OLTRE UN FUTURO RECISO: È L’ORA DI UN MONDO ABITABILE
OLTRE UN FUTURO RECISO: È L’ORA DI UN MONDO ABITABILE
Di seguito il documento elaborato dal Forum di Etica Civile, un testo di riflessione, proposta e speranza su questo tempo attraversato dalla pandemia, come contributo al cammino preparatorio della Settimana Sociale che si terrà a Taranto il prossimo ottobre.
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La pandemia ha messo in luce la fragilità di uno stile di vita che minaccia il futuro. Ad essa guarda con preoccupazione l’Instrumentum Laboris della prossima Settimana Sociale (Taranto 21-24 ottobre 2021), che riprende le intuizioni dell’Enciclica Laudato si’ di papa Francesco, per indicare prospettive su Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #Tutto è connesso. Desideriamo inserirci nel dibattito in vista di tale evento con un testo che nasce dalla riflessione condotta in questi mesi dal coordinamento di Etica Civile[1], dagli interrogativi sul futuro che in questo tempo ci siamo posti, dalla convinzione che le sfide della sostenibilità ambientale sono segni dei tempi, su cui le nuove generazioni interpellano e chiedono parole e pratiche credibili. Lo presentiamo come un contributo alla vita civile del Paese, per aprire percorsi di dialogo ai quali vorremmo invitare molti interlocutori.
Un tempo in cui il futuro sembra reciso: questo oggi viviamo. È la condizione di una polis – una realtà globale e nazionale – sempre più provata da una drammatica crisi socio-ambientale che questa lunga pandemia ha esacerbato. Crescono le diseguaglianze (territoriali, di genere, tra generazioni), mentre l’esercizio di tanti diritti diventa sempre più difficile, se non impossibile.
Ogni giorno ci domandiamo: quanti mesi ancora? quante morti? C’è una paura diffusa, che spezza la solidarietà e crea sfiducia, persino dinanzi ai vaccini: il tessuto sociale ed ecclesiale si frammenta ed interroga un’etica civile. Tale dinamica si dispiega in particolare lungo due direzioni:
la povertà di prospettive dei giovani e segnatamente delle giovani donne. Per molte e molti la domanda è:quando finalmente si potranno fare progetti, quando si potrà sensatamente pensare ad un domani per il lavoro, per gli affetti, per la vita? Una domanda quotidiana, che è anche un grido e una sfida per un’etica dei rapporti tra generazioni;
il grido altrettanto forte di chi soffre il degrado dell’ambiente, che ha nel mutamento climatico il segno più evidente: in che mondo potremo vivere nei prossimi decenni? È una domanda posta con forza crescente dalle giovani generazioni e che sfida ad approfondire un’etica della sostenibilità.
Interrogativi che si intrecciano, rischiando di accrescere il senso di impotenza e la rassegnazione: come guardare al domani? come ritrovare un mondo abitabile in cui si possa vivere, lavorare, amare? Persino l’azione civile sembra impotente di fronte a processi destrutturanti. Emerge una fragilità, personale, sociale e culturale, che svela l’inadeguatezza di tanti paradigmi con cui abbiamo interpretato e costruito il vissuto civile.
Eppure, a tale condizione, così precaria e povera di futuro, non intendiamo assuefarci; come Coordinamento di Etica Civile non ci rassegniamo alle passioni tristi che la abitano e la sostengono. Vorremmo coltivare invece parole resilienti, parole di speranza, come quelle che papa Francesco dona in Laudato si’ e in Fratelli Tutti, testimoniando che cambiare è necessario, ma anche possibile. In quel dialogo tra visioni ideali che anima lo spazio pubblico, la fede cristiana porta un sostegno a tale esigente cammino di responsabilità: guardare al Creatore è anche confidare in possibilità di un futuro buono, persino quando il presente sembra chiuso. Per questo ci sentiamo sfidati a cercare nuovi paradigmi, a trasformare le difficoltà del presente in opportunità nuove, a ricercare un’umanità che anche nella fragilità presente sappia costruire comunità portatrici di esperienze innovative per un mondo più abitabile.
Questa prospettiva ci chiama a ripensare il nostro tempo, a comprenderlo in modo differente, a riprogettare le forme della vita sociale, anche valorizzando le opportunità offerte da questa fase (Green Deal, Next Generation EU, Piano di Resilienza e Ripartenza …). Tale ripartenza esige al contempo di ridisegnare il rapporto con la terra, cogliendo la fitta rete di connessioni che ci lega ad essa, per orientare alla sostenibilità la transizione che desideriamo; i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite offrono riferimenti preziosi in tal senso.
A questo livello, però, non ci sono soluzioni semplici; gli slogan non bastano per misurarsi con la complessità interconnessa di questo tempo difficile. Vorremmo allora proporre alcune indicazioni, attorno a tre coppie di parole, tra loro strettamente collegate, in cui si raccolgono alcune prospettive determinanti per la vita associata. La prospettiva è quella di un’ecologia integrale, di un umanesimo ecologico della responsabilità e della cura. Attorno ad esse è possibile ripensare la vita civile recuperando ad essa anche la dimensione della comunità, che l’attenuarsi dei legami indotto dalla pandemia ha depotenziato.
Politica ed economia
Se le passioni tristi spingono a ripiegarsi sul proprio particolare, va rimessa invece al centro la bellezza di una politica da ricondurre al suo senso autentico, di azione condivisa per la cura del bene comune. Non, dunque, solo esercizio di potere o lotta per il consenso, ma forma pratica di sapere che legge le cose nelle loro relazioni, per operare nella complessità di una trama di connessioni; che sa cogliere nodi e possibili conflitti, per ricondurli a forme lungimiranti di convergenza. Per questo anche in questa fase sospesa, in cui ogni sforzo a breve deve andare alla tutela della salute, occorre pure coltivare la capacità di pensare su scala ampia, almeno europea, mantenendo lo sguardo sulle grandi sfide del futuro, come quelle che il mutamento climatico porta con sé. La politica deve farlo mantenendo al contempo un’attenzione concretissima ai territori, ai “nuovi fragili” che li abitano, a giovani e donne espropriati della speranza. Sarebbe un segnale importante un loro coinvolgimento nell’ampio dibattito che è necessario in vista della progettazione e della realizzazione del Piano di Resilienza e Ripartenza. La sfida è quella di una sapiente “governance glocale”, capace di interazione costruttiva con l’economia.
Perché questo tempo di pandemia ha anche evidenziato il fallimento di un modello economico neoliberista, così spesso generatore di diseguaglianza, centrato su una figura di homo oeconomicus interessato solo alla propria soddisfazione; è anche il fallimento di una forma di globalizzazione che devasta il capitale ambientale e quello sociale. Sempre più riscopriamo invece soggetti che testimoniano come l’agire economico non sia solo fatto privato, ma sia invece caratterizzato da una costitutiva rilevanza pubblica, da una responsabilità esigente nel rapporto tra scelte individuali e realtà comunitaria. Il valore dell’economia va ritrovato nella sua rilevanza per la vita pubblica, esplorando paradigmi attenti alla dimensione civile, territoriale, circolare e relazionale. Abbiamo bisogno di una realtà che generi benessere, opportunità di lavoro e vita buona per le persone, che contribuisca positivamente alla vita sociale e alla qualità ambientale. Sarebbe un segnale importante in tal senso l’eliminazione dei numerosi sussidi ambientalmente nocivi ancora presenti in legislazione.
Cultura ed educazione
È chiaro che i mondi della politica e dell’economia non sono chiusi in se stessi, ma si collocano sempre in uno spazio denso di fattori sociali, civili, comunitari e culturali. C’è bisogno di cultura perché essi possano collaborare positivamente alla vita civile.
La cultura non è accumulo di saperi, ma conoscenza capace di interpretare efficacemente il proprio tempo per trasformarlo; non è frammentazione di discipline separate, ma coltivazione unitaria dell’umano nella sua complessità articolata, nelle sue fragilità e nelle sue potenzialità, nelle sue interrelazioni con i sistemi naturali; non è sapere per pochi, ma realtà da diffondere e coltivare in tutta la sua ricchezza. Cultura è contrasto della diseguaglianza; è promozione della legalità, dei diritti, del bene comune; è cura dell’ambiente; è lotta alla discriminazione di genere.
Abbiamo bisogno, insomma, di “teste ben fatte” per disegnare una forte sfida educativa. L’educazione è un dovere impegnativo per una comunità civile e un diritto fondamentale per tutti ed in particolare per le giovani generazioni; in questo tempo di pandemia sono tali soggetti a pagare i prezzi più pesanti, che aggravano anche i divari tra i territori. Per questo occorre investire potentemente sull’ambito educativo, perché sempre meglio possa garantire una formazione orientata alla sostenibilità ed alla complessità. Sempre più i tradizionali saperi umanistici saranno chiamati ad interagire costruttivamente e criticamente con quelli tecnico-scientifici, della comunicazione, della socialità, per intrecciare competenze differenziate per società articolate.
Tecnologia e sostenibilità
Il tempo della pandemia ha messo in luce il grande valore dei saperi tecnico-scientifici, mostrando tutta la fragilità di certe diffidenze nei loro confronti. Scienza e tecnica hanno mostrato una volta di più di essere strumenti insostituibili dinanzi alle sfide di un tempo complesso: occorre sostenerle sul piano della ricerca come su quello della disseminazione. D’altra parte, la stessa tecnologia va a sua volta collocata entro una prospettiva ampia, orientata al futuro, culturalmente modulata secondo criteri di etica civile.
La tecnologia, in particolare, deve essere orientata alla sostenibilità, in tutta la sua complessità, che dice anche riferimento alla giustizia ed alle diseguaglianze, ai territori ed alla qualità ambientale, ad un rapporto con la natura tutto da ritrovare, ad una dimensione di globalità anche geografica. Troppo forte è oggi la disparità nell’accesso ai beni ambientali, così come nell’esposizione ai rischi determinati dal loro degrado, La tecnologia è essenziale per costruire una tale prospettiva, ma la sostenibilità esige anche una forte dimensione culturale: uno sguardo sapiente sulla realtà complessa della biodiversità e degli ecosistemi; una politica che sappia orientare lo sforzo comune all’abitabilità futura del pianeta che ci è dato. Sarebbe un segnale importante in tal senso una ripresa del dibattito sul consumo di suolo, che porti ad una incisiva regolazione normativa.
È ora
Molte volte abbiamo fatto risuonare la parola futuro: non tanto il lamento per un futuro reciso che avvilisce la vita, ma soprattutto la passione civile per un futuro ritrovato, riedificato, più sostenibile di quello che abbiamo inseguito finora. Per costruirlo, però, occorre lottare contro l’assuefazione a un presente degradato; occorre lavorare oggi coltivando prospettive per un buon domani, per un pianeta abitabile. La possibilità di ripartire comincia ora. Ora è l’opportunità di costruire una traiettoria diversa; ora è il tempo di cambiare rotta; ora è l’occasione per riorientarci ad un futuro vivibile.
Occorrono competenza, tecnica e cultura, occorrono una politica e un’economia del bene comune, occorre un senso della complessità sostenibile; occorre però anche, per sostenere tutto ciò, una passione civile, eticamente motivata da una forte speranza, per questo tempo e per il futuro che desideriamo.
[1] Hanno collaborato al percorso di stesura del testo Azione Cattolica Italiana, Aggiornamenti Sociali, Associazione Incontri, Centro Studi “Bruno Longo”, FOCSIV, Fondazione Lanza, FUCI, Istituto di Formazione Politica “Pedro Arrupe”, MEIC, Movimento Eucaristico Giovanile, Opera per la Gioventù “Giorgio La Pira”.
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