Atene e Roma una chiesa diversa

rocca-21-ott-21NO, NON È FINITA

di Raniero La Valle

La notizia è che effettivamente nel processo sinodale cominciato il 9 ottobre si cercherà di coinvolgere i laici e tutte le Chiese locali. [segue] Il papa ha chiesto la partecipazione di tutti, a cominciare dai fedeli romani, perché, ha detto loro, «sarebbe una figuraccia che la diocesi del papa non si impegnasse in questo, una figuraccia per il papa e anche per voi»; e la novità suggerita dal segretario generale cardinale Grech è che le conclusioni del Sinodo prima di essere trasmesse al papa come di norma, siano rinviate alle Chiese particolari per un vaglio di tutto il popolo di Dio, così che il documento finale non sarebbe solo del magistero ma di tutti i fedeli.
Dunque davvero si annuncia una «Chiesa diversa». E la cosa è tanto più importante nel momento in cui vengono avanzate due proposte alternative per il futuro del mondo. La prima, formulata dalla Grecia e altri undici Paesi dell’Unione schierati sul confine orientale dell’Europa, è quella di chiuderne le frontiere, alzarvi muri e fili spinati e farne un’aggregazione di Stati confliggenti tra loro e con gli altri, l’altra è quella avanzata davanti al Colosseo il 7 ottobre nell’incontro tra le diverse fedi religiose ed è quella di «religioni sorelle e popoli fratelli» per fare un mondo unito e prendersene cura: un mondo, non lo dimentichiamo, devastato da un virus che solo in poche aree più ricche è arginato dai vaccini ed è condannato a una prematura apocalisse se la crisi ecologica non sarà rovesciata.
Dunque da Atene e Roma spirano due venti che ci spingono in direzioni opposte. Atene e Roma è il vecchio binomio che eravamo abituati a identificare con le radici dell’Europa e a considerare come grembo di culture universali. Quella universalità non ha retto alla prova della storia, i simboli si sono rovesciati: a Roma il Colosseo (citazione di papa Francesco) fu «luogo di brutali divertimenti di massa, messa in scena di uno spettacolo fratricida, di un gioco mortale fatto con la vita di molti», cosa che continua ancor oggi nella successione di guerre e violenze; il «Dio ignoto» predicato sull’acropoli di Atene per unificare le genti ha dato luogo invece a una Chiesa che ha interpretato la missione come proselitismo e si è concepita come cristianità, che voleva dire incorporarsi il mondo; mentre l’universalità dell’Occidente è stata pensata e gestita come superiorità su tutte le culture e come dominio sugli altri popoli.
Bisogna quindi prendere un’altra strada, costruire una vera alternativa, La formula dell’Imam Ali ibn Abi Talib, genero di Maometto, rilanciata dal papa a Roma: «Le persone sono di due tipi: o tuoi fratelli nella fede o tuoi simili nell’umanità» è adeguata. Ciò vuol dire unità nel pluralismo, riconoscendosi fratelli «ciascuno con la propria identità religiosa», come ha ribadito il papa nell’incontro al Colosseo; ma vuol dire anche non fare di questa identità un’esclusiva, e fare i conti con l’idea teologica di «elezione», un solo Dio, un solo popolo, una sola terra, una sola legge, una sola fede. Una lettura fondamentalista di questa idea è stata la malattia infantile del monoteismo, che per Israele giunge fino allo Stato sionista di oggi, e per la Chiesa ha preso le forme della sovranità temporale, che secondo lo storico Friedrich Heer è sfociata nel tentativo di Carlo Magno di organizzare l’Occidente come uno Stato totalitario.
Come ha ricordato il papa nell’incontro con i suoi fedeli romani, sono stati i profeti stessi di Israele che hanno corretto il concetto di elezione, che non discrimina in nome di Dio, che non può essere imprigionato nell’idea di una esclusività, di un privilegio, ma deve essere un dono che qualcuno riceve per tutti, un dono per cui la salvezza di Dio si offre alla storia, a tutta l’umanità. Novità di interpretazione che nel cristianesimo è stata promossa da Paolo, ciò di cui gli ebrei si risentono, come ha mostrato la recente polemica dei rabbini sull’esegesi papale della lettera ai Galati, ma che l’ebreo Jacob Taubes gli ha riconosciuto come merito: Paolo è infatti l’antitesi dell’idea di selezione che riserva a pochi la realizzazione dell’umano, come nella modernità è stato sostenuto da Nieztsche; per Paolo, dice Taubes, il non-uomo diventa uomo, il non-popolo diventa popolo, la debolezza diventa forza. Ed è su questa linea che papa Francesco vuole mettere la Chiesa, non per fare un’altra Chiesa, ma «una Chiesa diversa», come diceva Congar; non più la Chiesa dei grandi numeri (la Sala Nervi, detta aula Paolo VI, fu costruita perché san Pietro sembrava troppo piccola), non la missione come proselitismo e nemmeno la conventicola del 3, 4 o 5 per cento che frequenta e la pensa allo stesso modo, ma una Chiesa aperta che serve tutti, cammina insieme a tutti, «coltivando l’intimità con lo Spirito e con il mondo che verrà»: e qui il vero sinodo, che significa appunto camminare insieme, sembra andare oltre l’ambito religioso, e proporsi piuttosto come quello dei popoli verso il diritto la giustizia e la pace.
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ROCCA 1 NOVEMBRE 2021
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