L’Inno italiano a scuola. Quel Balilla fascistizzato…
PROGRES CONTRO L’INNO DI MAMELI
Francesco Casula concorda e rincara: “È impastato di romanità e fascismo”.
di Francesco Casula
Nei giorni scorsi, opportunamente PROGRES (Progetu republica de Sardigna) in una nota ha preso una decisa posizione contro l’Inno italico scrivendo: “Abbiamo ricevuto da parte di diversi genitori la segnalazione che nelle scuole di Sardegna, primarie e secondarie, maestri e professori si stanno prodigando nell’insegnamento ai propri alunni dell’inno ‘nazionale’ italiano (il ‘Canto degli italiani’ anche noto come inno di Mameli); pur non essendo questa una novità, ci teniamo a ribadire che questo approccio sciovinistico della scuola italiana risulta fuori dal tempo e dalla storia, come peraltro lo è lo stesso inno che si vuole far studiare agli inconsapevoli studenti”. [segue]
Per Progres le istituzioni scolastiche dovrebbero avere cura di sviluppare la capacità critica dei bambini e dei ragazzi, indirizzandoli verso valori di rispetto degli altri popoli e di una convivenza pacifica.
Il partito indipendentista ritiene sia più utile per i giovanissimi sardi l’apprendimento delle nostre poesie e dei nostri canti che non solo consentirebbe agli studenti di “apprezzare le lingue parlate nella loro terra – e quasi totalmente escluse dalla scuola – ma anche di conoscere le importanti vicende storiche che gli stessi componimenti raccontano”.
E aggiunge: “Progetu Repùblica ritiene che questo sarebbe un segnale di sensibilità verso i sardi che la scuola italiana non ha però mai avuto, preferendo invece indottrinare le nostre giovani generazioni ad un vetero nazionalismo italiano ed osservando il massimo riserbo su tutto ciò che identifica i sardi come Popolo: la lingua, la nostra storia e la nostra cultura. Invitiamo perciò gli insegnanti sardi a non rendersi complici di questa operazione e li esortiamo, attraverso le modalità che riterranno più opportune, ad operare un insegnamento che sia generoso per i loro giovani studenti che non possono ignorare la loro storia e la loro lingua”.
Molto bene. Da parte mia, nei confronti dell’Inno “Fratelli d’Italia” nutro in primis una repulsione per motivi di salute: quando lo sento mi viene l’orticaria.
Ma la repulsione per motivi culturali e politici è ben più corposa: a parte che è brutto bellicista militarista militaresco e ultraretorico riassume una “storia” falsa e falsificata:
“Dall’Alpe a Sicilia dovunque è Legnano;
ogn’uom di Ferruccio ha il core e la mano;
I bimbi d’Italia si chiaman Balilla;
il suon d’ogni squilla i Vespri suonò”: Di grazia che c’entrano i combattenti della Lega lombarda, i Vespri siciliani, Francesco Ferrucci, morto nel 1530 nella difesa di Firenze, Balilla, ragazzino che nel 1746 avvia una rivolta a Genova contro gli austriaci, con l’Italia, il suo “Risorgimento”, la sua Unità?
E’ stata questa la versione distorta e falsificata della storia italica offerta e propinata dai leader e dagli intellettuali nazionalisti dell’Ottocento, di cui un secolo di ricerca storica ha preso a roncolate mostrando l’infondatezza di tale pretesa. Anche perché non la puoi dare a bere a nessuno l’idea che questi «italiani» fossero buoni, sfruttati e oppressi da stranieri violenti, selvaggi e stupratori, stranieri che di volta in volta erano tedeschi, francesi, austriaci o spagnoli.
Ma quello che maggiormente disturba è la vomitevole “romanità” di cui è impastato: romanità (Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta;
dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa), non a caso, sposata e celebrata dal Fascismo, dal cui mito fu animato fin dalla primavera del 1921 quando Mussolini lanciò l’iniziativa di celebrare il Natale di Roma il 21 aprile di ogni anno e nel novembre di quell’anno, nello statuto del neonato Pnf, i fascisti definirono il partito come una milizia al servizio della nazione. Mutuando da Roma le insegne, come i gagliardetti con il fascio, le aquile e il gesto di saluto con il braccio teso.
Scrive Mussolini: ”Celebrare il Natale di Roma significa celebrare il nostro tipo di civiltà, significa esaltare la nostra storia, e la nostra razza, significa poggiare fermamente sul passato per meglio slanciarsi verso l’avvenire. Roma e Italia sono due termini inscindibili. […] Roma è il nostro punto di partenza e di riferimento, il nostro simbolo, o se si vuole, il nostro mito. […] Molto di quel che fu lo spirito immortale di Roma risorge nel fascismo: romano è il Littorio, romana è la nostra organizzazione di combattimento, romano è il nostro orgoglio e il nostro coraggio : Civis romanus sum” !*
Ma il nucleo più forte che il fascismo mutuò dalla “romanità” fu il mito dell’impero che sembrò realizzarsi con la conquista dell’Etiopia il 9 maggio 1936, tanto che Mussolini dichiarò dal balcone di palazzo Venezia che l’Impero era tornato sui «colli fatali» di Roma, con il ritorno in Italia delle immagini della romanità e della missione gloriosa della caput mundi.
Con il Duce celebrato come «il novello Augusto della risorta Italia imperiale», «un genuino discendente di sangue degli antichi romani».
Lo testimoniava, – secondo l’archeologo Giulio Quirino Giglioli – l’origine romagnola di Mussolini il quale «era degno emulo di Cesare e di Augusto perché artefice di una nuova era della romanità nell’epoca moderna» Altri noti studiosi si impegnarono nel sostenere l’identità fra il duce del fascismo e gli imperatori romani, o anche a dimostrare la superiorità di Mussolini su Cesare o su Costantino.
Amen!
* Benito Mussolini, « Passato e avvenire », Il Popolo d’Italia, 21 aprile 1922, p. 1.
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FRATELLI D’ITALIA
di Goffredo Mameli
musicata da Michele Novaro
Testo integrale
Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta;
dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa.
Dov’è la vittoria? Le porga la chioma
ché schiava di Roma Iddio la creò.
Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Noi siamo da secoli calpesti, derisi
perché non siam popolo, perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica bandiera, una speme:
di fonderci insieme già l’ora suonò.
Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Uniamoci, amiamoci; l’unione e l’amore
rivelano ai popoli le vie del Signore.
Giuriamo far libero il suolo natio
uniti, per Dio, chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò
Dall’Alpe a Sicilia dovunque è Legnano;
ogn’uom di Ferruccio ha il core e la mano;
I bimbi d’Italia si chiaman Balilla;
il suon d’ogni squilla i Vespri suonò.
Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Son giunchi che piegano le spade vendute;
già l’aquila d’Austria le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia e il sangue Polacco
bevè col Cosacco, ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
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