America America
LE MONTAGNE RUSSE DI JOE BIDEN
di Marino de Medici*
Le montagne russe di Joe Biden non finiscono mai. Lo Speaker della Camera dei Rappresentanti, Santa Nancy Pelosi, è riuscita a raffazzonare la legge di 550 miliardi di dollari per le infrastrutture, frutto di un sofferto compromesso tra i moderati e i liberali del partito democratico. Il miracolo propiziato da Santa Nancy è avvenuto quando lo Speaker ha perso solo sei voti di democratici progressisti ma ne ha incamerati tredici repubblicani. I negoziati erano stati estenuanti ma alla fine l’approvazione della legge per le infrastrutture veniva raggiunta grazie all’impegno dei deputati centristi di impegnarsi a favore della più impegnativa legislazione sociale che prevede la spesa di 1 trilione 750 milioni a condizione che venga giudicata finanziariamente praticabile dall’ufficio congressuale del bilancio. [segue]
E’superfluo aggiungere che tale intesa con i centristi è quanto mai fragile in quanto prevede una pletora di grossi stanziamenti per la sanità, per il soccorso all’infanzia e gli investimenti ambientali. Alla Casa Bianca,il presidente Biden ha tirato un enorme sospito di sollievo. Una montagna era stata temporaneamente scalata. Ma dopo l’approvazione alla Camera, la legislazione dovrà andare al Senato, dove verrà inevitabilmente ritoccata e rimandata per una nuova approvazione alla Camera.
La vera montagna che Biden deve scalare è sostanzialmente questa: coordinare una strategia politica basilare che assicuri benefici tangibili alla popolazione ed al tempo stesso superi la polarizzazione che è prodotta da fratture sociali come quelle dovute al permanere del Covid 19 e alla diffusa ricaduta dell’inflazione. Al centro dei contrasti attorno al Covid 19 è l’autorità legale dell’esecutivo di imporre mandati per le vaccinazioni dimostrando che la resistenza ai mandati non può compromettere l’interesse nazionale a
circoscrivere i danni arrecati da una insufficiente imposizione delle vaccinazioni.
Scalare questa montagna è di importanza critica per Joe Biden in termini di riconoscimento della sua leadership, che fin dagli inizi puntava sul recupero di normalità dopo quattro anni di convulsioni politiche e sociali dovute alla spregiudicata presidenza Trump. Gli ultimi sondaggi attribuiscono appena il 37,8 per cento dei consensi a Biden. Il 59 per cento disapprova.
Quasi due terzi degli americani (il 64 per cento) si dicono contrari ad una nuova candidatura Biden. E il quoziente di approvazione per la vicepresidente Kamala Harris è ancora più basso (28 per cento) di quello di Biden.
I democratici sono ancora sotto choc per la perdita del governatorato della Virginia, dove il loro candidato Terry McAuliffe è stato spiazzato dalla scaltra strategia
del repubblicano Glenn Youngkin ancorata alle guerre culturali predilette dal GOP repubblicano. Altrettanto importante in Virginia è stata l’ambiguità con cui Youngkin ha distanziato la sua candidatura dal protagonismo di Trump che lo aveva pubblicamente sponsorizzato. L’imprevista conseguenza del successo di Youngkin è il nervosismo ingenerato in non pochi senatori repubblicani. Questi temono che le loro speranze di strappare il controllo del Senato nel 2022 (sono in palio 34 seggi dei quali venti repubblicani e solo quattordici democratici) vengano compromesse dall’appoggio di Trump per candidati repubblicani alle primarie dagli indirizzi fortemente controversi e tali da far perdere loro il voto delle donne e degli indipendenti. In Virginia Youngkin ha prevalso anche grazie al voto degli indipendenti con un margine di 12 punti, un altro brutto colpo per i democratici.
I democratici farebbero bene ad evitare di cadere nella trappola di un confronto diretto con Trump, non solo perchè questi succhia troppe emozioni a scapito della strategia democratica di presentare all’elettorato un quadro realistico della
situazione economica (decisamente avviata a migliorare) e delle conseguenze benefiche di misure economiche e sociali, sempre che sia possibile varare quanto prima il
cosiddetto Build Back Better Act, un investimento di 1,75 trilioni nella rete di sicurezza sociale e di interventi contro il cambio del clima. L’impedimento che Biden deve superare a solo un anno dalle prossime elezioni midterm è in pratica che gli investimenti proposti per la lotta alla povertà e il miglioramento delle infrastrutture portano con sè una misura di inflazione che dovrà essere riassorbita quanto prima.
La montagna da scalare è quella di indirizzare l’attenzione ed il giudizio dell’elettorato su benefici, come già detto, tangibili. Eccone alcuni: scuole universali d’infanzia; congedi familiari e sanitari sovvenzionati; ampliamento del programma Medicare con minori costi farmaceutici; estensione del credito d’imposta per figli; alloggi a prezzi accessabili; norme più umane di immigrazione. E’ una programmazione che sarà inevitabilmente attaccata da più parti. Basti pensare alle difficoltà che incontra in California il tentativo di creare una edilizia popolare che venga incontro alla tremenda crisi dei senzatetto in uno stato dove non si trova casa sotto un milione di dollari. Non pochi vedono nel
Build Back Better Act una replica del New Deal rooseveltiano. Il paragone regge fino ad un certo punto anche perchè FDR poteva contare su una netta maggioranza democratica al Congresso. Ma è giusto parlare della impellente necessità nazionale di investire finalmente in una infrastruttura umana in America che travalichi le guerre culturali e identitarie. Per i democratici, la via migliore per raggiungere la cima è probabilmente il centrismo e
molti elementi fanno pensare che il presidente Biden sia avviato su questa strada. I prossimi mesi saranno decisivi non solo per la sua presidenza ma per il futuro della nazione.
Lascia un Commento