Economia circolare
AGENDA VERDE
economia circolare e design
di Carlo Timio su Rocca.
Uno degli elementi cardine dell’ormai avviato processo di transizione economica è rappresentato dall’opportunità di dare vita a un’economia circolare in grado di conciliare sviluppo e impatto ambientale. Questo obiettivo, che costituisce una delle sfide perseguite dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ma che si rifà anche agli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, agli accordi di Parigi e al Green Deal europeo, rientra nella Missione 2 del Pnrr che prevede uno stanziamento di 59,47 miliardi per dare vita alla Rivoluzione verde e la transizione ecologica, di cui 5,27 miliardi sono dedicati sia all’economia circolare che all’agricoltura sostenibile.
Quando si parla di economia circolare si fa riferimento a un modello di produzione e di consumo che implica condivisione, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento, riciclo di materiali e prodotti esistenti per incrementarne la durata. Così facendo, si estende il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo. Ciò che accade è che una volta che il prodotto ha terminato la sua funzione, i materiali di cui è composto, vengono reintrodotti, laddove possibile, nel ciclo economico, venendo continuamente riutilizzati all’interno del sistema produttivo e generando ulteriore valore. Questi principi dell’economia circolare esprimono la soluzione alternativa al tradizionale modello economico lineare fondato sul paradigma «estrarre, produrre, utilizzare e gettare», la cui funzionalità non può prescindere dalla presenza di una vasta disponibilità di materiali ed energia facilmente reperibili e a basso prezzo. Con l’avvento della pandemia si è determinato un forte incremento della domanda di materie prime e allo stesso tempo uno scarso reperimento delle risorse, che da un lato sono sempre più essenziali – data anche la continua crescita della popolazione mondiale – e dall’altro sempre più limitate. In tutto ciò va anche ricordato l’impatto sul clima e quindi sull’ambiente provocato dai processi di estrazione e di utilizzo delle materie prime, che necessitano di un uso crescente di consumo di energia, provocando ulteriori emissioni di anidride carbonica. Si stima che la produzione dei materiali che vengono utilizzati ogni giorno è responsabile del 45% delle emissioni di Co2. Numerosi sono i vantaggi che derivano dalla transizione verso un’economia più circolare: tra questi spiccano la riduzione della pressione sull’ambiente, una maggiore disponibilità di materie prime, un incremento della competitività, un impulso all’innovazione, alla crescita economica e
un incremento dell’occupazione (che nell’Ue ammonterebbe a circa settecentomila nuovi posti di lavoro entro il 2030). Altro vantaggio è che grazie all’economia
circolare i consumatori potranno avere anche prodotti più durevoli e innovativi in grado di far risparmiare e migliorare la qualità della vita. Ad esempio, ricondizionare i veicoli commerciali leggeri anziché riciclarli porterebbe a un risparmio di materiale per 6,4 miliardi all’anno e 140 milioni in costi energetici, con una contrazione delle emissioni di gas serra pari a 6,3 milioni di tonnellate. Su questo fronte a livello europeo, il Parlamento ha chiesto l’adozione di misure che contrastino l’obsolescenza programmata dei prodotti che rappresenta una strategia propria del modello economico lineare. A marzo 2020 la Commissione europea ha presentato la proposta per la nuova strategia industriale basata sul piano di azione per un’economia circolare che include proposte sulla progettazione di prodotti più sostenibili, sulla riduzione dei rifiuti e sul «diritto alla riparazione». A febbraio 2021 il Parlamento europeo ha votato a favore, chiedendo misure aggiuntive per raggiungere un’economia a zero emissioni di carbonio, sostenibile dal punto di vista ambientale, libera dalle sostanze tossiche e completamente circolare entro il 2050. Su questo scenario, ai fini della realizzazione di una economia circolare, si inserisce in maniera significativa il design che con le sue caratteristiche e finalità incentrate sulla progettazione su scala micro, se riesce ad avere una visione non solo fondata sull’estetica e sull’orpello, ma anche capace di cogliere le esigenze su scala più ampia, può giocare un ruolo
strategico e determinante nella transizione da un’economia lineare a una circolare. Quado si parla di design che crea valore non si deve pensare soltanto al prodotto nella sua lunga fase di realizzazione dal concept alla produzione, ma anche alla distribuzione, alla comunicazione, fino all’esperienza dell’utilizzo. Sono anche progettati i servizi, le relazioni tra i marchi e il loro pubblico e persino il fine vita dei prodotti. Ma non è tutto. Oggi il design è chiamato ad assolvere un ruolo di primaria importanza in questa fase di transizione green, avendo le potenzialità per invertire quel processo fin qui adottato e concentrato sull’iperconsumo industriale – di cui lo stesso design è complice –, che per promuovere e incrementare la produzione promuove l’obsolescenza programmata (il processo che suscita nei consumatori il desiderio di sostituire beni tecnologici o appartenenti ad altre tipologie, per poter possedere oggetti di ultima generazione), contribuendo a rendere insostenibile l’attuale sistema economico. In che modo può assolvere a questa rinnovata funzione? Passando da un sistema in cui il valore era rappresentato dalla filiera estrazione materiali, lavorazione e trasformazione in prodotti, vendita e nella maggior parte dei casi deposito nella discarica, a un sistema in cui il valore rimane in circolo, rigenerandosi continuamente. Questa è l’essenza dell’economia circolare. Ma se questo nuovo approccio è encomiabile e degno di essere applicato in maniera massiccia, è altrettanto vero che non è sufficiente. Seppur è vero che l’utilizzo di alcuni materiali quali la carta e il legno piuttosto che altri sia più sostenibile così come sono più performanti e green alcuni sistemi produttivi come quelli che utilizzano materiali di recupero, è altrettanto vero che se queste attitudini non vengono inserite in un quadro più ampio, anche sicuramene culturale, serviranno a ben poco. La sostenibilità va compresa e sostenuta con un metodo multidisciplinare capace di valutare l’impatto ambientale sotto molteplici aspetti. Un sistema indispensabile cui non si può prescindere è l’analisi del ciclo di vita (in inglese life-cycle assessment), un metodo che consente di quantificare il potenziale impatto che può causare tutta la filiera della produzione sull’ambiente e sulla salute, distribuzione e utilizzo di un bene o un servizio attraverso l’analisi dell’impiego di risorse e le relative emissioni di Co2.
Due casi sono emblematici: il primo riguarda il lavaggio di una t-shirt le cui emissione di Co2 sono maggiori rispetto al suo intero processo di vita e l’altro fa
riferimento alla preparazione di un piatto di pasta che produce più inquinamento (tra coltivazione, imballaggio e trasporto) della produzione stessa. Tutto questo per dire che non basta pronunciare parole magiche quali green, sostenibilità, riuso, riciclo per avere un impatto positivo sull’ambiente. Servirebbe più che altro attivare una campagna di comunicazione in cui si spiega come poter cambiare l’uso che si fa di un certo oggetto piuttosto che riprogettarlo. La visione sistemica del design, denominata anche «System Thinking», consiste nella capacità di trovare soluzioni alternative per gestire la complessità dei processi, cercando di creare valore con qualcosa di diverso dalla produzione tradizionale. Ciò non vuol dire parlare di decrescita felice, piuttosto di un differente modo di rappresentare il
valore dei materiali che sono in circolazione mediante una progettazione strategica. Il che significa progettare dei prodotti che possano essere riparabili, ricondizionabili, riutilizzabili, condivisibili e solo in ultima istanza, riciclabili. Pertanto il design, in quanto disciplina che si interpone tra le persone e la produzione, e che crea esperienze e relazioni tra uomini, cose e servizi, deve in prima battuta innovare in modo sistemico per poi tornare a produrre beni, servizi o esperienze su scala più piccola.
Carlo Timio
Lascia un Commento