Sinodo e cammini sinodali

sinodo-schermata-2021-08-23-alle-11-52-08Le sfide teologiche del Sinodo
di Luigi Berzano* su Rocca 24/2021

Sinodi e concili sono sempre stati celebrati quando le trasformazioni della storia imponevano cambiamenti anche nella Chiesa. Così avvenne negli anni 1960 con il Concilio ecumenico Vaticano II. [segue] Questa prassi è però antica e risale alla Chiesa primitiva quando valeva il principio che «ciò che interessa tutti deve essere discusso da tutti». Quali sono le sfide dell’attuale Sinodo 2021 e quale è il contesto nel quale esso si svolge? A leggere i molti programmi di lavoro e le linee di discussione per il Sinodo che diocesi, istituzioni, centri studi e anche riviste del mondo cattolico critico hanno elaborato colpisce l’insistenza sulla struttura della Chiesa: corresponsabilità, democrazia, autonomia delle comunità, riconoscimento totale dei laici e delle donne, accoglienza degli ultimi, impegno umanitario, rinnovamento della catechesi perché sia più efficace e altre aspettative. È la domanda di una Chiesa ‘orizzontale’. Quasi assente pare essere la dimensione teologica del credere: come «dire Dio», come raccontare Gesù, come parlare del mondo oltre la vita, come formulare il credo oggi, come ripensare il dies Domini nel tempo in cui solo più una minima minoranza partecipa ancora all’eucarestia domenicale. Questo mio intervento pone alla base delle sfide per come il Sinodo le questioni teologiche, le questioni del credere.

la centralità (mancante) della questione del credere
Tutte le ricerche documentano che l’attuale condizione delle società secolari, caratterizzante in particolare il Nord del mondo, è ben compatibile con l’esperienza religiosa e con le sue istituzioni, comprese quelle cristiane. Quanto invece risulta meno credibile è la presentazione del loro messaggio. Per tale ragione aumentano le percentuali di quanti credono in libertà e autonomia. Alla radice di tutto ciò sta la grande dissonanza cognitiva che vive il credente contemporaneo, combattuto tra due fedeltà conflittuali: quella al suo credo religioso non più credibile in vari aspetti e quella alle evidenze scientifiche e alle trasformazioni della modernità.
Il credente vive oggi la nuova dissonanza cognitiva tra il sistema di credenze della sua Chiesa – così come sono espresse linguisticamente – e la condizione secolare moderna che le contraddice. Per tale ragione le sfide che il Sinodo pone riguardano il passaggio a forme, anche linguistiche, capaci di interpretare le urgenze del «popolo di Dio», nell’esilio delle società secolari.
Di recente, per interpretare le trasformazioni religiose contemporanee, molti ricercatori hanno distinto il livello delle credenze, quello delle pratiche e quello della dichiarazione di appartenenza, cioè dell’identità. Le combinazioni possibili tra queste diverse dimensioni si rivelano molteplici: si può credere senza praticare, si può praticare senza credere, si può dichiarare di appartenere a una religione senza credere e senza praticare, e infine si può appartenere, credere e praticare.
Qui, sulla base di tutte le recenti ricerche, io formulo il modello dell’appartenere senza credere: individui che si dichiarano cristiani senza più credere in tutto alle verità proposte dalla propria Chiesa. Essi mantengono ancora l’identità cristiana per tradizione, adottando però stili di vita in cui risultano molto più complessi i rapporti tra la dichiarazione di appartenenza e il credere. In questo profilo di credenti prevale il principio di autonomia, che rappresenta il maggiore ostacolo all’ordine tradizionale proposto dalle rispettive Chiese. Questa è la quarta secolarizzazione – quella degli stili di vita – che vede gli individui organizzare la loro vita quotidiana in autonomia (Berzano, 2018, 2020). È in questa condizione che le religioni non potranno più mantenersi inalterate, teologicamente e culturalmente. È la sfida che il Sinodo pone al pensabile religioso, e anche alle scienze teologiche.

la quarta secolarizzazione
Oggi, tutto rende meno significativa la condizione che da sempre fondava il rapporto con il mondo del divino. Ne viene coinvolta anche l’immagine di Dio, divenuto più lontano e più altro di quanto si fosse creduto. Questa crescente autonomia del mondo e dell’individuo rispetto al religioso è proseguita di recente anche negli stili di vita: dalla più piccola pratica quotidiana fino alla valutazione generale della vita sociale e pubblica, l’autonomizzazione ha coinvolto molte tradizionali visioni del mondo e della trascendenza. Ora, l’identità del credente non è più legittimata e sostenuta dalla società, ma da scelte personali di appartenenza e di fede. Di qui nascono le oscillazioni tra l’adesione religiosa solamente culturale e l’intensità dell’impegno personale, tra il ritrarsi individuale e l’aspirazione a far parte, in forme fusionali, di una comunità.
Il contesto nel quale si pongono le aspettative del Sinodo è quello in cui si scopre che è l’interiorità a governare l’accesso all’esterio- rità, e non più, come accadeva un tempo, quello nel quale l’accento era posto sull’esteriorità della manifestazione del sovrannaturale. Tutto ciò non indica la fine della religione personale e nemmeno della religione nella vita pubblica; ma piuttosto evoca il principio della «società fondata su se stessa», tipica della società secolare (Taylor, 2007).
È nell’epoca secolare che la religione inizia a occupare un posto differente, compatibile con l’idea che ogni azione sociale avvenga in un tempo profano. Nella condizione secolare, o l’esperienza religiosa si approfondisce al di là di un’adesione superficiale alla tradi- zione culturale, oppure si adegua al ritirarsi individuale e privato del credere. La crisi attuale delle religioni e delle Chiese consiste nel fatto che il vecchio muore, e il nuovo ha difficoltà a nascere. È la metamorfosi dell’attuale epoca che, in riferimento alle religioni, non riguarda solo problemi di organizzazione, di partecipazione democratica, di collegialità delle scelte, di correttezza delle isti- tuzioni ecclesiastiche, ma anche di teologia e di linguaggio nel formulare le verità religiose. L’invito del Sinodo alle Chiese cristiane e alle scienze teologiche è di discutere, anche con qualche spregiudicatezza, il corpus dottrinale strutturato in trattati dogmatici, conseguente alla logica auto-conservatrice di tutte le Chiese.

il Sinodo e lo «scisma sommerso» del credere: una Chiesa in esilio
Di recente, le Chiese cristiane hanno già conosciuto uno «scisma sommerso» nell’irruzione del divorzio e dell’aborto nella struttu- ra tradizionale dell’istituto familiare, nella liberalizzazione dei rapporti di coppia, nella diffusione dei metodi contraccettivi, nel decremento demografico, nell’incremento incontrollato delle zone periferiche o emarginate del pianeta, nonché negli altri grandi temi sugli orientamenti della bioetica e del dibattito ecologico (Prini, 2002).
Oggi, un secondo «scisma sommerso» – quello teologico – pare toccare le questioni teologiche e il loro insieme di formule esplicative della fede. Le ricerche sociologiche indicano che molti cattolici hanno riserve o mettono in dubbio verità, formulazioni del «credo», valutazioni etiche e forme di pratiche rituali delle Chiese, senza sentirsene fuori o indotti a uscirne, nonostante che la loro appartenenza sia solo più culturale e identitaria. Si tratterebbe di uno scisma interiore e personale, anche se, per la sua consistenza numerica, esso si manifesta anche socialmente. L’identificazione con il Cristianesimo rimarrebbe solo più con la sua storia e con quanto ha prodotto di positivo nella cultura, nei diritti individuali e collettivi, nell’economia. È il declino crescente delle credenze anche presso i praticanti delle varie Chiese, che documenta quindi l’esaurimento semantico della teologia cristiana.
Queste questioni teologiche dell’attuale scisma sommerso sono relative alle rappresentazioni del divino, della creazione, di Gesù, della preghiera e della vita dopo la morte. Sono anche queste le questioni che dovrebbero essere al centro delle riflessioni del Sinodo. Senza la discussione profonda di queste questioni le Chiese cristiane e i loro credenti non potranno che vivere come «in esilio», fuori dal mondo secolare contemporaneo e con la sofferenza di appartenere a una rappresentazione del mondo irreale e non più credibile, almeno nel linguaggio. È l’esperienza di chi si ritrova in un mondo astratto, non verificabile, lontano dalle sensibilità problematiche che la teologia dovrebbe illuminare.

come riuscire a dire Dio oggi
Da qui nasce l’invito a un nuovo viaggio nel mistero di Dio e delle sue creature, per riuscire a «dire Dio oggi» e a «dire creatura oggi» non solo come ripetizione del credo niceno-calcedoniano del IV/V secolo. Sono campi e direzioni di ricerca. Ce n’è abbastanza per indicare una direzione di lavoro teologico e di studio delle fonti della fede. Poiché è proprio dalla realtà della storia, e non dalla metafisica, che la teologia deve trarre la propria realtà. Purtroppo è la teologia speculativa che manifesta indifferenza nei confronti della realtà storica, perché la ritiene in contrasto con le sue costruzioni sistematiche, che considera definitivamente formulate; ma, così facendo, non solo va contro il suo statuto scientifico, ma nega la sorgente sempre fresca e attiva delle sue fonti. Riemerge in questa considerazione quanto scriveva già nel 1937 il grande teologo domenicano Marie-Dominique Chenu.
Se il cristianesimo trae in questo modo la propria realtà dalla storia, e non da una metafisica, il teologo deve avere come prima preoccupazione, prima per dignità come per ordine cronologico, il conoscere questa storia, e l’attrezzarsi a tale scopo. Non è una fatica passeggera da lasciare agli specialisti, sulla soglia del laboratorio speculativo, ma un’applicazione permanente in cui lo spirito trovi soddisfazione. (…) E, più ancora che nella scienza, è richiesto questo ritorno, questa «risoluzione» al dato come ai principi in cui, luce e oggetto, ogni costruzione trova fondamento e senso. (Chenu, 1982, p. 42).
Il riflettere su queste sfide pare essere l’invito del Sinodo alle scienze teologiche, che da un lato sono scientia dei libri sacri, delle rivelazioni, dei contenuti dogmatici, e dall’altro lato devono avere una dimensione ultra, senza la quale rischiano di non cogliere le nuove sensibilità spirituali che proprio la secolarità fa nascere e che la stessa teologia dogmatica chiama preambula fidei. Per tali ragioni si potrebbe dire che la teologia deve recuperare una dimensione di ricerca, capace di cogliere la discontinuità tra l’elenco di proposizioni dogmatiche dei suoi manuali e il bisogno degli individui di rendere la propria fede pensabile anche razionalmente, fosse anche in nome della ragione critica e dei propri limiti. In tale concezione della teologia, anche la Tradizione e il Magistero, oltre che la Sacra Scrittura, non sono solo repertori di argomenti a uso della Scuola e da socializzare rigidamente; ma sono primariamente il dato da scrutare, da approfondire e da confrontare con la storia.

una conclusione
Tutto ciò non significa che il discorso teologico delle Chiese non si sia aperto, talvolta, a prospettive suggestive, capaci di andare oltre il rischio di dissolversi nelle brume del nonsenso. È da riconoscere che proprio nei contesti secolari la teologia ha conosciuto un suo nuovo statuto istituzionale e una crescita nel controllo critico dell’aperto dibattito, lasciando emergere una riflessione metateorica aperta a nuove possibilità di senso, e non sempre all’ombra del solo imprimatur ecclesiastico. Ha conosciuto la ricerca intesa come ermeneutica esistenziale della Parola-di-Dio: una ermeneutica capace di accogliere come propri elementi le istanze e i problemi storici, non più contenibili sotto il ristretto ombrello delle ortodossie dogmatiche. Di recente, l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco ne ha dato un esempio, indicando la fede cristiana non quale insieme di proposizioni da accogliere solo con la mente, ma quale incontro ed esperienza che impegna tutta l’esistenza. Questo non è una notazione irrilevante. Infatti, ponendo la fede dentro l’esistenza si inverte il tradizionale rapporto tra la fides qua, che è l’atto di credere, e la fides quae, che è il contenuto dell’atto di fede, riconoscendo la miticità di ogni oggettivazione dogmatica.
Luigi Berzano

Bibliografia delle opere citate
Luigi Berzano, Quarta secolarizzazione. L’auto- nomia degli stili, Mimesis, Milano 2018; Id., The Fourth Secularisation: Autonomy of Individual Lifestyles, Routledge, London 2020.
Marie D, Chenu (1982), Le Saulchoir. Una scuo- la di teologia, Marietti, Casale 1982.
Pietro Prini, Lo scisma sommerso, Garzanti, Milano 1999.
Charles Taylor, L’età secolare, Feltrinelli, Mila- no 2009.
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*Luigi Berzano
presbitero e docente presso l’Università di Torino, è coordinatore nazionale della sezione «sociologia della religione» dell’Associazione Italiana di Sociologia.

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One Response to Sinodo e cammini sinodali

  1. Gianfranco Monaca scrive:

    La secolarizzazione è un processo irreversibile (Socrate, Isaia, Confucio, Buddha, Gesù, Erasmo…) e le religioni seguono con il freno tirato, più attente allo specchietto retrovisore che alla segnaletica stradale…

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