Crisi internazionale

b00b917b-2111-43dc-a638-5c1b623d7ea0Parole d’ordine: Grande potenza e Terra russa
22-02-2022 – di: Adriano Roccucci
Su Lines, ripreso su Volerevolare.

«Sì, anche noi abbiamo pagine problematiche della nostra storia, come le ha ogni Stato. Ne abbiamo meno di altri, e meno terribili. Certo abbiamo capitoli drammatici della nostra storia, pensate agli eventi del 1937. Ma anche altri paesi hanno conosciuto pagine oscure e terribili. (…) Gli avvenimenti del passato debbono essere descritti in modo tale da suscitare l’orgoglio per la nostra storia». Sono parole pronunciate da Vladimir Vladimirovič Putin alla Conferenza nazionale degli insegnanti di storia nel 2007. L’esigenza di rivedere il rapporto con il passato in funzione del progetto di rilancio della Russia, portato avanti da Putin fin dal suo primo mandato presidenziale, ha caratterizzato questi primi due decenni del XXI secolo. Non si tratta di un unicum russo. Pur in modi diversi e con intensità differente, i sistemi politici e le società propongono una rilettura del passato che sia a sostegno di visioni e progetti politici.

Nel 2000 l’approvazione di una legge sui simboli statali aveva ufficializzato l’uso dell’aquila bicipite dell’impero russo nello stemma della Federazione Russa, il recupero del tricolore zarista come bandiera ufficiale, l’adozione delle divise dell’esercito imperiale, il ripristino come inno nazionale di quello sovietico, sebbene con il testo parzialmente modificato. La simbolica ufficiale è uno dei linguaggi con i quali gli Stati definiscono il loro rapporto con il passato e la storia. Emergeva fin da questi atti l’obiettivo di rivendicare una continuità di lungo periodo della storia russa, senza fratture irrimediabili: avevano spazio sia l’eredità imperiale sia l’esperienza sovietica.

Un rapporto con il passato volto a restituire il senso della continuità storica non era mancato nemmeno nel periodo sovietico, quando il regime, almeno dal punto di vista ideologico e politico, rivendicava una totale rottura con quanto lo aveva preceduto. Eppure, nella scelta di Lenin di spostare la capitale a Mosca e di insediare il governo al Cremlino, nel luogo matrice del potere russo, come non rintracciare i fili di un’operazione simbolica volta a comunicare un senso di continuità storica, pur nel contesto del radicale cambiamento rivoluzionario? L’idea che la «patria sovietica» fosse l’erede della «grande nazione russa» si affacciò fin dagli anni Trenta nella riflessione di Stalin, particolarmente attento al rilievo politico della narrazione e delle interpretazioni storiche, per poi emergere con maggiore evidenza negli anni della seconda guerra mondiale. Nel 1934 il vožd’ in un intervento al Politbjuro si espresse con notevole chiarezza: «Il popolo russo in passato ha messo insieme altri popoli. Anche adesso ha intrapreso una raccolta dello stesso genere.

Parole

La proposta di una lettura della storia russa finalizzata a rintracciare i fili di continuità insiste su alcuni elementi. Ne enucleiamo due, ma l’analisi potrebbe essere ulteriormente ampliata e approfondita. Entrambi rinviano alla trama imperiale della storia russa, che, sebbene in forme «aggiornate», continua a caratterizzare il percorso dello Stato e della società in Russia.

Il primo elemento è connesso al profilo della Russia come «grande potenza». È questo uno statuto cui le classi dirigenti russe, nella fase attuale così come in età imperiale e nel periodo sovietico, non sembrano poter rinunciare. Il riconoscimento della Russia come grande potenza rappresenta, infatti, un fattore decisivo di legittimazione del potere. Non è a questo riguardo casuale che le parole con le quali inizia l’inno della Federazione Russa siano le seguenti: «Russia, la nostra sacra potenza». Una lettura della storia russa volta a far emergere come nelle diverse epoche lo Stato russo abbia svolto nell’arena internazionale un ruolo rispondente allo statuto di grande potenza non può che essere funzionale alla riaffermazione di un profilo analogo nel presente. Il mito polisemico della Grande guerra patriottica, vale a dire la seconda guerra mondiale, svolge in questo senso la funzione di mito di unificazione e di legittimazione dell’ambizione della Russia a svolgere un ruolo mondiale.

Il secondo elemento attiene a un’altra dimensione, anch’essa di grande rilevanza geopolitica: quella del rapporto con lo spazio russo. Si tratta di un aspetto fondamentale della storia della Russia e del pensiero dei russi su di essa. Uno dei mitologemi più antichi della storia degli slavi orientali, le cui origini risalgono alla Rus’ di Kiev tra X e XI secolo è quello della «terra russa». Esso è stato un potente fattore per l’affermazione dello Stato moscovita, tra XIII e XV secolo, e ha continuato a esercitare la sua influenza fino ai nostri giorni. La terra russa però non è un dato acquisito, un fattore «naturale», come avviene spesso nelle mitologie dei vari nazionalismi. La «terra russa» è il prodotto di un processo storico, quello della «raccolta delle terre russe» (sobiranie zemel’ russkikh).

Un territorio è parte della «terra russa» non per suoi caratteri naturali o per ubicazione geografica, neppure perché abitato da una popolazione etnicamente connotata, ma perché nel processo storico di formazione dello Stato russo, avvenuto attraverso un moto plurisecolare di espansione, quel territorio è stato conquistato dai russi. L’espansione dello spazio russo prevalentemente non ha condotto alla formazione di colonie, ma a un allargamento del territorio metropolitano, cioè della «terra russa». In questo senso il rapporto tra lo spazio e la storia è costitutivo della «terra russa». E la lettura della storia è quindi fondamentale per la tenuta dello «spazio russo», e, al bisogno, per il suo recupero, come è avvenuto nel caso della Crimea.

Nel 2004, all’indomani della seconda elezione di Putin alla presidenza della Federazione Russa, una legge ha abolito la festa nazionale del 7 novembre, ricorrenza sovietica coincidente con la data della rivoluzione d’Ottobre, trasformata da El’cin in giorno della concordia e della riconciliazione. La stessa legge ha stabilito la data della nuova festa nazionale, il giorno dell’unità del popolo, il 4 novembre, per celebrare gli eventi che a Mosca nel 1612 posero fine all’occupazione polacca e a quella fase di anarchia iniziata con l’esaurimento della dinastia dei Rjurikidi nel 1598, denominata età dei torbidi (smutnoe vremja). Nel 1613, con l’elezione di Mikhail Romanov a zar, avrebbero avuto inizio la vicenda di una nuova dinastia e una stagione storica caratterizzata da una sostanziale stabilità del potere.

Tra 2004 e 2005, il riferimento allo smutnoe vremja diveniva un topos nella narrazione e nell’interpretazione, che si venivano affermando come tendenza dominante nel dibattito culturale e politico russo, di quanto era avvenuto in Russia negli anni Novanta, dopo la fine dell’Unione Sovietica. Gli anni Novanta erano presentati come una nuova età dei torbidi, una stagione di catastrofe nazionale che aveva messo in pericolo la stessa esistenza della Federazione Russa. Per continuare l’analogia storica, la presidenza di Putin aveva segnato l’uscita dai nuovi torbidi e l’inizio di una fase di consolidamento dello Stato.

Insomma, il bisogno e allo stesso tempo la opportunità di una lettura della storia russa, finalizzata alla elaborazione di una visione del passato «condivisa» o veicolata in modo sistematico e diffuso, si imposero come una sfida decisiva per la realizzazione del progetto politico della Russia di Putin e per la formazione di una visione geopolitica che le assegnasse un ruolo adeguato nel mondo. La pista da seguire fu in qualche modo indicata dalla decisione presa nel 2007 nella definizione di linee guida per il manuale per le scuole superiori. Nei testi scaturiti da questo lavoro con la finalità di offrire indicazioni metodologiche agli insegnanti, sebbene non venga proposta una versione monolitica della storia, è indicato chiaramente l’obiettivo di rendere gli alunni consapevoli della continuità della storia millenaria della Russia, il cui inizio è individuato nel 988, l’anno del battesimo della Rus’, cioè della conversione al cristianesimo del gran principe di Kiev Vladimir. Nel quadro di questa continuità va mostrata «la relazione organica fra la storia russa e quella mondiale, specificando il ruolo della civiltà russa nell’ambito del processo storico mondiale».

La visione della storia proposta non nega l’esistenza di periodi bui, come ad esempio quelli delle repressioni bolsceviche negli anni di Lenin e Stalin. Ma al centro è l’azione dello Stato e delle élite, che nei diversi passaggi sono riusciti a consolidare la società e lo Stato e a salvaguardare con successo il profilo internazionale di grande potenza che spetta alla Russia. Si pone a questo livello il controverso rapporto con la figura di Stalin, di cui non si negano i crimini, ma si propone di fatto una distinzione tra il costruttore dello Stato, leader vittorioso della seconda guerra mondiale, e il persecutore del suo popolo.

Attraverso i diversi canali e linguaggi con i quali si intende proporre una lettura orientata della storia della Russia passa un’operazione di grande impatto politico e culturale. Il rapporto con il passato e l’elaborazione di miti storiografici sono infatti elementi costitutivi dei progetti politici e delle visioni geopolitiche. Così è anche per la Russia di questi primi due decenni del XXI secolo. Impresa complessa. Il cui esito non è predeterminato.

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Pubblicato in: “È LA STORIA, BELLEZZA!” – n°8 – 2020 e ripubblicato in “Limes” febbraio 2022
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