Carlo Molari
Messa in ricordo di don CARLO MOLARI 9 marzo 2022 nella chiesa di Cristo Re, Cagliari
“Conservo ricordi vivi e indelebili di alcune sue conferenze e di alcune sue risposte libere e profetiche ad alcuni miei e nostri interrogativi. Teologo capace di indagare con coraggio, umiltà, curiosità. Una voce che mancherà, ma un pensiero e una testimonianza di fede sempre in ricerca che rimarranno con noi”.
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Mi pare che queste parole (scritte su Facebook da un certo Lucio Belloni, per me sconosciuto) esprimano al meglio, sicuramente il mio sentire, ma certo anche quello di tante persone che si sono potute alimentare al pensiero e alla testimonianza di vita di Molari.
Francesco Nicastro, curatore dell’ultimo libro uscito nel 2020 per la casa editrice Gabrielli, Il cammino spirituale del cristiano, (che raccoglie gli esercizi spirituali di Camaldoli, che è un po’ la summa del suo pensiero) così lo definisce “Non è un maestro di teologia, è un maestro di vita. Il suo parlare di Dio è il suo vivere di Dio”.
Infatti io ero rimasta molto colpita una volta che avevo sentito Molari dire che i teologi possono scrivere e parlare di Dio ma non avere fede! In una sua testimonianza raccolta nel libro Essere teologi oggi, per Marietti, ha scritto: “Fare teologia non è un mestiere o un semplice servizio reso agli altri, ma è un modo concreto di vivere la fede ecclesiale, è uno stile di vita, e per me oggi è componente di identità personale, ragione di tutta la mia storia”.
Che dire dunque di questo uomo, nato nel 1928, sacerdote e monsignore? Anzitutto un tratto del suo carattere che conquistava credo tutti: la mitezza, l’umiltà, la disponibilità all’ascolto e la profonda onestà intellettuale. Ha insegnato alle università Lateranense e Urbaniana, nonché all’Istituto di Scienze religiose della Gregoriana. E’ stato Aiutante di Studio della S. Congregazione per la Dottrina della Fede. Iscritto all’Associazione dei teologi europei, all’Associazione dei teologi italiani (di cui è stato segretario) e all’Associazione Teilhard De Chardin. Già membro del Comitato di consultazione della rivista internazionale Concilium. Ha collaborato per molti anni, oltre alla rivista di Oreundici, anche al quindicinale Rocca, della Pro Civitate Cristiana dove ha scritto fino al 1 aprile 2021: un articolo, tenero e commovente, che ho letto come il suo commiato.
Don Carlo parlava volentieri delle varie “famiglie” che lo hanno accompagnato nel tempo della sua lunga esistenza: la famiglia del san Leone a Roma, dove ha svolto attività pastorale all’Istituto dei fratelli Maristi dal 1967 al 2011, la famiglia della FUCI frequentata dal 1955 in avanti, e poi quella del Gruppo teologico che si riuniva a Camaldoli, legato all’ ATI Associazione dei Teologi Italiani, e quella allargata del SAE Segretariato Attività Ecumeniche, di Oreundici, della Cittadella di Assisi.
La cosa che colpisce di lui è la profonda comprensione della cultura moderna, in campo scientifico prima di tutto, e poi antropologico, storico, linguistico, oltre che teologico e scritturale.
Certo non possiamo percorrere tutto il suo pensiero, che ha espresso in molti libri, articoli, convegni, esercizi spirituali. E che è sembrato talmente rivoluzionario nella Chiesa che la sua dottrina un tempo (1977) era stata giudicata “non sicura” dalla Congregazione per la Dottrina della fede e così ha dovuto lasciare l’insegnamento. Ma, come un vero profeta (scusatemi se uso una parola impegnativa ma mi sembra davvero appropriata) per profonda fedeltà alla Chiesa non ha rinunciato a studiare, a scrivere, e ad annunciare la Parola di Dio. E infatti il suo pensiero da tempo è ormai accettato dall’autorità della Chiesa.
Circa trent’anni fa ho avuto la fortuna di sentirlo a uno dei primi convegni di Oreundici (c’erano anche il piccolo fratello Arturo Paoli e padre Ernesto Balducci): allora mi sentivo soffocare in una Chiesa che, troppo fondata sulla gerarchia, non lasciava molto spazio ai laici, non brillava per fedeltà al Concilio e per l’accoglienza delle donne, e quando lo sentii per la prima volta ebbi una sensazione netta e forte, quasi fisica, di sollievo: “Ah, finalmente respiro!”. E ho sentito, non dico il dovere, ma il bisogno, la necessità di restituire il dono che avevo ricevuto. Perciò abbiamo incominciato a organizzare, con una piccola cerchia di amici, i convegni di Oreundici a Cagliari. E lui è sempre stato disponibile e sempre ha accettato. Con gioia ricordo che proprio l’ultimo convegno “Cristianesimo ed Ebraismo tra fede e laicità” si è tenuto nel 2013 qui accanto, nella Facoltà teologica, e con il patrocinio della Facoltà stessa.
Ma vorrei almeno ricordare due temi che Molari ha approfondito e in cui secondo me ha dato un grande contributo al rinnovamento del pensiero cattolico.
L’evoluzionismo, anzitutto. Studioso fin da giovane del pensiero di Teilhard de Chardin ha contribuito al superamento della teoria creazionista che per troppo tempo la Chiesa ha tardato ad abbandonare. Aiutandoci così a superare quella concezione magica del miracolo ancora tanto diffusa. Proprio nel commentare l’ultima delle tentazioni di Gesù nel deserto che abbiamo letto a messa domenica scorsa il padre mercedario ci ricordava che il miracolo è una grande prova per la fede e si chiedeva “Non è che noi vogliamo che Gesù Cristo esaudisca le nostre richieste e lo usiamo come il bancomat al supermercato?” E concludeva la sua omelia con una citazione di Bonhoeffer “Gesù Cristo non ci libera DAL dolore, ma ci libera NEL dolore”. Non ho potuto fare a meno di pensare “Ecco Molari!”
E poi abbiamo imparato che non ci si può fermare alla lettera dei racconti evangelici, ma che la Bibbia, dopo la svolta linguistica, deve essere interpretata secondo una lettura simbolica e metaforica. Perché man mano che la religiosità procede nei secoli, si purificano anche le concezioni di Dio: noi parliamo di Dio secondo la ricchezza umana che abbiamo raggiunto, secondo le qualità umane che abbiamo acquisito. E Gesù di Nazareth non ha inventato parole nuove, è stato lui parola nuova perché ha vissuto dimensioni umane così ricche da rivelare forme inedite di Dio.
Un grande ringraziamento, dunque, per aver avuto la possibilità di conoscere questo uomo, sacerdote, teologo e cristiano. E un grande ringraziamento anche per l’Associazione Oreundici, che con don Mario De Maio e le sue collaboratrici e collaboratori, per decenni, ha contribuito a diffondere questo pensiero liberatore in tanta parte d’Italia. E infine, permettetemi un ultimo ringraziamento che forse considererete strano. Ma io non posso fare a meno di pensare a quanto avrebbe sofferto Molari per questa situazione di guerra, e non solo, perché di guerre ne ha visto, anche lui come noi, tante nel mondo in questi ultimi decenni, ma anche e sopratutto per questo clima di guerra che si è manifestato oggi per l’Ucraina. Sì, ringrazio che questa tragedia si sia verificata subito dopo la sua morte e che gli sia stato risparmiato questo dolore.
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