnico che oggi viene rilanciato come una grande trovata mentre è in realtà la rinuncia ad affrontare e superare le difficoltà per arrivare ad un accordo politico di legislatura. Perfino l’ipotesi che si torni a votare con il “rosatellum” alle prossime politiche non è detto che si realizzi, visto che a destra c’è un ripensamento sul ruolo della legge elettorale. Se fosse così semplice si sarebbe fatto nel 2022, come fu proposto e non ascoltato come ultima possibilità di evitare il disastro prima del voto. Così avremmo evitato di trovarci con una destra gonfiata dai meccanismi astrusi del rosatellum. Una destra che usa questa rendita (regalata) di una larga maggioranza parlamentare senza tanti riguardi per imporre le sue soluzioni.
La discussione fin qui sviluppata ha un limite di fondo ed è ragionare considerando solo i rapporti tra i gruppi dirigenti delle opposizioni, senza rendersi conto che le destre hanno si avuto un regalo imprevisto ma stanno alacremente lavorando per consolidare il loro ruolo, sia usando il potere allargato che implica lo stare al governo (nomine, ecc.) sia galvanizzando il loro elettorato con descrizioni che non corrispondono alla realtà ma che le opposizioni stentano a contrastare con efficacia.
Per di più dove sta scritto che si voterà nel 2027? La maggioranza è in affanno, sono le opposizioni che non riescono a decollare con un’opposizione alternativa credibile tale da farle esplodere. Ormai è chiaro che questa destra non porterà a risultati per il futuro del nostro paese, che è sostanzialmente fermo malgrado i miliardi del PNRR e che avrebbe bisogno di un intervento forte ed urgente, altrimenti non sarà in grado di reggere la gelata economica del trumpismo che spingerà Italia ed Europa in recessione.
Mancano idee forti e determinazione, è sbagliata l’analisi delle destre e sono deprimenti le loro proposte. Un esempio, l’auto è in crisi e per di più si rischia che la Cina diventi dominante nelle auto elettriche come lo è nei pannelli solari ma il governo ha tolto oltre 4 miliardi di euro dalla legge di bilancio.
Non c’è solo l’economia in stallo, che pure è decisiva, sono i meccanismi di fondo della democrazia moderna che rischiano una crisi verticale e c’è il rischio che le opportunità del PNRR vengano sprecate, anche sulla guerra le destre sono incapaci di qualunque iniziativa autonoma e questo riverbera anche sull’Europa che a sua volta è più afona del solito e sa solo parlare di aumentare produzione ed acquisto di armi, mentre dovrebbe preparare un’evoluzione dell’Europa verso la pace.
La discussione tra le opposizioni non deve guardare solo i rapporti tra i gruppi dirigenti ma deve avere di mira un coinvolgimento forte dei cittadini per renderli protagonisti di una nuova fase di costruzione di un’alternativa di massa alla destra che si candida a governare contro le destre. Una proposta preconfezionata nei salotti per coinvolgere solo dopo i cittadini non darebbe alcun aiuto a ridurre l’astensionismo, che è il vero, grande, preoccupante problema della democrazia. Il referendum sull’autonomia regionale differenziata era una potente occasione, insieme agli altri referendum sul lavoro e sulla cittadinanza. La Corte costituzionale ha preso una decisione contraria, non condivisibile, influenzata dalla preoccupazione che il referendum potesse dividere il paese ma la Consulta ha dimenticato che un referendum abrogativo è sempre promosso per cancellare scelte già fatte, quindi divisiva è la legge Calderoli, che la Consulta però non ha cancellato integralmente.
Il referendum sull’autonomia regionale differenziata era per le opposizioni il massimo punto di unità, ora non c’è più. Il valore di questo referendum stava nel potenziale coinvolgimento delle persone e poteva convincerle a votare, quindi un formidabile appuntamento per tutti: dirigenti, militanti, elettori, cote politico e cote sociale. Ora restano gli altri referendum che sono anch’essi molto importanti ma hanno apprezzamenti non univoci nelle opposizioni. La spinta unitaria non è immediata ma un buon lavoro può risolvere molti problemi.
Quindi se ora non si vuole cadere nella depressione politica di un’opposizione che ha perso il più importante punto di unità politica e sociale occorre costruire un percorso credibile che partendo dalla Costituzione (che resta il fondamento che deve ispirare un programma alternativo alla destra) arrivi ad un progetto che renda possibile e credibile un’alternativa alla destra, anche prima della scadenza naturale del 2027. Sarebbe diabolico se le opposizioni si facessero trovare impreparate di fronte ad una crisi improvvisa del governo delle destre, sempre possibile. Di più, proprio una credibile alternativa potrebbe incalzare il governo della destra e moltiplicarne le difficoltà fino a provocarne la crisi.
Un abbozzo di programma è indispensabile, partendo dalla Costituzione, ed è responsabilità dei gruppi dirigenti, ma occorre che questo dia vita ad un’ampia campagna di partecipazione, puntando a fare scrivere il programma dell’alternativa alle persone che sono disponibili ad impegnarsi sulle proposte, scrivendo, votando, mobilitando. Una grande discussione di massa è il modo migliore per preparare un’alternativa credibile alla destra. Esperienze precedenti hanno dato buona prova, perché dovremmo rinunciare alle esperienze positive del passato? La condizione è che il programma sia non solo dei partiti ma costruito con la società e con gli elettori.
Quello che manca nella discussione fin qui svolta è il lancio di una prospettiva forte, ideale e politica, sociale e partecipata, che cammini nella coscienza e sulle gambe delle persone. Occorre suscitare emozioni, non può essere un confronto a tavolino, nei salotti. E’ nel vivo delle lotte che si formano i quadri, le esperienze dei militanti, le nuove gerarchie nei dirigenti, da solo nessuno di questi sarà in grado di convincere chi si è ritirato deluso dall’impegno a tornare e a fare la sua parte, dando vita ad un grande patto per un’alternativa alle destre. Non c’è più tempo da perdere. Il momento è ora. Trump e la destra in campo nel mondo e in Europa non sono un fenomeno passeggero, la possibilità di costruire elementi di iniziativa unitaria va iniziata prima possibile per evitare di lasciare ad una destra aggressiva il tempo, che altrimenti non avrebbe, di durare. Prima l’alternativa politica e sociale sarà in campo per il futuro dell’Italia e dell’Europa meglio sarà.
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Il progetto costituente
Come vincolare il potere politico
11/04/2025
(Da “Il Manifesto” di venerdì 11/04) – Un estratto da «Progettare il futuro. Per un costituzionalismo globale». Il volume, edito da Feltrinelli, sarà in libreria a partire dal 15 aprile.
Luigi Ferrajoli
I poteri che contano, quelli il cui esercizio selvaggio sta minacciando il futuro dell’umanità, si sono trasferiti irreversibilmente fuori dei confini degli Stati nazionali e perciò della sfera del loro diritto e del loro governo. Ed è cambiata, conseguentemente, la natura delle aggressioni più gravi al diritto e ai diritti, le quali sono tutte di carattere globale. Ne consegue l’inadeguatezza del costituzionalismo odierno a fronteggiare queste aggressioni. A causa dei loro limiti spaziali, i governi nazionali e le loro costituzioni sono oggettivamente impotenti di fronte alle catastrofi planetarie in atto, destinate tutte, peraltro, ad aggravarsi.
NON È SOLO una questione di malgoverno, o di egoismi nazionali, o di volontà di sopraffazione politica o economica e neppure di semplice miopia delle forze politiche. È una questione drammaticamente oggettiva, ben più di fondo di quella soggettiva del presentismo e del localismo. Anche volendo, nessun attore della politica o dell’economia mondiale, per quanto potente – nessuno Stato pur dotato dei massimi armamenti militari, nessuna grande impresa multinazionale pur gestita da filantropi –, potrà mai affrontare, da solo, i problemi del riscaldamento climatico, del disarmo mondiale e delle disuguaglianze planetarie.
Se l’umanità vuole sopravvivere, poteri globali e aggressioni globali impongono un salto di civiltà, cioè un’espansione del costituzionalismo oltre lo Stato, all’altezza dei poteri da cui provengono le minacce al nostro futuro. È chiaro che questa espansione è possibile solo sulla base di un nuovo contratto sociale di carattere globale tra tutti gli Stati e i popoli del pianeta che istituisca, in forma vincolante, le garanzie universali della pace, dei diritti fondamentali di tutti e dei beni vitali della natura. È questo l’ultimo, decisivo passo che va compiuto nella storia del costituzionalismo e che, da quei principi di pace e di giustizia, se presi sul serio, è logicamente implicato e giuridicamente imposto.
Purtroppo la politica è ben lontana dal compiere questo passo. L’aspetto più insidioso e drammatico delle catastrofi in atto consiste nella cecità dei nostri governi e delle nostre opinioni pubbliche. (…) Nonostante i cataclismi ogni anno più gravi e devastanti, il mutare delle stagioni, i grandi caldi, gli incendi e le grandini, le siccità e le alluvioni, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento dei mari e il prosciugarsi dei fiumi e dei laghi, quanti potrebbero accordarsi e concordemente vincolarsi per fronteggiare le sfide globali non stanno facendo nulla, se non varare, come in Italia, leggi punitive contro i giovani che con le loro proteste tentano di aprire loro gli occhi.
EPPURE UNA LEZIONE avremmo dovuta trarla da una grave emergenza che proprio in questi anni ha colpito tutto il mondo e ha mostrato tutta la nostra comune fragilità e interdipendenza: la pandemia di Covid-19, improvvisamente esplosa nel febbraio 2020. Il virus non conosce confini e in poche settimane ha invaso tutto il pianeta, senza distinzioni di nazionalità e di ricchezze. Ha provocato più di 600 milioni di contagi e 7 milioni di morti, ha paralizzato e sconvolto l’economia, ha alterato la vita quotidiana di tutti gli abitanti della Terra, ha reso evidente, con il suo terribile bilancio quotidiano di ammalati e di deceduti, la mancanza di istituzioni globali di garanzia della salute. (…)
UNA SIMILE TRAGEDIA avrebbe dovuto offrire due insegnamenti, entrambi vitali. Essa ha mostrato, in primo luogo, il valore insostituibile della sanità pubblica e del suo carattere universale e gratuito, che è la sola garanzia dell’uguaglianza nel godimento del diritto alla salute quale diritto fondamentale di tutti. Solo la sfera pubblica è in grado di investire fondi nella prevenzione e nella gestione delle epidemie e di pianificare – nell’interesse di tutti, senza privilegi né discriminazioni – le prestazioni sanitarie, al di là delle contingenti convenienze economiche che condizionano invece la sanità privata. In secondo luogo, avrebbe dovuto trarsi, dalla pandemia, l’insegnamento del carattere globale di tutte le catastrofi che minacciano il nostro futuro, e perciò della necessità di risposte parimenti globali. (…) Invece, non abbiamo imparato assolutamente nulla.
AL CONTRARIO si è sviluppata una generale rimozione, o peggio una diffusa negazione della pericolosità del virus e della necessità di misure di difesa – dall’obbligo delle mascherine alle restrizioni della libertà di circolazione – e poi perfino del valore dei vaccini. Immediatamente i populismi di tutto il mondo, sia al governo che all’opposizione – in Italia e in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Brasile –, si sono dapprima avventati contro le misure prescritte dalla scienza medica, e poi hanno dato voce e rappresentanza ai negazionisti per raccattarne i voti. Si è rivelato, in questa vicenda, l’alto tasso di irrazionalità – la sfiducia nella scienza e nella ragione e la diffidenza e l’ostilità per la sfera pubblica – che forma l’oscuro sottofondo dell’anti-politica su cui fanno leva, in particolare a destra, tutti i populismi. In Italia, dove il virus si è diffuso prima e più duramente che in qualunque altro paese occidentale, costringendo a risposte severe ma necessarie, la destra negazionista andata al potere è giunta ad approvare l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia da parte del precedente governo, al solo scopo di censurarne le misure, senza le quali il numero dei nostri morti si sarebbe raddoppiato. Se questa è stata la reazione del nostro ceto politico e di una parte non piccola della pubblica opinione a un fenomeno clamorosamente evidente come è stata la pandemia, che per due anni ci ha chiusi nelle nostre case e ha minacciato la vita di tutti, è facile comprendere la cecità e l’imprevidenza di fronte alle altre ben più gravi catastrofi globali, assai meno visibili e impellenti, che incombono sul nostro futuro.
LE RAGIONI di questa incoscienza – ecologica, nucleare e umanitaria – e della nostra insensibilità morale sono molteplici. C’è il negazionismo più o meno consapevole di verità troppo scomode, comunque alimentato dall’avversione alla sfera pubblica. C’è la nostra indifferenza, generata anche dall’«idea di uomo» che, come ha scritto Joseph Stiglitz, «sta alla base dei modelli economici prevalenti, ossia un individuo calcolatore, razionale, egoista, che pensa solo a se stesso e non lascia spazio alcuno all’empatia, al senso civico, all’altruismo»: un essere orribile, cui non vorremmo assomigliare e che non vorremmo frequentare e che, tuttavia, viene proposto come modello di «razionalità».
C’è poi un altro fattore dell’impotenza e del disimpegno: una sorta di regressione infantile – anti-politica, anti-liberale, anti-sociale, anti-illuminista –, a sostegno della deresponsabilizzazione e della delega in bianco ai poteri, quali che siano, delle decisioni che contano sul nostro futuro. È il disimpegno illustrato da Kant nel suo saggio sull’illuminismo del 1784. «L’illuminismo», egli scrive, «è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità», cioè dall’«incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro». Sono questa minorità e questa passivizzazione che vengono oggi promosse dal crollo della partecipazione politica.
«È COSÌ COMODO essere minorenni!» prosegue Kant. «Non ho bisogno di pensare, purché possa solo pagare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione». Questi «tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l’alta sorveglianza sui loro simili minorenni» mostreranno loro – «dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici» e impedito loro di «muovere un passo fuori della carrozzella per bambini in cui li hanno imprigionati» – «il pericolo che li minaccia qualora cercassero di camminare da soli». (…) È su questa mancanza di maturità che si basa l’indisponibilità a guardare la realtà, a prendere atto dei suoi orrori e dei suoi pericoli, a pensare il futuro come un possibile non-futuro, a concepire come possibile la scomparsa del genere umano.
Questa cecità è oggi il principale nemico dell’umanità. Essa è presente soprattutto tra i nostri governanti, più di tutti ammalati di presentismo e localismo, e impone perciò alla cultura giuridica e politica un aggiornamento radicale dei suoi apparati concettuali, onde consentire di vedere la realtà e di pensare le possibili soluzioni dei problemi. Solo se si mostrerà che un’alternativa allo stato attuale del mondo è possibile, pur se difficile, e che essa dipende dall’impegno di tutti, potranno prodursi un risveglio della ragione e lo sviluppo di una nuova energia costituente.
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Pubblicato a Cagliari il 3/3/2012
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