Riflessioni su volontariato e terzo settore

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Ridefinire il volontariato per promuovere risposte
Per un necessario cambiamento del Terzo settore

di Luca Gori, su Labsus.
labsus
In un suo editoriale del 2017, Gregorio Arena scriveva che «le parole del legislatore pesano, per cui ne basta una per cambiare completamente la prospettiva». Si può dire che il volume che Emanuele Rossi ed il sottoscritto hanno curato, Ridefinire il volontariato (Pisa University Press, 2021) – e di cui Labsus ha gentilmente chiesto una auto-recensione –, ha inteso prendere sul serio quell’avvertimento: le parole del legislatore “pesano”. In effetti, se si legge con attenzione l’art. 17, comma 2 del Codice del Terzo settore si percepisce come la necessaria “sinteticità” che è richiesta alla legge svolga una duplice funzione: bilancio della disciplina normativa del volontariato italiano e, allo stesso tempo, apertura verso il futuro.
Bilancio perché la storia normativa del volontariato italiano nasce ancora prima della legge n. 266 del 1991 (Legge quadro sul volontariato) e si snoda attraverso diverse leggi statali e regionali, non sempre fra loro coordinate, e interpretate dai giudici. Ciascuna di quelle leggi ed interpretazioni ha progressivamente adattato, riletto, adeguato. Ha sagomato – per riprendere una immagine di Paolo Grossi – il vestito del diritto sopra il corpo sociale, per come esso si è via via organizzato.
Ma vi è anche una significativa apertura verso il futuro, perché il legislatore ha preso atto del polimorfismo del volontariato, che trascende i singoli enti e le singole attività. E ciò è avvenuto, principalmente, attraverso un semplice “anche”: sia nel Terzo settore, sia fuori di esso, sia in modalità del tutto informali. Si prende atto – attraverso l’utilizzo di “anche” – che ad oggi la capacità immaginativa del legislatore si arresta ad un dato storico – il Terzo settore – ma che non si possa escludere, domani, un volontariato del tutto nuovo.
La valutazione complessiva dell’art. 17, c. 2 è positiva. Certamente, si tratta di una disposizione che non si può isolare rispetto al Codice del Terzo settore, ma è estremamente significativo che – finalmente – vi sia una definizione chiara e comprensiva, che si proietta in tutto l’ordinamento giuridico.

Due scenari per il volontariato
Nel libro si è provato a “spezzare” il comma 2 in singoli sintagmi. A ciascun autore si è chiesto di offrire una propria lettura di una singola espressione. Si tratta di una operazione che non ha solo un significato di tipo giuridico – offrire una interpretazione di una disposizione di diritto vigente – bensì pure di lanciare un segnale di tipo culturale. Infatti, la disposizione rappresenta, oltre che una norma propriamente giuridica, una sorta di manifesto culturale. Dalla lettura del libro, emergono, fra i tanti, due “scenari” da valutare.
Il primo. Il volontario «[…] svolge attività in favore della comunità e del bene comune». La norma non indica quale sia la comunità di riferimento (il quartiere, la città, la Regione, ecc.) né indica quale sia il bene comune cui si riferisce. Spetta al volontario individuare quale sia la comunità con la quale voglia entrare in relazione e quale sia l’idea di bene comune che intende sostenere, ed aggregare altre persone, risorse, beni immateriali. La disposizione, quindi, ci parla di un volontario che non è il mero esecutore della volontà degli enti pubblici, ma di un volontario che è chiamato a farsi naturalmente costruttore, sapendo che la propria attività avrà un impatto politico (e non si deve avere paura di dirlo) e modificherà i rapporti all’interno del contesto di riferimento. Anche le micro-azioni di cura dei beni comuni sono espressione di appartenenza alla comunità, di rivendicazione della propria libertà di scegliere e di impegnarsi e di assunzione di una responsabilità.
Al contrario, spesso è diffusa una idea di volontariato come intervento a basso costo, in sostituzione di quello pubblico e con intenti dirigisti da parte della pubblica amministrazione. L’art. 17, c. 2 ricorda che la prospettiva è tutt’altra. Il sintagma «attività in favore della comunità e del bene comune» potrebbe essere così riletto: ciascun volontario è in condizione di esercitare la propria autonoma iniziativa di cittadino individuando, in condizione di libertà, i fini ed i mezzi della propria azione orientata a migliorare le condizioni di vita della comunità ove vive, anche indipendentemente dal potere pubblico, responsabilmente, ovverosia potendo argomentare a quale comunità egli si riferisca ed a quale idea di bene comune si ispiri. Una missione impegnativa, insomma.
Il secondo. Il volontario opera «[…] per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione». Non è detto semplicemente “per realizzare risposte ai bisogni”, ma più ampiamente di “promuovere risposte“. “Promuovere” significa creare le condizioni affinché i bisogni possano trovare risposta e, ancora prima, affinché i bisogni escano da uno stato di latenza e assumano una loro concreta evidenza. Talvolta è richiesto al volontario di attivarsi anche solamente per indicare ai pubblici poteri situazioni e luoghi sui quali intervenire o invocare la tutela di diritti (la c.d. funzione di advocacy). Ciò non esclude che “promuovere” significhi pure prendersi cura direttamente delle situazioni, concretamente e operativamente. Non si deve dimenticare però che la gamma di azioni che il volontario può essere chiamato a mettere in campo è, quindi, assai ampia.

Un cambiamento necessario
Ma soprattutto il richiamo alle “risposte” indica l’idea di un cambiamento necessario: l’azione del volontario determina alterazioni della realtà di fatto, non accettazione di una condizione attuale. Emanuele Rossi, nella conclusione del libro, ricorda che ha molto colpito ed ha generato dibattito il messaggio, a tratti provocatorio, di Papa Francesco in occasione dell’evento “The Economy of Francesco – i giovani, un patto, il futuro” (21 novembre 2020). Il Papa ha ammonito che, per garantire beni e servizi essenziali alle persone, «non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel Terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare. Infatti, non si tratta solo o esclusivamente di sovvenire alle necessità più essenziali dei nostri fratelli. Occorre accettare strutturalmente che i poveri hanno la dignità sufficiente per sedersi ai nostri incontri, partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case».
È stato un richiamo forte, quasi ruvido, ma che ha rimesso al centro il tema di quel “promuovere risposte” in maniera integrale: non già il «porre rimedio ai guai fatti dagli altri» (come affermava Maria Eletta Martini), bensì l’andare in profondità, con acume, alle radici dei problemi, attraverso formazione e non tramite improvvisazione. Quando la legge dice “promuovere risposte” si potrebbe dire, più ampiamente, come creare le condizioni affinché quei bisogni siano rilevati e soddisfatti poiché, per la propria competenza, potere pubblico e Terzo settore si adoperano affinché le determinanti di quei bisogni siano individuate e risolte nonché gli effetti, comunque, mitigati.

Le voci
Le “voci” che si alternano del libro appartengono a diversi ambiti disciplinari ed esperienze: giuristi, sociologici, economisti, dirigenti di grandi enti, ricercatori sociali. Hanno infatti contribuito, oltre ai curatori, Pasqualino Albi, Maurizio Ambrosini, Gregorio Arena, Carlo Borzaga, Antonio Cecconi, Andrea Salvini, Jacopo Sforzi, Vincenzo Tondi Della Mura. I contributi sono brevi, di agile lettura, con una indicazione di una bibliografia essenziale.
L’intenzione è stata di indicare sentieri possibili da percorrere, per approfondire e riflettere, a partire da un singolo comma costituito da meno di 400 caratteri che, da solo, indica un essere ed un dover essere della persona-volontario. Il rischio, infatti, è schiacciare l’analisi esclusivamente sul dato normativo e sulla sua portata prescrittiva, che è indubitabile: dagli adempimenti di registrazione, alle incompatibilità, ai divieti di retribuzione, alle assicurazioni ecc., queste sono le preoccupazioni che affliggono il Terzo settore e la pubblica amministrazione oggi. Si tratta di aspetti indubbiamente importanti, ma occorre tenere presente che non sono altro che il riflesso, sul piano giuridico, di alcuni orientamenti valoriali di fondo e, in particolare, di quella naturale vocazione sociale dell’uomo, inscritta nella storia profonda del nostro Paese e cardine della Costituzione repubblicana.
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Dispositivo dell’art. 17 Codice del terzo settore
Fonti → Codice del terzo settore → Titolo III – Del volontario e dell’attività di volontariato

1. Gli enti del Terzo settore possono avvalersi di volontari nello svolgimento delle proprie attività e sono tenuti a iscrivere in un apposito registro i volontari che svolgono la loro attività in modo non occasionale.

2. Il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà.

3. L’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere rimborsate dall’ente del Terzo settore tramite il quale svolge l’attività soltanto le spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata, entro limiti massimi e alle condizioni preventivamente stabilite dall’ente medesimo. Sono in ogni caso vietati rimborsi spese di tipo forfetario.

4. Ai fini di cui al comma 3, le spese sostenute dal volontario possono essere rimborsate anche a fronte di una autocertificazione resa ai sensi dell’articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, purché non superino l’importo di 10 euro giornalieri e 150 euro mensili e l’organo sociale competente deliberi sulle tipologie di spese e le attività di volontariato per le quali è ammessa questa modalità di rimborso. La disposizione di cui al presente comma non si applica alle attività di volontariato aventi ad oggetto la donazione di sangue e di organi.

5. La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano agli operatori che prestano attività di soccorso per le organizzazioni di cui all’articolo 76 della legge provinciale 5 marzo 2001, n. 7, della Provincia autonoma di Bolzano e di cui all’articolo 55-bis della legge provinciale 19 luglio 1990, n. 23, della Provincia autonoma di Trento.

6. Ai fini del presente Codice non si considera volontario l’associato che occasionalmente coadiuvi gli organi sociali nello svolgimento delle loro funzioni.

6-bis. I lavoratori subordinati che intendano svolgere attività di volontariato in un ente del Terzo settore hanno diritto di usufruire delle forme di flessibilità di orario di lavoro o delle turnazioni previste dai contratti o dagli accordi collettivi, compatibilmente con l’organizzazione aziendale.

7. Le disposizioni di cui al presente titolo non si applicano agli operatori volontari del servizio civile universale, al personale impiegato all’estero a titolo volontario nelle attività di cooperazione internazionale allo sviluppo, nonché agli operatori che prestano le attività di cui alla legge 21 marzo 2001, n. 74.

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Pubblichiamo di seguito il testo del Videomessaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato, a conclusione dei lavori, ai partecipanti all’Incontro internazionale “Economy of Francesco – Papa Francesco e i giovani da tutto il mondo per l’economia di domani”, in corso ad Assisi – in diretta streaming – dal 19 al 21 novembre 2020:

Videomessaggio del Santo Padre

Cari giovani, buon pomeriggio!

Grazie per essere lì, per tutto il lavoro che avete fatto, per l’impegno di questi mesi, malgrado i cambi di programma. Non vi siete scoraggiati, anzi, ho conosciuto il livello di riflessione, la qualità, la serietà e la responsabilità con cui avete lavorato: non avete tralasciato nulla di ciò che vi dà gioia, vi preoccupa, vi indigna e vi spinge a cambiare.

L’idea originaria era di incontrarci ad Assisi per ispirarci sulle orme di San Francesco. Dal Crocifisso di San Damiano e da altri volti – come quello del lebbroso – il Signore gli è andato incontro, lo ha chiamato e gli ha affidato una missione; lo ha spogliato degli idoli che lo isolavano, delle perplessità che lo paralizzavano e lo chiudevano nella solita debolezza del “si è sempre fatto così” – questa è una debolezza! – o della tristezza dolciastra e insoddisfatta di quelli che vivono solo per sé stessi e gli ha regalato la capacità di intonare un canto di lode, espressione di gioia, libertà e dono di sé. Perciò, questo incontro virtuale ad Assisi per me non è un punto di arrivo ma la spinta iniziale di un processo che siamo invitati a vivere come vocazione, come cultura e come patto.

La vocazione di Assisi

“Francesco va’, ripara la mia casa che, come vedi, è in rovina”. Queste furono le parole che smossero il giovane Francesco e che diventano un appello speciale per ognuno di noi. Quando vi sentite chiamati, coinvolti e protagonisti della “normalità” da costruire, voi sapete dire “sì”, e questo dà speranza. So che avete accettato immediatamente questa convocazione, perché siete in grado di vedere, analizzare e sperimentare che non possiamo andare avanti in questo modo: lo ha mostrato chiaramente il livello di adesione, di iscrizione e di partecipazione a questo patto, che è andato oltre le capacità. Voi manifestate una sensibilità e una preoccupazione speciali per identificare le questioni cruciali che ci interpellano. L’avete fatto da una prospettiva particolare: l’economia, che è il vostro ambito di ricerca, di studio e di lavoro. Sapete che urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che «l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista»[1] e colpisce nostra sorella terra, tanto gravemente maltrattata e spogliata, e insieme i più poveri e gli esclusi. Vanno insieme: tu spogli la terra e ci sono tanti poveri esclusi. Essi sono i primi danneggiati… e anche i primi dimenticati.

Attenzione però a non lasciarsi convincere che questo sia solo un ricorrente luogo comune. Voi siete molto più di un “rumore” superficiale e passeggero che si può addormentare e narcotizzare con il tempo. Se non vogliamo che questo succeda, siete chiamati a incidere concretamente nelle vostre città e università, nel lavoro e nel sindacato, nelle imprese e nei movimenti, negli uffici pubblici e privati con intelligenza, impegno e convinzione, per arrivare al nucleo e al cuore dove si elaborano e si decidono i temi e i paradigmi.[2] Tutto ciò mi ha spinto a invitarvi a realizzare questo patto. La gravità della situazione attuale, che la pandemia del Covid ha fatto risaltare ancora di più, esige una responsabile presa di coscienza di tutti gli attori sociali, di tutti noi, tra i quali voi avete un ruolo primario: le conseguenze delle nostre azioni e decisioni vi toccheranno in prima persona, pertanto non potete rimanere fuori dai luoghi in cui si genera, non dico il vostro futuro, ma il vostro presente. Voi non potete restare fuori da dove si genera il presente e il futuro. O siete coinvolti o la storia vi passerà sopra.

Una nuova cultura

Abbiamo bisogno di un cambiamento, vogliamo un cambiamento, cerchiamo un cambiamento.[3] Il problema nasce quando ci accorgiamo che, per molte delle difficoltà che ci assillano, non possediamo risposte adeguate e inclusive; anzi, risentiamo di una frammentazione nelle analisi e nelle diagnosi che finisce per bloccare ogni possibile soluzione. In fondo, ci manca la cultura necessaria per consentire e stimolare l’apertura di visioni diverse, improntate a un tipo di pensiero, di politica, di programmi educativi, e anche di spiritualità che non si lasci rinchiudere da un’unica logica dominante.[4] Se è urgente trovare risposte, è indispensabile far crescere e sostenere gruppi dirigenti capaci di elaborare cultura, avviare processi – non dimenticatevi questa parola: avviare processi – tracciare percorsi, allargare orizzonti, creare appartenenze… Ogni sforzo per amministrare, curare e migliorare la nostra casa comune, se vuole essere significativo, richiede di cambiare «gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società».[5] Senza fare questo, non farete nulla.

Abbiamo bisogno di gruppi dirigenti comunitari e istituzionali che possano farsi carico dei problemi senza restare prigionieri di essi e delle proprie insoddisfazioni, e così sfidare la sottomissione – spesso inconsapevole – a certe logiche (ideologiche) che finiscono per giustificare e paralizzare ogni azione di fronte alle ingiustizie. Ricordiamo, ad esempio, come bene osservò Benedetto XVI, che la fame «non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale».[6] Se voi sarete capaci di risolvere questo, avrete la via aperta per il futuro. Ripeto il pensiero di Papa Benedetto: la fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale.

La crisi sociale ed economica, che molti patiscono nella propria carne e che sta ipotecando il presente e il futuro nell’abbandono e nell’esclusione di tanti bambini e adolescenti e di intere famiglie, non tollera che privilegiamo gli interessi settoriali a scapito del bene comune. Dobbiamo ritornare un po’ alla mistica [allo spirito] del bene comune. In questo senso, permettetemi di rilevare un esercizio che avete sperimentato come metodologia per una sana e rivoluzionaria risoluzione dei conflitti. Durante questi mesi avete condiviso varie riflessioni e importanti quadri teorici. Siete stati capaci di incontrarvi su 12 tematiche (i “villaggi”, voi li avete chiamati): 12 tematiche per dibattere, discutere e individuare vie praticabili. Avete vissuto la tanto necessaria cultura dell’incontro, che è l’opposto della cultura dello scarto, che è alla moda. E questa cultura dell’incontro permette a molte voci di stare intorno a uno stesso tavolo per dialogare, pensare, discutere e creare, secondo una prospettiva poliedrica, le diverse dimensioni e risposte ai problemi globali che riguardano i nostri popoli e le nostre democrazie.[7] Com’è difficile progredire verso soluzioni reali quando si è screditato, calunniato e decontestualizzato l’interlocutore che non la pensa come noi! Questo screditare, calunniare o decontestualizzare l’interlocutore che non la pensa come noi è un modo di difendersi codardamente dalle decisioni che io dovrei assumere per risolvere tanti problemi. Non dimentichiamo mai che «il tutto è più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma»[8], e che «la mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità».[9]

Questo esercizio di incontrarsi al di là di tutte le legittime differenze è il passo fondamentale per qualsiasi trasformazione che aiuti a dar vita a una nuova mentalità culturale e, quindi, economica, politica e sociale; perché non sarà possibile impegnarsi in grandi cose solo secondo una prospettiva teorica o individuale senza uno spirito che vi animi, senza alcune motivazioni interiori che diano senso, senza un’appartenenza e un radicamento che diano respiro all’azione personale e comunitaria.[10]

Così il futuro sarà un tempo speciale, in cui ci sentiamo chiamati a riconoscere l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta. Un tempo che ci ricorda che non siamo condannati a modelli economici che concentrino il loro interesse immediato sui profitti come unità di misura e sulla ricerca di politiche pubbliche simili che ignorano il proprio costo umano, sociale e ambientale.[11] Come se potessimo contare su una disponibilità assoluta, illimitata o neutra delle risorse. No, non siamo costretti a continuare ad ammettere e tollerare in silenzio nei nostri comportamenti «che alcuni si sentano più umani di altri, come se fossero nati con maggiori diritti»[12] o privilegi per il godimento garantito di determinati beni o servizi essenziali.[13] Non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare. Infatti, non si tratta solo o esclusivamente di sovvenire alle necessità più essenziali dei nostri fratelli. Occorre accettare strutturalmente che i poveri hanno la dignità sufficiente per sedersi ai nostri incontri, partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case. E questo è molto più che assistenzialismo: stiamo parlando di una conversione e trasformazione delle nostre priorità e del posto dell’altro nelle nostre politiche e nell’ordine sociale. [segue]

In pieno secolo XXI, «non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori».[14] State attenti a questo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. È la cultura dello scarto, che non solamente scarta, bensì obbliga a vivere nel proprio scarto, resi invisibili al di là del muro dell’indifferenza e del confort.

Io ricordo la prima volta che ho visto un quartiere chiuso: non sapevo che esistessero. È stato nel 1970. Sono dovuto andare a visitare dei noviziati della Compagnia, e sono arrivato in un Paese, e poi, andando per la città, mi hanno detto: “No, da quella parte non si può andare, perché quello è un quartiere chiuso”. Dentro c’erano dei muri, e dentro c’erano le case, le strade, ma chiuso: cioè un quartiere che viveva nell’indifferenza. A me colpì tanto vedere questo. Ma poi questo è cresciuto, cresciuto, cresciuto…, ed era dappertutto. Ma io ti domando: il tuo cuore è come un quartiere chiuso?

Il patto di Assisi

Non possiamo permetterci di continuare a rimandare alcune questioni. Questo enorme e improrogabile compito richiede un impegno generoso nell’ambito culturale, nella formazione accademica e nella ricerca scientifica, senza perdersi in mode intellettuali o pose ideologiche – che sono isole –, che ci isolino dalla vita e dalla sofferenza concreta della gente.[15] È tempo, cari giovani economisti, imprenditori, lavoratori e dirigenti d’azienda, è tempo di osare il rischio di favorire e stimolare modelli di sviluppo, di progresso e di sostenibilità in cui le persone, e specialmente gli esclusi (e tra questi anche sorella terra), cessino di essere – nel migliore dei casi – una presenza meramente nominale, tecnica o funzionale per diventare protagonisti della loro vita come dell’intero tessuto sociale.

Questo non sia una cosa nominale: esistono i poveri, gli esclusi… No, no, che quella presenza non sia nominale, non sia tecnica, non funzionale. È tempo che diventino protagonisti della loro vita come dell’intero tessuto sociale. Non pensiamo per loro, pensiamo con loro. Ricordatevi l’eredità dell’illuminismo, delle élites illuminate. Tutto per il popolo, niente con il popolo. E questo non va. Non pensiamo per loro, pensiamo con loro. E da loro impariamo a far avanzare modelli economici che andranno a vantaggio di tutti, perché l’impostazione strutturale e decisionale sarà determinata dallo sviluppo umano integrale, così ben elaborato dalla dottrina sociale della Chiesa. La politica e l’economia non devono «sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana».[16] Senza questa centralità e questo orientamento rimarremo prigionieri di una circolarità alienante che perpetuerà soltanto dinamiche di degrado, esclusione, violenza e polarizzazione: «Ogni programma, elaborato per aumentare la produzione, non ha in definitiva altra ragion d’essere che il servizio della persona. La sua funzione è di ridurre le disuguaglianze, combattere le discriminazioni, liberare l’uomo dalle sue servitù. […] Non basta accrescere la ricchezza comune perché sia equamente ripartita – no, non basta questo –, non basta promuovere la tecnica perché la terra diventi più umana da abitare»[17]. Neppure questo basta.

La prospettiva dello sviluppo umano integrale è una buona notizia da profetizzare e da attuare – e questi non sono sogni: questa è la strada – , una buona notizia da profetizzare e da attuare, perché ci propone di ritrovarci come umanità sulla base del meglio di noi stessi: il sogno di Dio che impariamo a farci carico del fratello, e del fratello più vulnerabile (cfr Gen 4,9). «La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente – la misura dell’umanità –. Questo vale per il singolo come per la società»;[18] misura che deve incarnarsi anche nelle nostre decisioni e nei modelli economici.

Come fa bene lasciar risuonare le parole di San Paolo VI, quando, nel desiderio che il messaggio evangelico permeasse e guidasse tutte le realtà umane, scriveva: «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. […] – ogni uomo e tutto l’uomo! –. Noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera».[19]

In questo senso, molti di voi avranno la possibilità di agire e di incidere su decisioni macroeconomiche, dove si gioca il destino di molte nazioni. Anche questi scenari hanno bisogno di persone preparate, «prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16), capaci di «vigilare in ordine allo sviluppo sostenibile dei Paesi e per evitare l’asfissiante sottomissione di tali Paesi a sistemi creditizi che, ben lungi dal promuovere il progresso, sottomettono le popolazioni a meccanismi di maggiore povertà, esclusione e dipendenza».[20] I sistemi creditizi da soli sono una strada per la povertà e la dipendenza. Questa legittima protesta chiede di suscitare e accompagnare un modello di solidarietà internazionale che riconosca e rispetti l’interdipendenza tra le nazioni e favorisca i meccanismi di controllo capaci di evitare ogni tipo di sottomissione, come pure vigilare sulla promozione dei Paesi più svantaggiati e in via di sviluppo; ogni popolo è chiamato a rendersi artefice del proprio destino e di quello del mondo intero.[21]

***

Cari giovani, «oggi siamo di fronte alla grande occasione di esprimere il nostro essere fratelli, di essere altri buoni samaritani che prendono su di sé il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti».[22] Un futuro imprevedibile è già in gestazione; ciascuno di voi, a partire dal posto in cui opera e decide, può fare molto; non scegliete le scorciatoie, che seducono e vi impediscono di mescolarvi per essere lievito lì dove vi trovate (cfr Lc 13,20-21). Niente scorciatoie, lievito, sporcarsi le mani. Passata la crisi sanitaria che stiamo attraversando, la peggiore reazione sarebbe di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di autoprotezione egoistica. Non dimenticatevi, da una crisi mai si esce uguali: usciamo meglio o peggio. Facciamo crescere ciò che è buono, cogliamo l’opportunità e mettiamoci tutti al servizio del bene comune. Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma che impariamo a maturare uno stile di vita in cui sappiamo dire “noi”.[23] Ma un “noi” grande, non un “noi” piccolino e poi “gli altri”, no, questo non va.

La storia ci insegna che non ci sono sistemi né crisi in grado di annullare completamente la capacità, l’ingegno e la creatività che Dio non cessa di suscitare nei cuori. Con dedizione e fedeltà ai vostri popoli, al vostro presente e al vostro futuro, voi potete unirvi ad altri per tessere un nuovo modo di fare la storia. Non temete di coinvolgervi e di toccare l’anima delle città con lo sguardo di Gesù; non temete di abitare coraggiosamente i conflitti e i crocevia della storia per ungerli con l’aroma delle Beatitudini. Non temete, perché nessuno si salva da solo. Nessuno si salva da solo. A voi giovani, provenienti da 115 Paesi, rivolgo l’invito a riconoscere che abbiamo bisogno gli uni degli altri per dar vita a questa cultura economica, capace di «far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani, e ispiri ai giovani – a tutti i giovani, nessuno escluso – la visione di un futuro ricolmo della gioia del Vangelo».[24] Grazie!

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[1] Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 61. D’ora in poi LS.

[2] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 74. D’ora in poi EG.

[3] Cfr Discorso nell’Incontro mondiale dei movimenti popolari, Santa Cruz de la Sierra, 9 luglio 2015.

[4] Cfr LS, 111.

[5] S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991), 58.

[6] Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 27.

[7] Cfr Discorso al Seminario “Nuove forme di fraternità solidale, di inclusione, integrazione e innovazione”
organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (5 febbraio 2020). Ricordiamo che «la vera sapienza, frutto della riflessione, del dialogo e dell’incontro generoso fra le persone, non si acquisisce con una mera accumulazione di dati che finisce per saturare e confondere, in una specie di inquinamento mentale» (LS, 47).

[8] EG, 235.

[9] Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 105. D’ora in poi FT.

[10] Cfr LS, 216.

[11] Favorendo, all’occorrenza, l’evasione fiscale, il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori, come pure «la possibilità di corruzione da parte di alcune delle imprese più grandi del mondo, non di rado in sintonia con il settore politico governante» (Discorso al Seminario “Nuove forme di fraternità solidale, di inclusione, integrazione e innovazione”, cit.).

[12] LS, 90. Per esempio «incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi. Si pretende così di legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contenere i rifiuti di un simile consumo» (LS, 50).

[13] Benché tutti siamo dotati della medesima dignità, non tutti partono dalla stessa posizione e con le stesse possibilità allorché si considera l’ordine sociale. Questo ci interroga e ci chiede di pensare delle strade affinché la libertà e l’uguaglianza non siano un dato meramente nominale che si presta a favorire l’ingiustizia (cfr FT, 21-23). Ci farà bene domandarci: «Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori?» (FT, 103).

[14] EG, 53. In un mondo di virtualità, cambiamenti e frammentazione, i diritti sociali non possono essere solamente esortazioni o appelli nominalistici, ma devono essere faro e bussola del cammino, perché «lo stato di salute delle istituzioni di una società comporta conseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana» (LS, 142).

[15] Cfr Cost. ap. Veritatis gaudium (8 dicembre 2017), 3.

[16] LS, 189.

[17] S. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), 34. D’ora in poi PP.

[18] Benedetto XVI, Lett. enc. Spe salvi (30 novembre 2007), 38.

[19] PP, 14.

[20] Discorso all’Assemblea Generale dell’ONU (25 settembre 2015).

[21] Cfr PP, 65.

[22] FT, 77.

[23] Cfr ibid., 35.

[24] Discorso all’inizio del Sinodo dedicato ai giovani (3 ottobre 2018).

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