Coop 26. Accordo al ribasso, delusione, ma anche qualcosa di buono.
Cop26, passa l’accordo con il ricatto fossile
Terra terra. A Glasgow scontro fino all’ultimo: India e Cina impongono la modifica del documento finale sull’eliminazione del carbone
Lavori della Cop 26
Anna Maria Merlo
il manifesto, EDIZIONE DEL 14.11.2021
PUBBLICATO 13.11.2021, 23:59
Suspence fino all’ultimo alla Cop26 di Glasgow. A un passo dal voto finale, blitz di India e Cina, che hanno imposto un cambiamento: sul carbone, sostituire «phasing-out» (eliminazione progressiva) con «phasing-down» (diminuzione). «Nuova delusione» per la Ue, «grande disappunto» delle piccole isole e di molti paesi.
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CON UN GIORNO di ritardo sui tempi previsti, tra molte reticenze e dubbi, il testo finale del Glasgow Climate Pact, la terza versione rimaneggiata all’ultimo minuto, è stata alla fine approvata: richiede ai 197 paesi presenti (più la Ue) di «rivedere e rafforzare» gli obiettivi di tagli alle emissioni di Co2 per il 2030, gli stati sono chiamati a presentare dei nuovi piani a fine 2022, alla prossima Cop che sarà in Egitto a Sharm el-Sheikh, per rispettare l’impegno di mantenere il riscaldamento a 1,5 gradi a fine secolo. Ma nel testo finale c’è un’attenuante: «tenendo conto delle differenti circostanze nazionali», che lascia un margine di manovra ai riottosi per trovare scuse a rallentare l’azione.
LA MESSA AL BANDO (relativa) al carbone è la prima volta che viene citato in un testo Onu, ma ci sono delle attenuanti: il testo si riferisce solo l’«unabated coal», cioè le estrazioni che non hanno un «sistema di cattura di Co2» e mette lo stop soltanto alle «sovvenzioni inefficaci» per le energie fossili. Il testo finale non integra la proposta di aprire un fondo speciale per «compensazioni» sulle «perdite e danni» dei paesi poveri, che non sono responsabili delle emissioni a effetto serra ma ne subiscono in pieno gli effetti, che per molti sono ormai una questione di vita e di morte: per l’occidente, che non vuole sentir parlare di «riparazioni» sul passato, accettare le compensazioni per le perdite e danni avrebbe aperto la strada a una valanga di pericolosi contenziosi giuridici internazionali.
Senza nessun obbligo formale, c’è l’impegno dei ricchi di «considerare un raddoppio» dei finanziamenti, che nel 2009 erano stati stabiliti a 100 miliardi di dollari l’anno (ma questa cifra non è ancora rispettata e al meglio lo sarà nel 2023). Ci sarà una revisione ogni due anni, dal 2022, sui finanziamenti per la transizione e l’adattamento (finora di solito erano soldi dati come prestiti, non sussidi, per i poveri significava un aumento del debito). Il testo parla di necessità di fornire un supporto per una “giusta transizione” e propone un “dialogo” per stabilire il montante delle sovvenzioni.
IL COMPROMESSO faticosamente raggiunto a Glasgow presenta una serie di promesse, ma non è legalmente vincolante, perché non è un Trattato internazionale. Non sono previste sanzioni per chi non lo rispetta. Le ong sono insoddisfatte, «non è sufficiente» per Oxfam, Greenpeace lo definisce «debole e compromissorio». Greta Thunberg twitta: «attenzione allo tsunami di greenwashing e alla propaganda dei media». Per la Federazione luterana mondiale «deve essere fatto di più per raggiungere la giustizia climatica». Per il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, «è un passo avanti, ma non abbastanza».
NON È STATO FACILE arrivare al voto. Ancora ieri è stata una giornata di forti tensioni, fino all’ultimo. Il blocco occidentale ha fatto pressione per far passare l’accordo. «E’ il momento della verità, il mondo ci guarda» è stato l’invito a concludere del negoziatore Alok Sharma. «Il meglio è nemico del bene» ha detto il negoziatore Usa, Kerry, che ha parlato di «spirito di compromesso» e di «passo nella giusta direzione». Ma Kerry aveva in testa degli obiettivi, che ha raggiunto: limitare la parte del mercato carbone che va ai paesi in via di sviluppo, sostituire il «fondo» chiesto dai paesi poveri per la compensazione in un vago «dialogo» e non imporre nessun obbligo al raddoppio degli aiuti promessi per la transizione e l’adattamento.
IL COMMISSARIO europeo del Green Deal, Frans Timmermans, ha messo in guardia contro il «rischio di cadere in questa maratona a qualche metro dall’arrivo». Le più forti reticenze sono venute dall’India e dalla Cina, a cui si sono uniti Sudafrica e Iran. Per la Cina, primo produttore di Co2, «il testo non è per nulla perfetto». Per Pechino, «l’approccio unico non va bene». L’India è sulla stessa posizione: il paese è estremamente critico sull’uscita dai combustibili fossili, «ogni paese arriverà al suo ritmo ai propri obiettivi di emissioni». Il rappresentante indiano ha chiesto: «come potete aspettarvi che i paesi in via di sviluppo facciano promesse sui combustibili fossili e sul carbone? Anche noi vogliamo la nostra giusta parte», ha detto, mentre la causa del riscaldamento climatico sono «stili di vita insostenibili, lo spreco dei consumi» dei paesi ricchi.
I PAESI INSULARI, anch’essi critici, si sono piegati alla terza versione, auspicando che apra uno spiraglio di speranza, mentre molti stati africani hanno deplorato il rifiuto dei finanziamenti per «perdite e danni». Per il negoziatore britannico, Alok Sharma, è un accordo «bilanciato».
AI MARGINI DELLA COP, sono stati raggiunti alcuni risultati, conclusi tra paesi volontari: c’è stata la dichiarazione congiunta Usa-Cina sull’importanza dell’obiettivi di 1,5 gradi (lunedì ci sarà un video-vertice Biden-Xi Jinping); 100 paesi si sono impegnati a mettere fine alla deforestazione per il 2030; altrettanti affermano di tagliare il metano del 30%; 40 stati promettono lo stop al carbone (ma non ci sono né Usa né Cina); c’è l’impegno di un gruppo di non finanziare investimenti nei combustibili fossili all’estero; c’è l’alleanza Boga (Beyond oil and gas) che fa balenare l’uscita dai carburanti fossili. 450 istituzioni finanziarie, che gestiscono centinaia di miliardi di capitale, hanno promesso di investire in energie pulite.
ANCHE AL FORUM della Pace di Parigi, che si è concluso ieri, con la presenza della vice-presidente Usa, Kamala Harris, alcune conclusioni riguardano il clima: è stata approvata un’iniziativa Net Zero per lo spazio, per un’utilizzazione durevole nel 2030 per evitare l’inquinamento; le forze armate di 22 paesi hanno preso l’impegno di diminuire l’impatto dei militari, che considerano “il cambiamento climatico una sfida immensa per la sicurezza”; è stato istituito un fondo per sviluppare le geo-ingegneria nel solare a favore dei paesi in via di sviluppo.
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