Cuba
Cuba, capire perché e dire basta all’embargo
15-07-2021 – di: Aldo Garzia su il manifesto, ripubblicato da Volerelaluna.
Cuba no al blocco
Tanto da far prevedere che potessero verificarsi gli episodi di rivolta puntualmente accaduti domenica scorsa in varie città. Le difficoltà alimentari e nei servizi di prima necessità erano giunte al livello di guardia. L’umana sopportazione non può essere cancellata con un colpo di spugna dalla politica. La vita è fatta di bisogni quotidiani essenziali, pure nel paese dove si produce l’unico vaccino anti-Covid in America latina. Da qui la spiegazione delle manifestazioni e delle proteste. Anzi, i cubani hanno dimostrato in passato il loro eroico spirito di sacrificio e di sopportazione: basti pensare agli anni novanta del periodo especial, quando L’Avana pagò un prezzo altissimo nella qualità della vita individuale e collettiva per la fine del «socialismo reale».
Quindi, il malessere della gente di Cuba – soprattutto dei giovani che ne costituiscono la maggioranza anagrafica – va guardato negli occhi, compreso per la verità che esprime. Le notizie sul primo morto a L’Avana in incidenti, quelle su molti arresti e atti di repressione che allarmano Amnesty international. non aiutano a dare risposta alla folla scesa in strada. Bisogna comprenderlo quel «perché». Non bisogna sottovalutarlo. E bisogna tenere aperto il dialogo con la grande massa della popolazione.
I problemi drammatici di Cuba li ha ammessi finanche il presidente Miguel Diaz-Canel nel suo intervento televisivo di lunedì sera, quando ha chiamato la popolazione a difendere la storia di Cuba. Diaz-Canel ha poi picchiato duro contro l’embargo statunitense in vigore dal 1962, accusando gli Stati Uniti di cogliere le difficoltà attuali dell’isola per fomentare e organizzare episodi di rivolta con l’obiettivo della destabilizzazione politica.
Chi segue le vicende cubane, sa che nelle parole del presidente cubano c’è molto di vero. Nell’era della presidenza di Donald Trump, le misure di blocco economico sono state in effetti esasperate intralciando ogni scambio economico internazionale con l’isola e perfino l’attività delle agenzie che fanno da tramite per le rimesse degli emigrati. Tra le misure introdotte, ce n’è una particolarmente odiosa: chiedere il visto per andare negli Stati Uniti in visita famigliare è diventata una sorta di via crucis (va richiesto di persona in un terzo paese con un investimento economico che non ne garantisce l’ottenimento).
Finora la nuova presidenza di Joe Biden non ha invertito la rotta. Cuba, per la Casa Bianca, resta pure nell’elenco dei paesi terroristici come stabilito da Trump. Le relazioni tra Washington e l’Avana sono, in questo 2021, perciò inesistenti. La visita di Barack Obama a Cuba del 2016 è un ricordo lontanissimo. In quell’occasione sembrò che le due sponde della Florida si fossero avvicinare per convivere in amicizia. L’orologio della storia ha invece ripreso a girare all’incontrario nel caso cubano. Tutto questo merita più informazione e condanna.
L’accanimento contro Cuba non può essere giustificato in nome della «democrazia». Sessant’anni di vicende controverse sono lì a dimostrarlo: l’embargo ha prodotto solo inasprimento di rapporti da una parte e giustificazioni per non cambiare dall’altra. Lo dice in queste ore a Washington il democratico Bernie Sanders, che ne chiede l’abolizione e raccomanda a Cuba di permettere libere manifestazioni di dissenso.
L’Avana in questi anni ha provato a cambiare con apertura all’economia mista e agli investimenti stranieri, superamento dell’ossificato modello d’importazione sovietica, un nuova e più moderna Costituzione, forme più partecipative socialmente, nuove relazioni internazionali con Unione europea e America latina, con una recente riforma economica che ha allargato i settori del lavoro privato e abolito l’uso di doppie monete all’interno, però Covid e non attenuazione della pressione statunitense si sono fatti sentire in modo acuto. Su questa marcia di cambiamento – forse lenta ed insufficiente, questa è la parte non detta del discorso di Diaz-Cane – ha sempre pesato il macigno dell’embargo americano. Quel blocco va eliminato. Non ce n’é mai stato un altro nella storia contemporanea così crudele e prolungato.
Difficile fare previsioni sull’immediato futuro. Cuba ha dimostrato di avere più delle classiche sette vite dei gatti. Mosca e Pechino hanno già messo l’altolà rispetto ad ingerenze da parte di Washington. L’Unione europea condanna la repressione, tuttavia può e deve operare mediazioni. Così il Vaticano. La maggioranza dei Paesi latinoamericani non chiede epiloghi violenti a L’Avana. All’interno dell’isola è intanto ricomparso il «pensionato» Raúl Castro nei vertici di governo per fare il punto della situazione: lui può essere garanzia di pragmatismo da vecchia guardia. Certamente, Cuba è a uno dei bivi della sua storia.
Pubblicato sul il manifesto del 15 luglio 2021.
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In questi giorni stiamo assistendo ad una delle peggiori messe in scena della mafia anticubana e del suo padre padrone, il governo degli Stati Uniti.
Facendo sfoggio della più cinica vigliaccheria cercano di destabilizzare Cuba, approfittando della sofferenza di un popolo stretto da 60 anni in un criminale blocco che ne impedisce il normale sviluppo e che ha raggiunto negli ultimi tempi, proprio durante la pandemia da Covid-19, le sue punte più asfissianti ed odiose. Cuba non può approvvigionarsi dei beni essenziali attraverso i normali canali commerciali: medicinali, alimenti, strumenti sanitari, ecc.
Ma nonostante questo Cuba mantiene alti i suoi livelli di attenzione sanitaria e di equa distribuzione delle risorse; raggiunge traguardi impensabili in molti paese, come lo sviluppo di propri vaccini per combattere la pandemia e garantire la protezione del proprio popolo e di tutti i popoli dei paesi poveri, con la garanzia dell’indipendenza dal monopolio delle Big Pharma. E questo è possibile solo grazie al suo sistema socialista, scelto dalla stragrande maggioranza della popolazione.
Mentre la crisi provocata dal Blocco criminale, genocida e illegale degli Stati Uniti mette duramente alla prova la sopportazione di tutto un popolo; nel mezzo del peggior momento, per Cuba, della crisi sanitaria dovuta dalla pandemia, ci sono criminali che inneggiano a “corridoi umanitari”. Conosciamo bene cosa sono e a cosa portano questi cosiddetti corridoi umanitari: interventi stranieri, anche e troppo spesso militari, destabilizzazione dell’ordine interno, sopraffazione dell’indipendenza e infine sofferenza per tutti, a partire dai più deboli.
Gridano “patria e vita” ma quello che cercano è una patria venduta e una vita da schiavi.
Noi non ci stiamo ed invitiamo tutti a non cadere nella trappola della confusione, a non cedere alle lusinghe “umanitarie” pagate a prezzo di libertà.
Invitiamo tutti i nostri Circoli, le compagne, i compagni, le amiche e gli amici di Cuba e tutte le organizzazioni politiche, sociali, sindacali a tenere alta la guardia e ad essere pronti alla massima mobilitazione, a difesa di Cuba della sua indipendenza e della sua libertà, che è anche la nostra.
GIU’ LE MANI DA CUBA!
PATRIA O MUERTE! VENCEREMOS!
ASSOCIAZIONE NAZIONALE DI AMICIZIA ITALIA-CUBA
Milano 13 luglio 2021
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Chiesa
Una grave crisi aleggia sulla Chiesa
Jesus – Luglio 2021
di Enzo Bianchi
Viviamo un’ora faticosa e di grave crisi nella Chiesa cattolica: in realtà già da alcuni decenni, ma era assolutamente proibito dirlo pubblicamente. Quasi tutti erano impegnati a sottolineare l’efficienza della presenza della Chiesa nella società e a ribadire il suo peso e le sue capacità d’intervento, quasi in risposta alla tentazione di una religione civile che sembrava così urgente e apportatrice di vita sociale positiva per il nostro Paese. Chi non voleva prendere parte a questo coro abituato a celebrare trionfi senza mai ipotizzare fallimenti neanche parziali fu autorevolmente richiamato e definito profeta di sventura. Ma oggi è un cardinale, l’arcivescovo di Monaco, già presidente delle Conferenze episcopali europee, membro del Consiglio che assiste il Papa nella riforma della Curia romana, a gridare che la Chiesa «è giunta a un punto morto!», e afferma che questa situazione gli ha cambiato la fede. Si badi bene: ha «cambiato la fede» di un vescovo di sessant’anni, inducendolo a dare le dimissioni.
Il tutto con la sottoscrizione «nell’obbedienza e nella pace», il motto di papa Giovanni
Viviamo in molti un profondo malessere che però solo in parte è dovuto agli scandali suscitati dalla pedofilia. Quest’ultimo è certamente un crimine grave e detestabile e la Chiesa tutta si è impegnata per cercare di comprendere in modo nuovo quest’abuso, di prevenirlo e impedirlo, fino alla condanna. Ma non va dimenticato che chi commette delitti di pedofilia è un malato: la pedofilia è inscritta nella patologia di una persona e di conseguenza la persona deve essere non solo condannata una volta commesso il delitto, ma anche aiutata, accompagnata e riaccolta perché è un essere umano peccatore/peccatrice al quale mai va negata la misericordia di Dio e della Chiesa. C’è tanto giustizialismo nell’aria cattolica, tanta tendenza a cedere alle dominanti dei mass media e a certo moralismo populista.
Non riesco a comprendere, piuttosto, come non turbino le coscienze le rivelazioni della pulizia etnica operata nelle scuole cattoliche in Canada fino al 1980, dove bambini strappati alle loro famiglie e rinchiusi in quei collegi-lager sono stati maltrattati, trascurati, fino a morire ed essere seppelliti nelle fosse comuni (si calcola almeno 6 mila ragazzi!). Delitti perpetrati da preti, frati, suore…
Qui non c’è patologia, c’è malignità, c’è un esercizio perverso del potere! Io mi chiedo: com’è stato possibile per dei cristiani che si dicono “consacrati” compiere simili crimini? E questi crimini non sono forse gravissimi? Dunque è uno scandalo, che suscita interrogativi sulla capacità di vivere il cristianesimo, su una Chiesa magari generosa nella missione, ardente in devozione, come in Canada, ma poi peggio che persecutrice! Dunque non si restringa la crisi della Chiesa alla piaga della pedofilia: c’è tutto un assetto di autorità, potere, ricchezza che deve essere giudicato dal Vangelo.
Come tentare di uscirne e giungere a una vera riforma? Sì, sappiamo che la riforma inizia da noi stessi, ma questo la Chiesa l’ha sempre predicato senza poi compiere dei passi per riformare l’istituzione. Il cardinale Marx lo sottolinea: le colpe non sono solo personali ma correlate all’istituzione!
In questa situazione anche nella Chiesa si porta la croce, che nelle parole di Gesù è strumento della propria esecuzione: la croce è situazione crudele e turpe, che mai noi dobbiamo addossare agli altri e della quale non dobbiamo parlare piamente a quelli che la stanno portando. Resta straordinario che anche Gesù fu aiutato a portare la croce non solo dal Padre, ma anche da un povero uomo, Simone di Cirene, che sul cammino del Calvario ha preso la croce sulle sue spalle. Scriveva il teologo Yves Congar: «Soffrire nella Chiesa è faticoso, ma soffrire a causa della Chiesa è terribile».
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E’ online!
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