Il convegno di Cagliari sul fine vita “ha dimostrato che in nome dell’Uomo si possono trovare soluzioni. Bisognerà continuare a battere la stessa strada e possibilmente ampliarla perché si sia pronti, all’indomani dell’esito del Referendum, a discutere di una legge che guardi alle sofferenze umane non a pure astrazioni”

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EUTANASIA, CONFRONTO FRA GIANNI LOY E DON ETTORE CANNAVERA: CONVEGNO A CAGLIARI TRA UN GIURISTA E UN SACERDOTE

di OTTAVIO OLITA su Tottusinpari

Le adesioni al referendum per l’abolizione dell’articolo 579 del codice penale – ‘omicidio del consenziente’ – e per una successiva legge che riconosca il diritto ad una buona morte sono massicce in tutta Italia. Del milione e 207 mila firme finora raccolte, oltre 823 mila sono cartacee, 383 mila digitali. Significativo il dato che riguarda la Sardegna: percentualmente, con 72 adesioni su mille, è al secondo posto in Italia, dietro alla sola Lombardia.

L’attenzione verso un problema così sentito è stata confermata dal convegno che varie associazioni hanno voluto organizzare lunedì 4 ottobre a Cagliari nel salone conferenze della Fondazione di Sardegna. Relatori un giurista, il professor Gianni Loy, e un sacerdote, don Ettore Cannavera, da sempre impegnato su tanti temi che riguardano la tutela dei diritti dei cittadini.
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In apertura la coordinatrice dell’incontro, la giornalista Susi Rochi, ha chiesto all’assemblea un minuto di raccoglimento in memoria di Annalisa Cao Diaz, morta il giorno prima, protagonista per quasi mezzo secolo delle lotte per l’affermazione della pari dignità delle donne nel lavoro, nella politica, nella società.

Gianni Loy ha esordito con una considerazione amara: il Comitato Nazionale di Bioetica e il Parlamento si stanno limitando a raccogliere pareri: non hanno il coraggio di esprimere una posizione precisa su come predisporre una legge che consenta una buona morte al malato terminale che ne facesse richiesta. Così il Referendum, che pure sta dimostrando qual è la ferma volontà degli italiani sul tema, rischia di restare monco, senza un successivo intervento legislativo che legalizzi la materia. Bisognerebbe anche definire con precisione la differenza che c’è tra il suicidio e la richiesta d’aiuto alle strutture sanitarie per porre fine alle sofferenze dei malati terminali, anche alla luce della Costituzione che tutela il diritto alla vita, quindi la libertà dell’uomo e della donna di scegliere come gestirla.

Per spiegare la differenza tra suicidio e eutanasia, il professor Loy ha citato l’esempio di una donna spagnola che dopo anni di grandi sofferenze e non avendo avuto risposte alla richiesta di essere aiutata a morire, disperata decise di suicidarsi in una stanza d’albergo, ingerendo una forte dose di veleno. Ben diversa la condizione di chi, assistito dai familiari, dalle persone care, sa di essere accompagnato con affetto e solidarietà fino alla fine dei suoi giorni. La persona, in tutto il suo valore, fino all’ultimo giorno, in un contesto di solidarietà e sostegno da parte della comunità in cui è inserita. Questo è il concetto esatto di vita, non un’affermazione di pura astrazione che non tenga conto del vissuto di ognuno. E visto che l’ordinamento, già oggi, su altri problemi, consente l’obiezione di coscienza, dove nascerebbe il contrasto tra etica laica e religiosa? “Noi siamo e vogliamo continuare ad essere una società pluralista, nella quale bisogna avere dubbi più che certezze, non dimenticando mai di chiederci ‘Chi sono io per giudicare’?” ha concluso Gianni Loy.

Don Ettore Cannavera, partendo da due interviste con titoli quasi uguali, pubblicate prima dal Manifesto, poi da L’Unione sarda, ha riaffermato la sua convinzione nel volere una Chiesa dell’ascolto, non nell’ostinata ricerca delle contrapposizioni. Un continuo dialogo con le diversità, nel rispetto reciproco. Frutto, ha poi detto don Ettore, del percorso culturale ch’egli si porta dietro da tutta la vita, che lo ha spinto ad occuparsi di filosofia, psicologia, oltre che della dottrina della Chiesa. Per questo in una società pluralista bisogna imboccare strade che portino a soluzioni condivisibili. E’ per questo che anche le leggi dello Stato devono tutelare le diversità.

“Come non ricordare la richiesta che Giovanni Paolo II fece quando, morente, disse a chi stava al suo capezzale ‘Lasciatemi andare’. Stessa richiesta fatta, in sardo, da mio padre”. Perché, dunque, ha poi proseguito il sacerdote, combattere contro la morte? La nostra vita è fatta costantemente di relazioni e queste relazioni non possono essere abbandonate soprattutto quando dobbiamo affrontare il momento più difficile della nostra esistenza.

“Quindi, basta con i pregiudizi. Ho chiarito la mia posizione anche con il mio vescovo quando mi ha convocato. A differenza di altri momenti della mia vita ecclesiale, quando venni sospeso a divinis o ammonito per le mie posizioni sul preservativo e sul divorzio, questa volta mi pare che ci sia una qualche possibilità in più di dialogo”.

La forza dirompente dimostrata dalle adesioni al quesito referendario, servirà alle autorità istituzionali, dal Parlamento alle forze politiche, fino al Comitato Nazionale di Bioetica perché abbandonino prudenza e silenzi omertosi, per cominciare a gettare le basi per la legalizzazione della buona morte? O ancora una volta invece di schierarsi dalla parte dell’umanità si sceglierà la convenienza elettoralistica? Il convegno di Cagliari ha dimostrato che in nome dell’Uomo si possono trovare soluzioni. Bisognerà continuare a battere la stessa strada e possibilmente ampliarla perché si sia pronti, all’indomani dell’esito del Referendum, a discutere di una legge che guardi alle sofferenze umane non a pure astrazioni.

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