Parliamo di Sinodo
Per un noi ecclesiale.
di Emanuela Buccioni, su Rocca 01/22
Sinodo» e «percorso sinodale» invitano doppiamente da un punto di vista etimologico ad avviare o a rinnovare un cammino insieme del «noi ecclesiale». Chi è incluso in questo «noi»? Da più parti infatti si
percepisce l’invito di papa Francesco come un’occasione propizia, a lungo attesa e preparata, per completare la ricezione delle migliori intuizioni del Concilio Vaticano II: può la Chiesa giungere ad una definizione più completa di se stessa? Oggi più ancora che allora è in gioco l’identità, la configurazione e la missione ecclesiale.
[segue]
ripartire dalle intuizioni conciliari disattese
Fra le dimensioni del Concilio più disattese c’è probabilmente quella della riflessione sulle chiese locali che realizzano la tradizione vivente della fede in un dato contesto culturale e sociale, in cattolica comunione fra loro e con la chiesa di Roma e il suo vescovo. Non avendo maturato questa riflessione si è diffuso spesso un atteggiamento di subordinazione e delega, vissuto sia verso la Santa Sede, sia all’interno delle diocesi fra i suoi membri. Il modo in cui viene sviluppato il discorso sulla Chiesa, cioè la stessa sequenza dei capitoli, nella costituzione Lumen Gentium, dichiara l’intenzione di riscoprire la Chiesa come la totalità del popolo di Dio che si incarna nei diversi popoli della terra (EG 115). È all’interno di tale totalità che si inquadra il ruolo e l’identità dei vescovi e dello stesso papa, insieme a quello dei laici e dei religiosi. Tuttora invece molto spesso l’idea implicita che permane rispetto alla Chiesa è che essa sia in sostanza costituita dai chierici, mentre i fedeli sono solo i beneficiari di servizi religiosi all’interno di relazioni gerarchizzate. Tale strutturazione della dimensione istituzionale della Chiesa non stupisce in quanto mutuata da un mondo culturale che si avvaleva delle stesse relazioni. Perché la Chiesa non ha favorito l’evoluzione di tale modello verso uno più coerente con la fraternità annunciata nel vangelo? Perché oggi si trova a non riuscire ad abbandonare tale modello nonostante la realtà culturale circostante lo ha messo ampiamente in discussione e lo sta superando?
La categoria biblica di popolo di Dio ha avuto nel tempo diverse articolazioni in base alle reali condizioni di vita, all’ambiente culturale, all’epoca storica. La revisione delle strutture è stata infatti una costante pur nell’unica storia della salvezza. Quando Mosè nel Deuteronomio rammenta gli inizi dell’esodo, del cammino di progressiva liberazione dall’Egitto e dalla sua oppressione come anche dai suoi condizionamenti interiori, afferma che «sua porzione è il suo popolo», di lui che è la Roccia, il Dio fedele e giusto. Un popolo che trovò informe, in una terra deserta e «lo circondò, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio», vegliando come aquila sui suoi piccoli fino a che venne il tempo di affrontare il cielo e «lo sollevò sulle sue ali. Il Signore, lui solo, lo ha guidato» (Dt 32,9-12). Forse anche in quest’epoca ci ritroviamo in condizione di attraversamento del deserto, in un cambiamento che riguarda l’epoca che viviamo e la Chiesa stessa, in condizioni che risultano destabilizzanti per molti. Senza una vera fiducia nel Signore continuano nel popolo le mormorazioni, le lamentele e i rimpianti per le cipolle d’Egitto. Come riorganizzarsi senza dei sorveglianti che dettino legge? Come vivere le relazioni reciproche? La guida del Signore si manifesta come una presenza vicina e rassicurante al di là delle apparenze, come un abbraccio («lo circondò»). Superate le paure paralizzanti si possono affrontare le incertezze crescendo in sapienza: si tratta di lasciarsi educare, istruire («lo allevò»), per imparare a camminare con le proprie gambe, a spiccare il volo, senza rimanere a vita nel nido caldo e sicuro. C’è l’ignoto, ci sono i pericoli, ma si possono discernere le situazioni e prendere insieme le strade migliori («lo custodì»). Fede, crescita, discernimento, tutti sotto l’azione dello stesso Spirito di Dio.
L’organizzazione del deserto è superata quando si arriva nella terra promessa. Nel faticoso insediamento fra gli altri popoli presenti, nei momenti di maggiore difficoltà, il Signore suscita dei giudici che esercitano il governo e ristabiliscono i diritti del popolo quando viene oppresso: fra tutti spicca la profetessa e giudice Debora. Di lei sappiamo dell’autorevolezza di cui godeva presso il popolo, della sua capacità di coinvolgere altri, Barak e le altre tribù del nord e di discernere i modi e i tempi degli interventi anche contro un popolo più forte e molto meglio equipaggiato. Il suo ruolo di guida condivisa e «sinodale» viene celebrato in una delle pagine più antiche della Bibbia ebraica (cfr Gd 4-5).
come possiamo essere e vivere come popolo di Dio in cammino?
Al tempo di Samuele il popolo cede alla tentazione di essere come tutti gli altri popoli e di avere un re (cfr 1Sam 8-10): il Signore dice a Samuele di ascoltare questa richiesta frutto di insicurezza anche se la monarchia renderà più difficile la relazione con Dio e costerà il prezzo alto della libertà. Anche con questa organizzazione, fra molte infedeltà del popolo e soprattutto dei suoi capi, il Signore porta avanti la sua azione di salvezza, fino alla caduta di Gerusalemme e alle dominazioni che si succederanno. Quando è possibile tornare dalla deportazione a Babilonia e sulle macerie di Gerusalemme si può tornare a ricostruire, il popolo si raduna come un’unica assemblea di uomini, donne e di quanti sono capaci di intendere (Ne 8). Alla presenza del governatore Neemia e del sacerdote e scriba Esdra, tra col contributo esegetico dei leviti, il popolo sembra ritrovare la propria identità nell’ascolto del libro della Legge che si protrae per più giorni, mentre la notte si dorme in capanne appositamente costruite in memoria del tempo dell’Esodo. Il popolo si dà delle nuove istituzioni attorno al secondo Tempio che viene riedi- ficato a Gerusalemme. Da questo momento e soprattutto dopo la distruzione del 70 d.C., sempre più centrale diviene l’ascolto di quella Parola che annuncia e narra la misericordia del Signore che sempre agisce per liberare il suo popolo dal giogo che viene da scelte sbagliate, dall’idolatria del potere, dalla corruzione (Ne 9,38).
In questo lungo cammino alcune forme sono rimaste, altre sono state riconfigurate, sempre con qualche timore, con l’assunzione di qualche rischio, con molte imperfezioni, in obbedienza alla vita. All’interno di questa storia tornano alcune domande spesso nella forma di rimproveri o incoraggiamenti da parte dei profeti: come possiamo essere e vivere come popolo di Dio in cammino? Cosa non ci rende popolo? Cosa non rende trasparente l’appartenenza a Dio? Cosa ci impedisce di procedere?
«invece tra voi non è così»
La configurazione gerarchica che si fonda su relazioni di subordinazione corrisponde a un modello contestato fin da Iotam con il suo apologo (Gd 9,7-15), da Samuele (1Sam 10,17-17) e da Gesù stesso: «coloro che sono considerati governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi li opprimono»: non si tratta di atteggiamenti di singoli ma di effetti collaterali insiti nel modello. «Invece tra voi non è così, ma chi vorrà diventare grande tra voi sarà vostro servitore (diacono)» (cfr Mc 10,42- 45), proprio come Gesù stesso che è venuto per vivere la stessa diaconia e dono della vita. Proprio lui che ha donato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, pastori e maestri, per mettere in grado tutti i battezzati di esercitare la diaconia reciproca dell’edificazione del corpo di Cristo. Un cantiere aperto e in piena attività finché si arrivi tutti all’essere adulti, alla maturità e libertà di Cristo Gesù (cfr Ef 4,11-13). La crescita e la maturazione della comunità ecclesiale può essere vista come una nascita in corso: la testa – Cristo – è già fuori, il resto del corpo, ben collegato e tenuto insieme grazie al contributo di ogni articolazione, secondo la capacità propria di ciascuno, cerca di venire alla luce.
Come favorire questa ecclesiogenesi se non riconfigurando in senso sinodale le relazioni e le dinamiche comunicative tra i soggetti che compongono la Chiesa?
Già il padre della Chiesa S. Cipriano (III sec.) sembra si avvalesse di un consiglio di cui erano parte presbiteri, diaconi, laici: le deliberazioni pastorali avvenivano dopo attento ascolto e dialogo, attraverso un discernimento comune. D’altra parte «ciò che riguarda tutti dev’essere trattato e approvato da tutti», secondo un principio canonistico medievale citato durante il Concilio da Yves Congar. Ciò che riguarda tutti è l’evangelizzazione e il favorire l’incontro liberante con Gesù: il soggetto di questa missione è il popolo di Dio in pellegrinaggio, in cammino insieme (cfr EG 111).
Secondo la Lumen Gentium l’intenzione dei padri conciliari vede la chiesa come totalità del popolo di Dio, all’interno del quale è integrata la gerarchia: il tutto incorpora e qualifica tutti i soggetti ecclesiali in reciproco scambio, in una reciprocità e corresponsabilità che non sono accessorie, né ausiliarie, ma essenziali alla natura stessa della Chiesa. Eppure a partire dagli anni ’80 si è favorito un forte centralismo nel governo e nello sviluppo dottrinale che ha ridimensionato e mortificato le potenzialità espressive di vescovi e sinodi diocesani, che ha subordinato per decenni la teologia al magistero, che ha ridotto la formazione dei battezzati allo studio del catechismo universale. Allora non è strano che un vescovo in una riunione di un consiglio pastorale diocesano davanti a dei tavoli disposti a quadrato per consentire a tutti di guardarsi e ascoltarsi, commenti: «Cos’è questo? Non si capisce chi comanda!» oppure che altri sottovoce ammettano: «Se ci fossero abbastanza preti non si farebbe tutta questa
storia della teologia del laicato».
superare il modello ecclesiale che favorisce circoli chiusi carrierismo e laici come supplenti
Il modello attuale favorisce, come ci dice papa Francesco, circoli chiusi, carrierismo, autoreferenzialità, concezione dei laici come supplenti temporanei. Tutto questo mentre il mondo che vive in nostre città e che aspetta di vedere il vangelo vissuto, corre inesorabilmente e talvolta ci precede nella solidarietà, nella denuncia della corruzione, nel reclamare diritti che valgano per tutti e non per pochi privilegiati, nel camminare verso forme sempre più evolute di uguaglianza e partecipazione. Certo, il vangelo non è solo questo, ma la percezione di una Chiesa che si opponga a tali processi non favorisce la credibilità sul resto.
Nella prova della pandemia abbiamo visto molta reattività e resilienza nelle associazioni laicali e nei laici che sono abituati a vivere la propria vita di fede negli ambiti ordinari, a valutare insieme le situazioni e a rispondere prontamente. Abbiamo visto più disorientamento e talvolta posizioni imbarazzanti in coloro che privi dell’esercizio del culto sembravano aver smarrito la propria identità. Chi ha reagito meglio è stato chi viveva già da prima il suo essere pienamente parte dello stesso corpo, come Agostino: «vescovo per voi, cristiano con voi». Chi vive l’appartenenza alla gerarchia come un essere altro e separato rispetto ad essere fratello fra fratelli battezzati rischia di non riuscire ad ascoltare la voce dello Spirito che si fa presente nel senso della Chiesa di tutti i fedeli e dunque con difficoltà potrà coglierne intuizioni ed esigenze.
Se l’attuale forma ecclesiale risulta essere un ostacolo all’annuncio del vangelo, come in altre epoche della lunga storia della salvezza, il popolo di Dio potrà trovare una nuova articolazione nella quale sia più evidente che ognuno ha qualcosa da imparare dagli altri, che siamo membra gli uni degli altri (Rm 12,5), che siamo fratelli e sorelle fra noi e con Cristo (LG 32).
Nelle occasioni di confronto che ci sarà dato di vivere a partire dal livello diocesano sarà allora importante cercare vie per esplicitare questa conversione sinodale, che nasce come consapevole reciprocità delle identità del variegato e plurale «noi ecclesiale», si sviluppa nel lavorare insieme, ognuno mettendo a disposizione ciò in cui ha competenze, si completa nel prendere insieme decisioni pastorali.
Emanuela Buccioni
——————-
ROCCA 1 GENNAIO 2022
SINODO
——————————————————-
Ignorare i carismi che lo Spirito dona alle donne nella Chiesa è come una bestemmia. Incontro con Simona Segoloni Ruta
18 Dicembre 2021 by c3dem_admin | su C3dem.
a cura di Giandiego Carastro
—————————————————————
Lascia un Commento