Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Una questione mal posta

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di Vanni Tola
Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Una questione mal posta. I fatti in breve. La Sogin (Società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi), ha pubblicato la “Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee” ad ospitare il deposito dei rifiuti radioattivi prodotti nel nostro Paese. Nell’elenco sono indicate sette regioni (compresa la Sardegna) e 67 comuni, 14 dei quali distribuiti tra l’Oristanese e il medio Campidano. La “Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee”, ufficializzata in questi giorni è solo il frutto di un lungo lavoro di studio – esclusivamente tecnico – basato su criteri geologici e logistici che hanno scremato le aree ritenute utilizzabili, fino ad arrivare alle 62 indicate nel documento finale. [segue] Non c’è ancora una scelta politica perché, per farlo, il governo e la Sogin dovranno trovare il consenso delle comunità interessate e delle istituzioni locali attraverso una consultazione pubblica, cui farà seguito la fase delle manifestazioni di interesse dei territori disposti ad ospitare il deposito. Questi i termini della questione. Le popolazioni dei territori individuati dalla Sogin, saranno chiamati a breve ad esprimere manifestazione di interesse per ospitare il deposito nazionale delle scorie. Come è naturale che sia è evidente che la realizzazione del deposito comporterà un notevole disagio e rischi per la sicurezza e la salute, non indifferenti che difficilmente potranno essere accolte dai territori, se non attraverso contropartite rilevanti e convincenti. Parlavo di questione mal posta proprio per questo. Il problema non é sapere se i comuni selezionati vedano o no di buon grado la scelta di istituire il deposito di scorie radioattive nei loro territori. E’ evidente che in prima battuta tutte le popolazioni interessate esprimeranno una netta opposizione. Il problema è che, superato il primo impatto “emotivo” col problema è evidente che entreranno in gioco ben altre dinamiche. Ci si comincerà a domandare quali eventuali vantaggi potrà apportare per le comunità locali la realizzazione del deposito e se gli eventuali aspetti negativi possano essere in qualche modo compensati dai preventivati vantaggi economici. Insomma il solito baratto tra sicurezza e salute da un lato, e necessità di ricevere investimenti e occupazione dall’altro. E possiamo restare certi che su questo campo, dietro pressioni delle società e delle forze sociali che approveranno tale investimento e considerata la condizione di crisi occupazionale di molte delle aree indicate, le indisponibilità potrebbero tramutarsi in timidi e poi sempre più ampi consensi. Purtroppo è già accaduto in diverse aree del paese. Che c’è nel piatto? Non poca roba. Un investimento complessivo di circa 900 milioni di euro per realizzare 4.000 posti di lavoro all’anno (per almeno tre o quattro anni) e un migliaio di posti fissi per la custodia e la gestione del sito. Un progetto decisamente di grandi dimensioni e con una forte ricaduta in termini occupazionali. Sarà realizzato in un’area di almeno 150 ettari, di cui 110 dedicati al deposito vero e proprio e una quarantina al “Parco tecnologico” che completerà l’opera. Il deposito ospiterà circa 78 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media attività: 50mila frutto dello smantellamento degli impianti nucleari italiani dismessi e 28mila dalla ricerca e dalla medicina e sarà operativo per qualche centinaio di anni. Sarà sufficiente la levata di scudi contro la realizzazione del deposito delle scorie nucleari e fermare il progetto? Ritengo di no, anche perché è evidente che il nostro paese viene ormai costantemente sollecitato dall’Unione Europea a realizzate tale opera e prima o poi dovrà per forza realizzarla. Verrà un giorno nel quale il Governo italiano, questo in carica e gli altri, dovrà scegliere un sito per realizzare il deposito e lo dovrà fare “d’imperio”, se non ci saranno manifestazioni di disponibilità dei territori. Ma non si può neppure escludere che alcuni territori possano invece essere “affascinati” dalle sirene degli investimenti e dei posti di lavoro. Un panorama fosco e triste, in qualunque modo vada a finire.

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