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biden-medici I CENTO GIORNI DI JOE BIDEN
di Marino de Medici
A cento giorni dal suo insediamento, il presidente Biden gode di un blando quoziente di approvazione – il 52 per cento – ma di un miglior responso in fatto di misure di soccorso economico (65 per cento) e di controllo della pandemia (64 per cento). Dove l’azione di Biden non convince è nel rinnovo delle infrastrutture ed in misura più marcata nella politica immigratoria (37 per cento).
Un rilevamento però preoccupa, quello che giudica Biden “troppo liberale”, pari al 40 per cento, più alto di quello attribuito ai suoi predecessori Obama e Clinton. Ma c’è un altro sondaggio che porta acqua al molino di Joe Biden, l’aumento della percentuale (al 45 per cento) di americani che favoriscono un più ampio ruolo del governo federale e più servizi offerti dallo stesso, in linea con la politica di Biden imperniata su misure volte a sollevare un gran numero di americani da pesanti ristrettezze socio-economiche.

[segue]
L’elezione di Biden ha in pratica rivoluzionato l’impostazione generale della politica governativa ma altrettanto importante è l’atteggiamento di una crescente massa di americani. Basti ricordare che nel 1995 il presidente appena eletto, Bill Clinton, aveva dichiarato: “L’era del ‘big government’ è finita”, con ciò intendendo che il governo aveva messo il naso in campi dove era preferibile lasciare l’iniziativa agli individui e ai grandi attori commerciali. Oggi, siamo giunti ad una svolta in cui gli americani non sono preoccupati dai deficit di bilancio e dall’inflazione ma favoriscono una robusta spesa federale per rinnovamenti urbani, la ricerca accademica e lo stimolo per imprese pubbliche e private ma in modo speciale per una politica assistenziale destinata
a beneficiare l’infanzia. Il settore di pubblica opinione che sollecita un governo più attivista e portato ad elargire più servizi è già passato dal 58 per cento al 70.
Joe Biden ha fatto una scommessa, che gli americani favoriscono soluzioni ai problemi del lungo termine, dalla diseguaglianza dei salari alla giustizia razziale. Vero è che gli stessi americani difettano della coesione sociale e della rete di sicurezza di cui dispongono gli europei, soprattutto nel campo della sanità pubblica. Per contro, è lontano il tempo in cui in America dominavano indirizzi politici ed economici favorevoli alla “deregulation” finanziaria e alla limitazione dei benefici assistenziali.

Il marchio legislativo dell’amministrazione Biden si identifica con il pacchetto anti-Covid di 1,9 trilioni approvato dal Congresso con una scaltra procedura che ha permesso di evadere la spietata resistenza dei repubblicani al senato. Ed ora Biden si gioca tutto con un altro programma di ardito attivismo, quello delle infrastrutture, che verrebbe finanziato da un massiccio stanziamento di 2,3 trilioni di dollari. Come già accennato, è una partita molto più difficile, stante la feroce opposizione dei repubblicani, che accusano Biden di aver introdotto un cavallo di Troia che occulta le priorità del partito democratico approfittando della critica congiuntura della pandemia. Ed ancora, la battaglia di Biden per ampliare il campo di azione dell’amministrazione democratica deve superare l’ostacolo che si profila alla decisione del presidente di elevare il livello tributario della classe più affluente.

Infine, i democratici non possono sottovalutare il rischio che corrono nelle elezioni congressuali del 2022. Tradizionalmente, il partito al governo soffre un’emorragia di voti nelle elezioni di midterm, come possono attestare Obama e prima di lui Clinton. Per Biden, è essenziale che la legislazione assistenziale e di rinnovo delle infrastrutture venga approvata al più presto, prima che la campagna elettorale del 2022 travolga la politica attivista dell’amministrazione democratica. Per il momento, Joe Biden gode di vantaggi non indifferenti. Primo, ha un solido controllo sul suo partito. Secondo, sfugge ad ogni tentativo repubblicano di screditarlo agli occhi dell’opinione pubblica non trumpista, avendo scelto di agire come un presidente centrista, una qualifica insomma che lo protegge dalle accuse di radicalismo.
Resta comunque un imperativo per Joe: quello di far presto per condurre a buon fine un programma quanto mai ambizioso che pochi si aspettavano da lui.
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Immagine in testa tratta dal servizio televisivo pubblico, con rielaborazione a cura della redazione.

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