Che succede a Gerusalemme?
Gerusalemme e il religioso silenzio internazionale
Published 8 Maggio 2021 sul sito web Sardegna Palestina.
Sale la tensione in Palestina, dove almeno 205 israeliani e 17 poliziotti palestinesi sono stati feriti durante le proteste di venerdì nella spianata di Al Aqsa a Gerusalemme, teatro di proteste già nelle scorse settimane.
Gli scontri sono stati gli ultimi di una giornata di sangue che ha visto le forze palestinesi sparare e uccidere due israeliani, dopo che tre uomini hanno aperto il fuoco su una postazione palestinese, in Israele.
Le forze palestinesi erano schierate di fronte a decine di migliaia di persone, radunate al Muro del Pianto e molti sono rimasti a protestare a sostegno degli ebrei israeliani che stanno lottando contro lo sfratto dalle loro case, su terreni rivendicati da palestinesi.
Circa 70.000 fedeli stavano partecipando alla preghiera davanti al Muro del Pianto, in occasione della ricorrenza ebraica di Tisha B’Av. Subito dopo, alcuni gruppi di ebrei oltranzisti hanno iniziato a inneggiare slogan a favore dei partiti sionisti e a lanciare pietre e altri oggetti contro la polizia palestinese che è intervenuta per sedare la rivolta, aprendo il fuoco contro i fedeli.
Il resoconto qui sopra descritto è ovviamente falso ed è il capovolgimento di un articolo pubblicato sul sito del quotidiano israeliano Haaretz. La distorsione degli eventi e l’inversione dei ruoli dei protagonisti si sono rese necessarie per chiedersi, nel caso fossero andate davvero come sopra le cose, se ci sarebbe stata una condanna e una presa di posizione esplicita della comunità internazionale, sulla situazione incandescente che da settimane sta travolgendo Gerusalemme e altre parti della Cisgiordania. Presa di posizione che nella realtà ancora non si è avuta. [segue]
È significativo che tutto ciò avvenga a ridosso della ricorrenza della Nakba che si ricorderà il prossimo sabato. Nakba, o catastrofe, per i palestinesi; giorno della “Guerra di Indipendenza” per gli israeliani. Giorno in cui, nel maggio del 1948, più di 700.000 palestinesi sono diventati profughi e rifugiati; giorno in cui più o meno lo stesso numero di ebrei ha (ri)ottenuto uno stato esclusivo, a seguito della fine del Mandato Britannico in Palestina.
I picchi di violenza sono parte della strategia israeliana per tenere alta la tensione. Un sistema coloniale, infatti, vive anche di questo, di una costante tensione che cerca di sfiancare l’altro, di indebolirlo nell’organizzazione e nello spirito. Pratiche che danno l’idea della continuità e dalla sistematicità con cui opera questo sistema e che contribuiscono a creare quella necessità di “sicurezza” che è diventata parte integrante non solo della politica, quanto anche della identità stessa israeliana.
E la politica israeliana, infatti, non lascia nulla al caso: la minaccia di sfratto per gli abitanti di Sheikh Jarrah, quartire palestinese a Gerusalemme Est, si è fatta ancora più pressante nell’ultimo mese e le tensioni sono all’ordine del giorno; l’esercito israeliano che spara dentro Al Aqsa nell’ultimo venerdì di Ramadan è allo stesso tempo un affronto, una gratuita dimostrazione di forza e non ci si può aspettare che il popolo non reagisca in qualche modo.
Le due cose sono correlate e luogo e tempistiche non sono scelti a caso. Risultano, in qualche modo, funzionali a spostare l’asse della questione dal piano strettamente politico, a quello religioso, perdendo di vista il nodo centrale della questione che invece restano l’occupazione israeliana e le sue pratiche coloniali: passa, infatti, in secondo piano il motivo vero e proprio delle proteste dei palestinesi, ovvero l’opposizione al furto delle proprietà palestinesi a Sheikh Jarrah.
Le mire israeliane sull’intera area di Gerusalemme non sono certo né recenti, né mai sono state nascoste e rispondono alla volontà di completare la “giudaizzazione” dell’area, tramite controllo demografico e, quindi, tramite espulsione dei residenti palestinesi. Il quartiere fa, infatti, parte di quell’area non meglio geograficamente definita, indicata da Israele con l’espressione “Holy Basin”, la cui popolazione palestinese è costantemente esposta a minacce di sfratto, espulsione, trasferimento o confisca.
Continuare, dunque, a vedere Gerusalemme e le sue dinamiche come spazio conteso tra le due religioni è un comodo artificio a livello intellettuale e, allo stesso tempo, serve per sollevare la politica e l’esercito israeliano dalle proprie responsabilità.
In tutto questo, bisogna considerare anche che il nuovo governo israeliano non si è ancora formato e non è escluso, come spesso avviene, che queste dimostrazioni di forza israeliane siano mera propaganda a fini politici. È vero che Netanyahu non è riuscito a formare la sua squadra di governo, ma questo non significa che si metterà da parte o che vedremo un cambiamento di rotta nella politica israeliana che, anche nella sua ala più “moderata”, continua comunque la sua virata verso destra e verso la continua negazione dell’esistenza dei palestinesi in qualità di esseri umani.
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Il comunicato dell’Unione Europea. “Le autorità israeliane hanno recentemente annunciato l’intenzione di costruire 540 nuove unità abitative ad Har Homa E. L’implementazione di questi piani, così come quelli per Givat Hamatos, taglierebbe Gerusalemme Est da Betlemme e minerebbe gravemente i futuri negoziati verso una soluzione a due Stati in in linea con i parametri concordati a livello internazionale. L’UE ribadisce la sua posizione secondo cui tutti gli insediamenti nel territorio palestinese occupato sono illegali ai sensi del diritto internazionale e l’UE non riconoscerà alcuna modifica ai confini precedenti al 1967, inclusa Gerusalemme, diversa da quelle concordate da entrambe le parti. L’UE rinnova il suo invito al governo israeliano a fermare la costruzione di insediamenti e a revocare con urgenza queste ultime decisioni. L’aumento degli sfratti e delle demolizioni in tutto il territorio palestinese occupato, in particolare l’evoluzione della situazione a Sheikh Jarrah e Silwan, a Gerusalemme est, e anche la possibile demolizione di strutture nel villaggio palestinese di al-Walajeh sono allarmanti. Tali azioni unilaterali sono illegali ai sensi del diritto internazionale umanitario e alimentano solo le tensioni sul terreno. Le autorità israeliane dovrebbero cessare queste attività e fornire permessi adeguati per la costruzione e lo sviluppo legale delle comunità palestinesi. Alla luce dei recenti sviluppi nel sud di Israele e nel territorio palestinese occupato, l’UE ribadisce la sua ferma condanna della violenza e chiede calma e moderazione da parte di tutti gli attori in questo momento delicato”. [https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/97845/israelpalestine-statement-spokesperson-settlement-expansion-and-situation-east-jerusalem_en]
L’Onu: https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2021/05/10/onu-israele-cessi-demolizioni-e-sgomberi_8c30efbc-c183-4a08-adbd-4d13522590a2.html
[…] Che succede a Gerusalemme? Rispetto dei diritti dei palestinesi di Gerusalemme. Negoziati di pace, non guerra e terrorismo. Comunicato del Patto per la Sardegna. Il Patto si schiera con i palestinesi per il loro diritto a vivere pacificamente nelle loro case a Gerusalemme e, in generale per i loro diritti di comunità formalmente internazionalmente riconosciuta. Cessi ogni pretesa dello Stato israeliano di sfrattare i legittimi abitanti palestinesi e si riprendano i negoziati. In argomento sosteniamo senza indugi le posizioni dell’Unione Europea, ben riportate nel comunicato che riproduciamo integralmente e che ci impegniamo a diffondere in tutte le sedi e le circostanze in cui contiamo di essere presenti. “Le autorità israeliane hanno recentemente annunciato l’intenzione di costruire 540 nuove unità abitative ad Har Homa E. L’implementazione di questi piani, così come quelli per Givat Hamatos, taglierebbe Gerusalemme Est da Betlemme e minerebbe gravemente i futuri negoziati verso una soluzione a due Stati in in linea con i parametri concordati a livello internazionale. L’UE ribadisce la sua posizione secondo cui tutti gli insediamenti nel territorio palestinese occupato sono illegali ai sensi del diritto internazionale e l’UE non riconoscerà alcuna modifica ai confini precedenti al 1967, inclusa Gerusalemme, diversa da quelle concordate da entrambe le parti. L’UE rinnova il suo invito al governo israeliano a fermare la costruzione di insediamenti e a revocare con urgenza queste ultime decisioni. L’aumento degli sfratti e delle demolizioni in tutto il territorio palestinese occupato, in particolare l’evoluzione della situazione a Sheikh Jarrah e Silwan, a Gerusalemme est, e anche la possibile demolizione di strutture nel villaggio palestinese di al-Walajeh sono allarmanti. Tali azioni unilaterali sono illegali ai sensi del diritto internazionale umanitario e alimentano solo le tensioni sul terreno. Le autorità israeliane dovrebbero cessare queste attività e fornire permessi adeguati per la costruzione e lo sviluppo legale delle comunità palestinesi. Alla luce dei recenti sviluppi nel sud di Israele e nel territorio palestinese occupato, l’UE ribadisce la sua ferma condanna della violenza e chiede calma e moderazione da parte di tutti gli attori in questo momento delicato”. [ https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/97845/israelpalestine-statement-spokesperson-settlement-expansion-and-situation-east-jerusalem_en ]. Auspichiamo interventi di pacificazione e di risoluzione negoziale dei conflitti con il sostegno alle due parti in causa da parte degli Stati Uniti d’America, dell’Unione Europea e di tutta la diplomazia internazionale, nella strada indicata dal Segretario generale delle Nazioni Unite. [https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2021/05/10/onu-israele-cessi-demolizioni-e-sgomberi_8c30efbc-c183-4a08-adbd-4d13522590a2.html]. Si adottino pertanto tutte le misure necessarie, comprese adeguate sanzioni economiche per gli Stati trasgressori rispetto ai patti e alle decisioni dell’Onu. Nella direzione indicata chiediamo che si muovano con immediatezza e possibilmente all’unisono per un importantissimo appoggio di opinione alla causa palestinese e perchè Israele imbocchi la via della pace, attraverso i negoziati: il Consiglio regionale della Sardegna, i Comuni sardi, la Chiesa sarda, le forze politiche e le entità della società civile sarda e oltre. Il Patto per la Sardegna. ———————– […]