Gli OCCHIALI di PIERO. L’Islanda, Patrick Samson, Watergate, tre casi…
WATERGATE
La madre di tutti gli scandali politici. Il 17 giugno 1972 la polizia arresta 5 uomini che sono entrati nel quartier generale del Comitato Nazionale Democratico, situato nel Watergate Hotel di Washington, dove hanno collocato microspie e scattato fotografie.
Si scopre la connessione tra essi e uno stretto collaboratore di Nixon. Due reporter del Washington Post indagano sul caso e pubblicano informazioni che ricevono da un misterioso “Gola profonda”. La registrazione di una conversazione tra Nixon e il capo del suo staff dimostra che il Presidente vuole ostacolare le indagini. Si scopre che alla casa Bianca esiste un sistema di registrazione automatica di tutto quanto viene detto nella stanza del Presidente. Inutilmente Nixon cerca di tamponare (“non sono un imbroglione”) la perdita vertiginosa di credibilità che il caso gli sta provocando, ma rifiuta di consegnare i nastri originali e quando consegna risultano cancellati quasi 20 minuti di registrazione da un nastro. Sette collaboratori del Presidente vengono condannati per aver cercato di ostacolare le indagini, il governatore della California viene accusato di spergiuro di fronte alla Commissione del Senato, uno dei segretari personali di Nixon è accusato di falsa testimonianza. la Commissione della Camera vota a favore dell’impeachment del Presidente per aver ostacolato le indagini e inoltre per abuso di potere e ostacolo al Congresso. Il 9 agosto del 74, dopo due anni di resistenza inutile e controproducente, Nixon si dimise dalla carica, unico caso nella storia degli Stati Uniti. Queste cose in Italia non succedono: non ci sono né inquirenti, né giornalisti, né senatori, né deputati, capaci di andare a fondo in faccende del genere, che (devo dire) certamente non succedono. Anche se si disse che il clamore creato intorno a questo scandalo servisse a distrarre da scandali ancora più grossi, e che Nixon non sia stato comunque il peggiore Presidente americano (e ne abbiamo visto la conferma, dopo di lui), il Watergate rimane un esempio da tener presente.
TRE CASI (Il terzo)
O. J. SIMPSON
Il 17 giugno 1994 viene arrestato per l’omicidio della ex-moglie e del compagno di lei.
12 coltellate a lei, 20 a lui, nessun testimone, era la notte del 13 giugno.
Simpson, gloria del football americano, attore del cinema, da alcuni giorni dorme fuori casa, quando la polizia lo convoca fugge in auto, guida un amico. La polizia li insegue per le vie di Los Angeles, la Tv riprende, 100milioni di spettatori guardano: sembra un film. Simpson ha una pistola, minaccia di uccidersi. Infine torna a casa e lo arrestano. A gennaio ’95 inizia il processo penale.
Un “dream team” di avvocati difende Simpson, che ci mette tutto il suo denaro.
Viene assolto, grazie a vari cavilli e alla tesi che ce l’hanno con lui perchè è nero
(la giuria è in maggioranza nera). Invece al processo civile è giudicato colpevole
(la giuria è in maggioranza bianca) e deve rimborsare le famiglie delle vittime.
Per farlo cede loro i diritti del libro “Come l’ho fatto”, che le famiglie ristampano col sottotitolo Confessione di un assassino, e diventa un best seller.
Simpson, completamente rovinato, compie vari illeciti, finchè il 5 dicembre 2008 viene condannato a 33 anni di carcere per rapina e sequiestro di persona.
Potremmo dire “il postino bussa sempre due volte”.
Questa è la giustizia (e la società) americana (Stati Uniti, beninteso): ti assolve per omicidio, ma poi ti becca per rapina. La tv, il cinema, gli avvocati, gli editori, fanno un sacco di soldi sullo spettacolo del crimine, finchè è spettacolo.
Al Capone, invano accusato per tanti delitti, fu condannato per evasione fiscale.
Insomma l’omicidio può passare, ma coi soldi non si scherza.
FINE
TRE CASI (Il secondo)
ENZO TORTORA
Il 17 giugno 1983 è arrestato per associazione a delinquere a stampo camorristico.
Lo dicono 3 pregiudicati, per i quali “parola d’onore” dev’essere un proverbio, e 1 pregiudicato, gia condannato per truffa e calunnia, con sua moglie. Riscontri? l’agendina di un camorrista dove sta scritto Tortora e un numero di telefono.
Ma il numero non è di Tortora e il nome è Tortona, Con queste belle prove Tortora fa sette mesi di prigione e poi è agli arresti domiciliari. Giusto un anno dopo viene eletto deputato europeo. Un Pubblico Ministero in aula dice “coi voti della camorra”.
Tortora insorge “è un’indecenza” e il magistrato lo accusa di oltraggio. Il Parlamento Europeo rifiuta l’autorizzazione a procedere per l’oltraggio, “vi è la certezza che all’origine dell’azione penale c’è l’intenzione di nuocere all’uomo e al politico”.
Il 17 settembre 1985 Tortora è condannato a 10 anni di carcere.
Si dimette da parlamentare europeo e torna agli arresti domiciliari.
Il 15 settembre 1986 viene assolto con formula piena.
“Io grido “sono innocente”. Lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento! Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi”.
Due casi della giustizia italiana, che con tante prove e tanti anni non riesce a trovare colpevoli e a condannarli, mentre senza prove riesce frettolosamente a condannare un innocente e a rovinargli la vita.
Il prossimo caso riguarda la giustizia negli Stati Uniti.
TRE CASI (Il primo)
ROBERTO CALVI
Londra, 17 giugno 1982. Sotto il ponte dei Frati Neri, sul Tamigi, pende un impiccato.
E’ un milanese di 62 anni; nelle tasche, piene di mattoni, ha 15mila dollari, il suo passaporto dice Gian Roberto Calvini, ma è Roberto Calvi, banchiere.
La sua segretaria lo stesso giorno, a Milano, è volata dal quarto piano del Banco Ambrosiano. Suicidio. A Milano, dal 1969, bisogna stare lontani dalle finestre.
Calvi ha un foglio in tasca, nomi di politici, piduisti, banchieri, un ministro.
Il magistrato inglese sentenzia: suicidio, ma la Corte Suprema annulla la sentenza e lo incrimina per irregolarità. Il secondo processo non decide se suicidio o omicidio.
In Italia si archivia prima per suicidio, poi una causa civile decide omicidio, ma infine
tutti gli imputati dell’omicidio vengono assolti.
Il caso Calvi è talmente intricato che i machiavellici intrighi d’epoca rinascimentale sembrano giochi di bambini. Un vortice che vede coinvolti: bande e banchieri, P2 e mafia, Vaticano e ministri dello Stato, faccendieri e sicari, in un polverone che è servito a qualcuno, o a molti, per uscirne con poco o nessun danno.
Cose del passato. Ho l’impressione però che succedano ancora. Qualche mese fa, un uomo, David Rossi, è volato dal terzo piano di una banca di Siena, attraversando la finestra con un salto all’indietro, secondo la tecnica, innaturale, ma efficace che il campione olimpionico Dick Fosbury ha introdotto nel 1968. Non pare però che Rossi avesse ambizioni olimpioniche, né che questo sia il modo di dimostrarlo.
Che sia stato aiutato? Comunque sarà meglio, d’ora in poi che gli uffici delle banche stiano tutti a piano terra.
TIGRAN PETROSJAN
Nacque a Tbilisi, in Armenia, il 17 giugno 1929, il giocatore più difficile da battere in tutta la storia degli scacchi. La sua difesa era impenetrabile: su 129 partite giocate alle Olimpiadi degli scacchi ne perse una sola. candidato 8 volte al Campionato del mondo tra il 1953 e il 1980, conquistò il titolo mondiale nel 1963 contro Botvinnik, lo mantenne contro Spasskij nel 1966, lo perse nel 1969 sempre contro Spasskij.
Botvinnik soleva dire: “se Tal ti offre un pezzo in sacrificio, prendilo e poi ragiona; se te lo offro io, prima ragiona e poi prendilo; se te lo offre Petrosjan non toccarlo assolutamente”. E Fischer: “sa prevedere una minaccia con 20 mosse di anticipo”. Petrosjan ebbe la soddisfazione, ormai alla fine della carriera, di battere nel 1981 Garri Kasparov, campione del mondo pochi anni dopo, battendo Karpov.
Morì a Mosca il 13 agosto 1984, a 55 anni, per un cancro allo stomaco.
Ad Aparan, in Armenia, gli è stato dedicato un monumento e la piazza principale.
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