Difendiamo la Salute
Il Servizio sanitario nazionale è arrivato impreparato all’appuntamento con il COVID-19, penalizzato da anni di de-finanziamento, di tagli dei posti letto e del personale e da politiche che hanno inciso negativamente sulla tenuta dei servizi territoriali e di prevenzione. Ha mostrato le sue debolezze e fragilità. Rapidamente si è sviluppato un generale consenso politico sulla necessità di rafforzare il servizio sanitario nazionale. Ma passata la fase acuta della pandemia, la sanità è ben presto tornata a occupare la parte bassa della classifica delle priorità̀ del paese.
La conferma che non fosse in vista alcun rafforzamento del SSN è arrivata già lo scorso aprile quando il Governo ha reso note le previsioni di andamento della spesa sanitaria pubblica. Se dal 2017 al 2020 questa percentuale era rimasta ferma al 6,6% del PIL (tra le più̀ basse in Europa), impennandosi al 7,3% nel 2021 a causa delle spese COVID, la tendenza programmata negli anni successivi mira decisamente al ribasso: 6,7% nel 2022; 6,6% nel 2023 e addirittura 6,3% nel 2024.
Un pessimo segnale che indica il ritorno allo scenario che, a partire dal 2011, ha penalizzato il SSN, riducendo risorse umane e strutturali, tagliando l’offerta pubblica di servizi, provocando lo scandaloso allungamento delle liste d’attesa e favorendo l’espansione dell’offerta privata, trainata anche dalla diffusione di varie forme di assicurazioni integrative aziendali. La lezione della pandemia non è servita.
Diversi indizi stanno anzi a indicare che è sempre più attuale il disegno di privatizzare la sanità italiana, iniettandovi generose dosi di mercato.
Primo indizio: il personale del SSN al palo
Mentre si registra un grande attivismo per garantire ai soggetti privati l’accesso ai finanziamenti europei nessuna buona notizia arriva dal fronte del personale del SSN che nell’ultimo decennio ha subito una drastica riduzione. E non c’è alcun segnale di inversione di tendenza dati i limiti previsti nella spesa corrente e la mancata rimozione dei vincoli che limitano le assunzioni stabili. Infatti le assunzioni di medici e infermieri, effettuate in emergenza Covid, sono state tutte a tempo determinato. Ed è anche necessario un maggior impegno affinché le Università adeguino la loro offerta formativa alle esigenze della popolazione.
Nel frattempo continua la fuga all’estero del nostro personale sanitario. Nell’ultimo decennio sono 10mila i medici italiani migrati all’estero, che arrivano a rappresentare il 50% dei medici stranieri presenti in Europa. Questa è la priorità assoluta: formare ed assumere alcune migliaia di medici e infermieri nei servizi pubblici.
Secondo indizio: la lentezza nella ripresa dell’attività ordinaria
Durante la pandemia gran parte dei servizi sono stati ridotti o addirittura sospesi, con ricadute negative sulla salute delle persone. La ripresa delle attività ordinarie fatica ora a vedersi, e i pazienti si stanno abituando a evitare le strutture pubbliche, per lo più in ristrutturazione e riorganizzazione. Si ricorre quindi al privato che al contrario, avendo partecipato solo marginalmente alle attività emergenziali, non ha bisogno di grandi ricostruzioni. Il rischio è che i 500 milioni messi a disposizione per smaltire le liste di attesa siano destinati tutti al privato, anziché a rinforzare la ripresa delle attività nel SSN, indebolendo ulteriormente l’offerta pubblica e aumentando il potere di mercato di molti soggetti privati. Così come, i fondi del PNRR per l’assistenza domiciliare integrata rischiano di essere destinati a erogatori privati anziché a rafforzare la presa in carico globale e integrata da parte dei servizi pubblici.
Terzo indizio: concorrenza sleale
Nel marzo del 2021, l’Autorità̀ Garante della Concorrenza e del Mercato rivolgendosi al Presidente del Consiglio dei Ministri con la sua annuale Segnalazione di Proposte di riforma concorrenziale ha sollecitato: “… una maggiore apertura all’accesso delle strutture private all’esercizio di attività sanitarie non convenzionate grazie a … una più intensa integrazione fra pubblico e privato volta ad incentivare la libera scelta di medici, assistiti e terzo pagante”. Vi è anche l’invito a eliminare “… il vincolo della verifica del fabbisogno regionale di servizi sanitari, prevedendo che l’accesso dei privati all’esercizio di attività̀ sanitarie non convenzionate con il SSN sia svincolato dalla verifica del fabbisogno regionale di servizi sanitari”.
Ci auguriamo che il Governo respinga – come accaduto nel passato – una raccomandazione pericolosa che assimila gli ospedali alle imprese. Certamente si tratterebbe di concorrenza sleale il comportamento di un Governo che da una parte apre i rubinetti della concorrenza tra pubblico e privato e dall’altra lega le gambe al competitore pubblico.
Quarto indizio: il modello lombardo è OK
La lezione della pandemia avrebbe dovuto produrre profonde correzioni a un modello di sistema sanitario (dimostratosi fallimentare nella lotta al Covid) che aveva cancellato la rete dei servizi territoriali pubblici, affidando l’erogazione delle prestazioni domiciliari ad agenzie private, e instaurato in campo ospedaliero una concorrenza tra settore pubblico e settore privato, fortemente squilibrata a favore del secondo. Tale modello era il frutto di riforme avviate fin dal 1995 dalla presidenza Formigoni e proseguite con la riforma Maroni del 2015. Tale riforma aveva carattere sperimentale e soggetta, dopo 5 anni, alla valutazione da parte del Ministero della salute, che ha deciso di delegare tale funzione all’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Con una stringata lettera del 30 luglio scorso Agenas da il suo OK preventivo alla riforma, dopo che ne sono state annunciate minime, cosmetiche correzioni.
Alla vigilia della predisposizione della legge di bilancio 2022 e della annunciata legge sulla concorrenza, è indispensabile correggere questi indizi e la nostra Associazione presenterà un documento più dettagliato di analisi e proposte per intraprendere la strada giusta che permetta di rafforzare il sistema sanitario pubblico.
14 settembre 2021.
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Il documento presentato in conferenza stampa dall’associazione Salute Diritto fondamentale. Per maggiori informazioni potete utilizzare il sito: https://salutedirittofondamentale.it/.
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RIMBALZI
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Eros e Agape si fondono in Beatrice
da Il Sole 24 Ore – 12 settembre 2021 – Ripubblicato su Il Cortile dei Gentili.
di Gianfranco Ravasi.
Continuano le celebrazioni per l’anniversario dantesco, e in questo articolo il Cardinale Gianfranco Ravasi narra come nella donna di Dante avvenga il transito dal fascino erotico all’amore spirituale che la rende un simbolo della Chiesa.
Nella notte tra il 13 e il 14 settembre di settecento anni fa si spegneva a 56 anni e pochi mesi a Ravenna Dante Alighieri. Colui che aveva celebrato i massimi teologi del suo tempo come Tommaso d’Aquino, Bonaventura o Bernardo e che rivelava nei suoi versi una straordinaria attrezzatura filosofico-teologica, non poteva non stimolare anche i maggiori teologi del Novecento. Così Romano Guardini (1885-1968) componeva una serie di Studi su Dante che la Morcelliana traduceva già nel 1967. Curioso era il suo rimando autobiografico che coinvolgeva uno dei critici eminenti di allora, l’autore della celebre Mimesis: «Un giorno mi si parlò del libro di Erich Auerbach. Già il titolo era eccitante: Dante poeta del mondo terreno. Ma il suo contenuto fu ancora superiore all’aspettativa. Dante vi era designato come il poeta cristiano nel senso più profondo». E il famoso teologo tedesco lo spiegava sulla base del tema centrale cristologico dell’Incarnazione, prendendo spunto dal «laico» Auerbach.
Nel settimo centenario dantesco che stiamo celebrando la Jaca Book ha pensato di riportare sulla ribalta un altro gigante della teologia novecentesca, lo svizzero Hans Urs von Balthasar (1905-1988). Lo ha fatto stralciando dall’imponente cattedrale sistematica del suo capolavoro, i sette tomi di Gloria. Per un’estetica teologica (1961-69), un saggio intitolato Dante e la Divina Commedia, appartenente al terzo volume («Stili laicali») purtroppo con uno svarione nella quarta di copertina ove si assegna a san Bonaventura l’inno orante finale alla Vergine Madre che in realtà è intonato da san Bernardo. È, comunque, arduo riassumere il percorso proposto dal teologo di Lucerna e «il lungo studio e ’l grande amore» – per usare l’espressione che il poeta indirizzava a Virgilio (Inferno I, 83) – da lui dedicato non solo alla Commedia, ma anche al Convivio e alla Vita Nuova.
Egli identifica innanzitutto le «vie vergini» (che, con un’altra gaffe clamorosa dell’editore diventano «le mie vergini» nei titoletti del capitolo!) intraprese dal poeta con scelte originali. Infatti, «al centro dell’opera di Dante sta la sua personalità, in estrema antitesi a Tommaso d’Aquino dove la personalità è fatta intenzionalmente del tutto scomparire… È il primato dell’esistenza personale concreta sulla considerazione essenzialistica del mondo che era propria della Scolastica». Tra queste vie nuove aperte dal poeta, von Balthasar assegna un rilievo all’eros e all’agape che hanno in Beatrice il loro vessillo ma con una precisazione: in lei si compie il transito dal fascino erotico alla trasfigurazione dell’amore spirituale che la rende simbolo della Chiesa.
Non per nulla il saggio è suggellato dall’«eterno femminino», ove «la bellezza è forma espressiva del vero e del bene», la triade teologica suprema. Per questo, «l’intera Commedia è costruita organicamente, come sopra il suo perno, sull’incontro di Dante e di Beatrice in vetta al Purgatorio». E il teologo procede proprio da questo snodo ispiratore per ascendere al Paradiso: «Beatrice guarda Dio, Dante guarda Beatrice e verifica nel suo purissimo specchio il cenno di Dio». Giunto nelle nove sfere paradisiache con Beatrice, von Balthasar offre una suggestiva comparazione tra il cosmo classico-antico e quello cristiano, integrati da Dante in una unità che il teologo cerca di decifrare in pagine piuttosto complesse, mentre l’Inferno gli permette un altro parallelo di indole temporale, «tra epoche diverse».
[segue]
La sua conclusione rimane, comunque, quella da cui siamo partiti: «L’estrema parola del poema è nel rapporto fra Dante e Beatrice, fra Gabriele e Maria, fra amore terrestre e celeste, fra eros e agape all’interno dell’Eros che tutto abbraccia». Nel flusso incessante di pubblicazioni che hanno voluto dare sostanza culturale alla memoria del settimo centenario dantesco, raccogliamo solo un piccolo gioiello di esegesi critica a cui possiamo riservare soltanto un cenno finale. Lo scegliamo anche per un vezzo personale: intendiamo riferirci alla Lettera ai cardinali italiani che stavano per entrare in conclave nella primavera del 1314 a Carpentras per eleggere il successore del guascone Clemente V, già arcivescovo di Bordeaux, colui che aveva trasferito la sede papale ad Avignone. Uno dei nostri più raffinati medievisti, Gian Luca Potestà della Cattolica di Milano, ci offre uno studio esemplare di questo scritto dantesco che possediamo in unico testimone a mano del Boccaccio, custodito nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. L’analisi affascinante del testo dal dettato «acrobatico» e fin oscuro, con tonalità profetiche alla Geremia, ci permette di entrare anche nel contesto storico travagliato di quegli anni e di sentir fremere lo sdegno di Dante, desideroso di vedere calare il sipario sull’esilio avignonese, opera di quel papa francese che egli lapidariamente bolla come «un pastor senza legge» e scaraventa nell’Inferno (XIX, 82-83). Invitiamo gli appassionati del poeta a lasciarsi guidare da Potestà in un percorso che apre tutti gli scenari di quell’epoca convulsa, ne fa emergere ogni particolare, disegna vivaci ritratti dei cardinali a partire da Napoleone Orsini, e fa brillare l’anima ardente del laico cristiano Dante.
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