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sinodo-pcc-01Ignorare i carismi che lo Spirito dona alle donne nella Chiesa è come una bestemmia. Incontro con Simona Segoloni Ruta
18 Dicembre 2021 by c3dem_admin | su C3dem.

a cura di Giandiego Carastro
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Ignorare i carismi che lo Spirito dona alle donne nella Chiesa è come una bestemmia. Incontro con Simona Segoloni Ruta
18 Dicembre 2021 by c3dem_admin | su C3dem
a cura di Giandiego Carastro

Simona Segoloni Ruta è nata a Perugia, è coniugata e ha 4 figli. Ha conseguito il dottorato in teologia dogmatica presso la Facoltà Teologica dell’Italia centrale di Firenze, ed è docente di teologia sistematica all’Istituto Teologico di Assisi dove insegna ecclesiologia, mariologia e teologia trinitaria. Ha fatto parte della commissione di studio interfacoltà promossa dalla CEI sulla sinodalità. È membro del Consiglio di direzione dell’Associazione dei teologi italiani e vicepresidente del Coordinamento delle teologhe italiane. Ultimi suoi libri sono Gesù, maschile singolare, per le Edizioni Dehoniane, Bologna, 2020, e Carne di donna, ITL, 2021.


Professoressa, una prima questione: il ruolo delle donne nella Chiesa. A che punto siamo?

La condizione della donne nella Chiesa vive di un paradosso a cui oramai siamo abituati: da una parte, le donne costituiscono la maggior parte della Chiesa, come anche dei credenti che vivono una partecipazione attiva e svolgono i diversi ministeri. Inoltre sono le donne che studiano più volentieri teologia (fatti salvi i candidati al ministero ordinato, troppo spesso studenti loro malgrado, quanti uomini si dedicano allo studio teologico?) e con maggior profitto. Dall’altra, le donne vivono in una condizione di marginalità e subalternità, perché non hanno spazi di parola né riconoscimento pubblico dei loro ministeri se non per una illuminata gestione ecclesiale da parte del presbitero/vescovo (o anche papa) di turno. Di per sé la nostra struttura è ancora molto sessista e tende ad escludere le donne dalla predicazione e dalle responsabilità. Abbiamo delle resistenze profonde: basta nominare quanto accade quando si parla di ordinazione diaconale. Facciamo fatica a riconoscere negli esseri umani femmine delle credenti con carismi e vocazioni ministeriali diverse: quando si tratta di donne ci viene più facile pensare una partecipazione passiva alla vita della Chiesa o con qualche compito “adatto” a loro (ovviamente “adatto” secondo gli uomini maschi).

Nel Nuovo Testamento, sia in Paolo che negli Atti degli Apostoli, si parla di diaconesse, di responsabili di Chiese, di evangelizzatrici… La disciplina ecclesiale, però, ha scelto altri ruoli per le donne. Ci possiamo aspettare qualcosa di sorprendente alla fine del percorso sinodale?

Non lo so. Ma lo posso sperare. Anche prima del Concilio era di davvero difficile previsione che i padri avessero scritto e detto ciò che poi effettivamente è stato scritto e detto.

Come far diventare centrale nei cammini sinodali la comprensione del femminile e la rilevanza di relazioni paritarie uomo-donna?

Le relazioni paritarie si innescano smascherando gli stereotipi anzitutto. Dicendo, cioè, chiaramente che i ruoli (pubblico/privato; leadership/cura; ecc…) sono stati attribuiti culturalmente e non dipendono da ciò che maschi e femmine sono per “natura”. Si tratta di avere il coraggio di riconoscere che molta dell’elaborazione del pensiero sulle donne (compreso quello ecclesiale) è frutto non della riflessione sulla realtà femminile né sul Vangelo, ma è riflesso di una struttura sociale e culturale ingiusta e gerarchica che considera i maschi esseri umani a tutto tondo e le donne esseri umani depotenziati ai quali occorre assegnare compiti specifici. Nel cammino sinodale questo può essere messo in discussione se le donne (e donne di diversa formazione culturale ed ecclesiale) possono parlare di sé e discutere ciò che viene detto di loro. Le relazioni paritarie poi potrebbero cominciare proprio dal sinodo, inserendo almeno la metà delle donne in ogni organo (se si rispecchiasse la proporzione del vissuto ecclesiale dovrebbero essere i tre quarti) e con diritto di voto.


In una precedente intervista abbiamo rivolto alcune domande a don Armando Matteo, che ha scritto un saggio sulla fuga delle quarantenni dalla Chiesa. In un video su Youtube, ho ascoltato una sua spiegazione di questa fuga: lei ha detto che storicamente le donne sono state affascinate dallo stile di Gesù, ma può accadere che lo stile di Gesù si trovi più fuori la Chiesa che dentro di essa, e allora le quarantenni andranno fuori… Può approfondire cosa intende per stile di Gesù? Come i cammini sinodali potrebbero “riportare” dentro le comunità lo stile di Gesù?

Per stile di Gesù, in questo caso, intendo come lui si è comportato con le donne che ha incontrato. Aveva con sé discepole esattamente come aveva con sé discepoli. Non era interessato se fossero vergini, madri o altro, ma solo che fossero credenti. Ha avuto per loro solo parole di liberazione e di vita: niente compiti specifici, inquadramenti, pregiudizi. Gesù ha trattato le donne da sorelle, da discepole, da amiche e anche da maestre, in più di un’occasione. Questo è lo stile di Gesù. I cammini sinodali possono fare proprio questo stile ascoltando e meditando il Vangelo, lasciando che siano donne a leggerlo e spiegarlo, liberandosi di interpretazioni sessiste e violente, mettendosi in ascolto a partire dall’oggi, da ciò che oggi sappiamo. E oggi sappiamo che le donne sono semplicemente umane e che, se c’è una differenza, non consiste in qualcosa che le ghettizzi o le inquadri, ma in una risorsa che loro stesse ci devono dire e offrire perché il mondo e la Chiesa siano più umani. Dall’ascolto della Parola così fatto e dal confronto, animato dalla stima reciproca e da un sincero ascolto, emergeranno parole, decisioni e prassi che renderanno la Chiesa più capace di riflettere il volto del Signore.


Un altro tema che lei approfondisce è quello degli stereotipi sulle donne: la donna accogliente, sposa, madre, vergine, categorie descrittive, che lei critica perché sono categorie che nascono a partire dallo sguardo maschile. Cosa ci stiamo perdendo, come comunità ecclesiali, non mettendo al centro le donne concrete, in carne ed ossa?

Non dando possibilità alle donne di vivere in pienezza e di offrire tutto ciò che lo Spirito dona loro, la Chiesa perde moltissimo. Sarebbe come avere i vaccini e le medicine per debellare il covid e buttarli a mare o usarne solo un decimo. La valorizzazione delle donne, dare loro la concreta possibilità di realizzarsi, non è solo una questione di giustizia (che comunque già non sarebbe poco), è una questione di fede: disprezzare ciò che lo Spirito opera è gravissimo. In un passaggio del Vangelo di Matteo (Mt 12,31) si annota che la bestemmia contro lo Spirito non può essere perdonata. Forse questo disprezzo dei carismi e dell’amore che lo Spirito dona alle donne è una forma estremamente evidente di questa bestemmia.

Lei non ama che le facciano la domanda su quale sia lo specifico femminile, perché ogni donna è unica. Ma aggiunge che se dovesse dare una risposta, direbbe che lo specifico femminile è la “ossessione” per gli altri, il loro essere etero-centrate. Lei ha detto che Gesù sentiva quasi a pelle l’ossessione delle donne per gli altri, e per questo aveva con loro un rapporto liberante e di libertà, in un contesto dove le donne erano considerate poco più di un armento. Gli ricordava l’ossessione del Padre per il Figlio e per ogni creatura.

Questa ossessione evangelica può contagiare le sorelle ed i fratelli tutti?

Bisogna stare attenti con queste espressioni – che pure ho usato più volte – perché non devono farci pensare che le donne sono chiamate a vivere per gli altri smettendo loro stesse di vivere, come in una continua immolazione. Questo tipo di retorica ha fatto la schiavitù e la sofferenza di troppe. Però è vero, mi sembra, che un po’ per la storia vissuta, per quanto abbiamo vissuto e anche per quanto siamo state costrette a vivere, le donne si giocano con più facilità sulle relazioni, diventando empatiche, pronte a ricostruire anche là dove le relazioni vengano strappate, capaci di vivere portando con sé il pensiero costante di coloro che amano. Questo può essere inteso come un riflesso del Padre celeste, cheè rivolto, fa spazio, non dimentica mai quelli che ama, tende sempre al perdono, non vuole essere solo…


Lei ha molto a cuore l’episodio evangelico della donna che unge Gesù a Betania. Gesù dice che la memoria di quel gesto d’amore non passerà. Può, in conclusione, commentarci questo brano del Vangelo?

Il brano dell’unzione di Betania ha due versioni diverse: quella in cui Gesù è unto da una donna sconosciuta sul capo (Marco e Matteo), unzione dopo la quale il Signore, difendendo la donna dalle accuse di chi gridava allo scandalo per lo spreco, dichiara che ciò che lei ha fatto verrà raccontato ovunque il Vangelo verrà annunciato. E poi c’è la versione di Giovanni, secondo la quale l’unzione avviene sui piedi di Gesù ed è fatta dall’amica Maria di Betania (sorella di Marta e di Lazzaro). L’elemento straordinario della versione di Giovanni è proprio lo spostamento dell’unzione dal capo ai piedi di Gesù, perché poco dopo Gesù farà un gesto del tutto simile, lavando i piedi ai discepoli. Sembrerebbe che abbia preso ispirazione dal gesto della sua amica, che si sia lasciato istruire dalla logica dello spreco di lei, abituata in quanto donna a non essere considerata importante nel mondo in cui vive, eppure pronta a dare tutto di sé per onorare chi ama, per ungere – in questo caso – l’amico che va a morire. Non è la logica di chi ha potere e successo, ma piuttosto è la logica di chi ama e non conosce altro valore che far di tutto per far vivere l’altro. Gesù ne resta ammaliato e fa suo il gesto: anche lui va a morire, con uno spreco indicibile, e verrà considerato niente, proprio come le donne erano abituate ad essere considerate, ma anche lui, come ha mostrato Maria, può dare un senso nuovo a questo spreco. E così la morte di lui diventa dono da cui il Padre può trarre la vita..

A cura di Giandiego Carastro
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Adsumus, Sancte Spiritus
Preghiera di invocazione allo Spirito Santo per un’assemblea ecclesiale di governo o di discernimento (quindi sinodale)

Ogni sessione del Concilio Vaticano II è iniziata con la preghiera Adsumus Sancte Spiritus, le prime parole dell’originale latino che significano: “Noi stiamo davanti a Te, Spirito Santo”, che è stata storicamente usata nei Concili, nei Sinodi e in altre riunioni della Chiesa per centinaia di anni, essendo attribuita a Sant’Isidoro di Siviglia (560 circa – 4 aprile 636). Mentre siamo chiamati ad abbracciare questo cammino sinodale del Sinodo 2021-2023, questa preghiera invita lo Spirito Santo ad operare in noi affinché possiamo essere una comunità e un popolo di grazia. Per il Sinodo 2021-2023, proponiamo di utilizzare questa versione semplificata, in modo che qualsiasi gruppo o assemblea liturgica possa pregare più facilmente.
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Siamo qui dinanzi a te, Spirito Santo: siamo tutti riuniti nel tuo nome.
Vieni a noi, assistici,
scendi nei nostri cuori. Insegnaci tu ciò che dobbiamo fare,
mostraci tu il cammino da seguire tutti insieme. Non permettere che da noi peccatori sia lesa la giustizia,
non ci faccia sviare l’ignoranza,
non ci renda parziali l’umana simpatia, perché siamo una sola cosa in te
e in nulla ci discostiamo dalla verità.
Lo chiediamo a Te,
che agisci in tutti i tempi e in tutti i luoghi, in comunione con il Padre e con il Figlio, per tutti i secoli dei secoli. Amen

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Titolo rivisto dal latino, per avere un incipit proprio, diverso dall’Adsumus Dominus Sancte Spiritus. Il Caeremoniale Episcoporum 1984ss., n. 1173, propone solo l’uso dell’Adsumus ma non ne dà il testo. La versione tedesca Das Zeremoniale für die Bischöfe, n. 1188, dà una traduzione tedesca basata sul testo latino degli Acta Synodalia del Concilio, vol. I/1, p. 159.
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