Anpi: “Per la repubblica, per il lavoro, per la rinascita, per la riforma intellettuale e morale”.
Il presidente provinciale di Cagliari dell’ANPI, Antonello Murgia, nell’aderire personalmente all’appello di un gruppo di cattolici sardi “Un Patto di tutti i sardi per la Sardegna”, ci invia la relazione del neoletto Presidente nazionale dell’ANPI, Gianfranco Pagliarulo, al Comitato nazionale del 20 novembre, che propone l’alleanza dei democratici in difesa della Costituzione con la costruzione di un progetto che rappresenti i più deboli ed i lavoratori. Aggiunge Antonello che su tali tematiche è urgente promuovere iniziative comuni nei nostri territori. Siamo d’accordo e ci impegniamo in tale direzione. Intanto della pregevole relazione, che troverete integrale nel sito web dell’ANPI, pubblichiamo le conclusioni che spiegano esaurientemente lo spirito e le finalità delle politiche dell’ANPI.
“Per una nuova fase della lotta democratica e antifascista”
La relazione del Presidente nazionale ANPI al Comitato nazionale ANPI del 20 novembre. Uno sguardo analitico sulla grave situazione sanitaria e sociale italiana (e internazionale) e le prospettive di grande alleanza per affrontarla in modo pienamente costituzionale
DALLA RELAZIONE DEL PRESIDENTE GIANFRANCO PAGLIARULO AL COMITATO NAZIONALE ANPI
Considerazioni conclusive
È il momento di trarre alcune considerazioni da questa situazione così complessa, contraddittoria e grave. Vige una generale incertezza, perché non è dato sapere né quando né come terminerà il dramma della pandemia, e tale incertezza di per sé condiziona il futuro per il mondo e per l’Italia. L’unica cosa certa – è stato scritto – è che con la pandemia i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri.
L’anello debole principale della tenuta sociale è oggi dato sia da una middle class declassata e puntiforme, sia dall’esercito degli invisibili verso cui precipita parte della classe media, verso cui va la prestata la massima attenzione per le reali e gravissime difficoltà in cui versano, e anche per evitare l’esplosione di gravi tensioni sociali di cui ad oggi abbiamo avuto solo qualche segnale. Le azioni eversive dei fascisti sono la spia di un allarme democratico già evidente per le sconnessioni sociali, e mettono all’ordine del giorno una vera politica antifascista e antirazzista da parte del governo. Tale politica non è evidente e pare alle volte del tutto opaca nelle azioni e nelle dichiarazioni della ministra dell’Interno.
Il pessimo rapporto con le Regioni, lo scaricabarile di diversi loro presidenti, il loro ruolo oramai del tutto personalizzato e spesso al di fuori dei loro stessi partiti, pone a tema urgente, in un più ampio ragionamento sullo Stato, una riflessione sul Titolo V della Costituzione. Occorre salvaguardare maggiormente il fondamento dell’unità nazionale e garantire davvero l’eguaglianza dei diritti, dei servizi e delle tutele dei cittadini su tutto il territorio nazionale. A maggior ragione è inattuabile e inaccettabile qualsiasi programma di autonomia differenziata. La sostanza è che il buon dottor Jekill del presunto decentramento federalista si è concretamente trasformato nel malvagio mister Hide di una forza centrifuga rispetto al fondamento dell’unità nazionale.
In questi ultimi anni abbiamo assistito ad un ulteriore abbassamento della guardia nei confronti dei fenomeni di revisionismo storico, con una tendenziale equiparazione delle due parti in conflitto durante la Resistenza. Ma l’ultimissima generazione di storici sembra contrastare questa deriva con una rinnovata vis polemica. E’ opportuno che l’Anpi aggiunga alla relazione con storici della precedente generazione il rapporto con quest’ultima generazione che ha introdotto un interessante plus di impegno civile. Occorre insomma attrezzarsi per tempo a una battaglia che è sempre stata politica e che oggi ha i suoi bastioni a destra con le foibe, le speculazioni su Norma Cossetto, la risoluzione del parlamento europeo, e che riporti al centro del dibattito le gravissime responsabilità del fascismo: nel 39 l’Italia invadeva l’Albania, l’Italia entrava in guerra attaccando la Francia e poi la Grecia e poi, nel 1941, la Jugoslavia.
Da sempre l’Anpi ha operato nella direzione del contrasto ai neofascismi. Usciamo in particolare da stagioni di grande lavoro su questo terreno. Consapevoli che oggi questo impegno, pur necessario, non è più sufficiente, dobbiamo rapidamente aggiornare il nostro programma a questo proposito, cosa che faremo come segreteria e forse anche come presidenza nelle prossime settimane.
Il lavoro è propriamente campo dell’attività sindacale. Qui accenno soltanto al fatto che il covid ha costretto a cambiamenti radicali nell’organizzazione del lavoro, penso per esempio allo Smart working. Più in generale va affrontato il tema dell’integrazione degli stranieri nel mondo del lavoro. Si tratta di una questione essenziale sia per la diminuzione di manodopera italiana causata dal crollo demografico, sia per l’equilibrio finanziario degli istituti di previdenza, sia per la diffusione del lavoro nero e del lavoro schiavile a cui sono costretti migliaia e – credo – decine di migliaia di lavoratori stranieri. Tutto ciò non ci può impegnare in prima persona, ma ci chiama all’appoggio del movimento sindacale col quale dobbiamo cementare i già ottimi rapporti.
Il rapporto con le giovani generazioni è una priorità in generale e una priorità specifica per l’Anpi, perché esse sono il punto di intersezione più evidente col malessere delle periferie, perché l’Italia, come già detto, è uno dei Paesi col più alto tasso di crisi demografica, perché inevitabilmente una parte sempre maggiore delle nuove generazioni sarà formata da migranti di seconda o terza generazione, perché il fenomeno migratorio dei giovani italiani in cerca di lavoro all’estero è sempre più consistente, perché da questa generazione nascerà il gruppo dirigente di domani. Negli ultimi decenni la cultura dominante ha contrapposto gli interessi delle giovani generazioni a quelli degli adulti e degli anziani, contribuendo a creare nei giovani un senso di abbandono e di solitudine e contemporaneamente alzando l’età pensionabile per poi scoprire, al tempo del covid, che gli anziani sono più fragili degli altri. Questa cultura negativa e divisiva va combattuta proponendo una grande alleanza fra generazioni unita dai fondamentali.
I temi di una vita sociale “sostenibile” e della lotta al riscaldamento globale sono propri delle ultime generazioni, i millennials e la generazione Z. Gli effetti del riscaldamento globale stanno già avvenendo con esito potenzialmente catastrofico per la comunità umana. Non si tratta più – né mai lo è stato – di un tema per così dire aggiuntivo, ma di una questione centrale. Per di più sono proprio queste le generazioni con maggiore sensibilità ed attenzione al tema.
Per queste ragioni uno dei terreni di maggiore impegno dell’Anpi dev’essere quello della formazione, in specie nella scuola e nelle università. L’accordo Anpi Miur può essere un punto di partenza per una ricontrattazione che comprenda progetti complessi e a lungo termine e si rivolga ai discenti e ai docenti in un più generale disegno di riqualificazione civile della formazione.
Ancora sugli anziani: la crisi della socialità, la chiusura coatta dei luoghi di incontro costringe intere fasce di anziani, già sotto scacco per il pericolo del virus, all’isolamento forzoso, ad una solitudine tanto più triste quanto più avanzata è l’età. L’unica risposta è, per quanto possibile, una prossimità verso questa fascia che è la più debole e spesso la più sola.
Il dramma della pandemia mette a tema in modo nuovo e contestuale tre questioni: la presenza pubblica nell’economia, dopo decenni di demonizzazioni del pubblico e di privatizzazioni, a cominciare dalla sanità; la fruizione dei beni comuni, cioè delle risorse materiali e immateriali condivise dalla comunità: posso fare di questi un solo esempio per così dire di tipo nuovo? Il vaccino anti Covid; la sostenibilità ambientale. Tutti argomenti che mettono in discussione il postulato della società di mercato; non è in discussione – sia chiaro – l’importanza dell’economia di mercato; sono in discussione i limiti di tale economia e una organizzazione sociale e civile modellata sul mercato. Non si tratta soltanto – per esempio – della riduzione dei cittadini a consumatori. Ne è investita persino la politica, che “non è più una sana discussione sui progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune, bensì solo ricette effimere di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace” (dall’enciclica Fratelli tutti, ottobre 2020).
Da Hobbes a Rousseau, il tema della sicurezza ritorna come ragione dell’esistenza stessa dello Stato. Noi dobbiamo forse tornare sull’argomento, contrastando le visioni forcaiole di tanta parte della destra che sovente trasforma questioni di ordine sociale in questioni di ordine pubblico. Va da sé che il senso di sicurezza dei cittadini va ben oltre le questioni di ordine pubblico e investe l’insieme delle attività dello Stato (compreso il tema della sicurezza sanitaria) e, nello specifico, attiene al corretto rapporto fra prevenzione e repressione dei reati. Noi dobbiamo ragionare sul tema dell’ordine democratico, cosa vuol dire, come si realizza, cosa comporta. Accenno solo a pochi temi: periferie, migranti, incidenti sul lavoro. Aggiungo: sicurezza come tutela della democrazia e delle sue istituzioni E concludo accennando allo spirito repubblicano che dovrebbe ispirare l’istituzione delle forze dell’ordine, cosa che avviene spesso, ma non sempre. Cito per esempio la recente promozione a vicequestore di due agenti di polizia condannati per i fatti di Genova, e ancor di più la motivazione di tale promozione causata, parole dei dirigenti, da “procedura amministrativa obbligata”.
La proposta
Ma arrivo ora a quello che vorrei fosse il cuore di questa relazione, la sua conclusione, la base ideale dei nostri compiti e delle nostre prospettive. Mi pare che noi dobbiamo avere una capacità di visione, cioè immaginare il futuro e praticare di conseguenza delle scelte.
A lunga scadenza, si propone il tema di una nuova statualità, cioè di un nuovo rapporto fra Stato (nelle sue più ampie articolazioni), società, corpi intermedi, che da un lato rilanci la repubblica alla luce delle lezioni della modernità, dall’altro torni allo spirito e anche alla lettera della Costituzione tramite la sua applicazione integrale e la piena attuazione dei diritti e dei doveri dei cittadini. Una nuova statualità non può che nascere da una grande “riforma intellettuale e morale” che richiede soggetti, energie e progetti ancora assenti, che vanno suscitati anche grazie all’associazionismo e al volontariato laico e cattolico. Questa è la risposta plausibile alla crisi della democrazia liberale, la cui unica soluzione è una democrazia sociale comprensiva dei suoi caratteri liberali, ma che si espande dando finalmente compimento alla prima e specialmente alla seconda parte dell’art. 3 Cost.
Questa riforma intellettuale e morale è un atto propriamente culturale, richiede cioè la comunione del patrimonio dei saperi e delle esperienze e il ruolo attivo del complesso mondo degli intellettuali contemporanei, e assieme richiede, come già detto, un progetto di riqualificazione della formazione, cioè della scuola e dell’università. La principale operazione culturale da fare è esattamente il contrario della cultura elitaria, perché si tratta di una trasmissione culturale che penetri nel profondo della società, nel suo ventre, dove allignano ignoranza e qualunquismo.
In questa grande prospettiva di cambiamento che dev’essere sostenuta in primo luogo dall’Anpi in un più ampio movimento popolare, si incarna e si inquadra l’antifascismo di oggi, che non può ridursi alla ovviamente necessaria negazione del fascismo, ma dev’essere conoscenza e coscienza della storia recente del Paese, e puntare sulla centralità della persona umana e dell’essere sociale. Della persona, perché la sua centralità è scomparsa nell’orizzonte reale del sistema di valori dominante, pur essendo il fulcro della Costituzione. Dell’essere sociale, perché la persona esiste e si realizza esclusivamente nelle relazioni con l’altro nello spazio e nel tempo. Le relazioni nello spazio sono quelle che determiniamo ogni giorno e coincidono con la nostra vita e con il lavoro.
Le relazioni nel tempo sono quelle che determiniamo tramite la memoria, cioè il rapporto con persone ed eventi del passato. La memoria è uno degli attributi dell’umanità in quanto esseri sociali. La grande scatola sociale della memoria, cioè del segno di ciò che è avvenuto, è la condizione per pensare a ciò che avverrà, cioè al futuro. Anche da questo punto di vista è attuale la nostra idea di memoria attiva. La persona e il suo essere sociale sono il soggetto della Costituzione, che definisce diritti e doveri dell’umano “sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (art. 2 Cost.).
In questa misura l’antifascismo si deve riproporre come religione laica, repubblicana, da un lato, e come punto di convergenza di diverse culture dall’altro, in sostanza come cemento ideale e pratico di un nuovo blocco sociale che porti l’Italia fuori dalle secche della crisi utilizzandola come occasione del cambiamento, ciò che non è avvenuto in occasione della prima crisi, avviatasi in America nel 2007/8 e che rischia di non avvenire anche in questa drammatica circostanza. In una visione del mondo che mette al centro le persone e i comportamenti politici, sociali e culturali che ne conseguono, l’antifascismo del tempo d’oggi si può legittimamente definire un nuovo umanesimo.
In questo scenario vanno contestualizzati i valori generali che abbiamo ereditato dalla Resistenza, e cioè giustizia sociale, libertà, democrazia, solidarietà, pace.
Ciascuno di questi temi va riconiugato nella concretezza della situazione attuale, uscendo dalle secche dell’enfasi e della retorica e ricercandone il senso nelle diverse articolazioni della società, ma anche e per alcuni versi specialmente nelle diverse articolazioni dello Stato.
Una speciale attenzione va posta nei rapporti col mondo cattolico oggi profondamente diviso. In particolare nella lettura dell’enciclica Fratelli tutti si troveranno diversi punti di larga condivisione, sui quali è possibile un percorso comune con l’associazionismo che in forme dirette o indirette si riferisce al mondo cattolico. Più in generale va notato che su punti qualificanti l’aspra competizione interna alla chiesa cattolica fra Bergoglio e i suoi critici corrisponde alla competizione fra democratici e nazionalpopulisti nel mondo, e che l’insieme del pensiero del pontefice ruota attorno al valore della persona umana, valore da noi laicamente condiviso.
Su tutti questi temi dobbiamo immaginare un programma di aggiornamento dei nostri gruppi dirigenti con particolare attenzione ai temi del fascismo, del razzismo e delle tensioni sociali sullo sfondo della Costituzione. Dovremo studiare anche la ricaduta di questi temi sui programmi di formazione.
Ma va da sé che, se si condividono le cose che ho detto, dobbiamo impegnarci nella lenta e faticosa costruzione di un vastissimo fronte popolare che deve passare attraverso la mobilitazione del mondo dell’associazionismo e del volontariato e deve trovare alleanze e sponde nei partiti democratici e nelle istituzioni. La chiave unitaria è l’unica chiave possibile per combattere il degrado e per avanzare una risposta positiva che comprenda il contrasto a fascismi, razzismi, nazionalismi e disegni un passo avanti di civiltà.
Quello che propongo in sostanza è che l’Anpi sia promotrice di una grande alleanza democratica e antifascista per la persona, il lavoro e la socialità. Un’alleanza che unisca tendenzialmente ogni energia disponibile dell’associazionismo, del volontariato, del cosiddetto Terzo settore, del movimento sindacale, un’alleanza che guardi al dramma presente attraverso i valori della solidarietà e della prossimità, – due parole chiave – ma guardi al futuro, affinché l’Italia del dopo Covid non sia la restaurazione dei modelli economici e valoriali del recente passato, ma si avvii sulla strada del cambiamento. Un solo esempio: il recente passato ha visto il trionfo delle diseguaglianze. O ci sarà una svolta vera, oppure il futuro le riproporrà in forma ancora più grave. E cosa può essere questa alleanza se non un’alleanza per la Costituzione? So bene che è prospettiva difficile per la realtà di un Paese che manifesta oramai una fortissima presenza dell’estrema destra a fronte di una debolezza politica delle forze democratiche, ma proprio per questo oggi non basta più rispondere colpo su colpo, giocare di rimessa; c’è bisogno di avviare un processo di ricostruzione pur navigando a vista, partendo dall’interno della società, ricomponendo ciò che è disperso, unendo ciò che è diviso, restituendo socialità dove c’è solitudine.
Riconvocheremo penso a dicembre il famoso tavolo dei 23, ripensandolo profondamente, allargandolo in modo significativo e operando in quantità e in qualità. In quantità dovremo estendere gli inviti ad altre grandi associazioni laiche e cattoliche interessate a questo progetto, in qualità perché dovremo proporre una unità antifascista che comprenda il contrasto ai fascismi e ai razzismi ma vada oltre, e proponga idee, suggerimenti, suggestioni, perché oggi un grande cambiamento antifascista è un grande cambiamento generale sulla via della civiltà e del progresso sociale. Noi dobbiamo contribuire a creare una nuova prospettiva. L’Anpi può essere il sale, il detonatore, l’innesco di una proposta generale incardinata sull’attuazione della Costituzione e declinata nel tempo che viviamo.
Se si vede bene, non è una novità assoluta. Come ci ha ricordato Smuraglia in una lunga mail dell’aprile di quest’anno, ci sono momenti della vita nazionale in cui l’Anpi di sempre – scriveva – dev’essere qualcosa di più incisivo e aggiornato. E il presidente emerito faceva due calzanti esempi: contro la legge truffa nel 1953, contro Tambroni nel 1960. Siamo in uno di quei momenti di svolta con una differenza: allora intervenimmo giustamente contro.
Oggi dobbiamo intervenire per. Per la repubblica, per il lavoro, per la rinascita, per la riforma intellettuale e morale. Su questi temi ho sondato il terreno di una disponibilità per ora con Maurizio Landini, Anna Maria Furlan, Don Ciotti, Francesca Chiavacci, Beppe Giulietti, Mattia Santori e Jasmine Cristallo, del movimento delle sardine e ho trovato un consenso davvero molto forte e motivato. Perché? Perché vedono nell’Anpi quei fondamentali di cui parlavo all’inizio.
Quando tutto è in crisi si guarda a chi ha i fondamentali. E dobbiamo uscire dal Comitato nazionale con un’idea che esprima preoccupazione e fiducia, che inneschi un motore per uscire dalla crisi, che proponga, come accennavo, una capacità di visione.
Ho finito. La nostra è una lotta iniziata con la Resistenza, segnata dalla Liberazione, ma poi continuata in modo sotterraneo o manifesto in mille forme. Nei giorni scorsi lo storico Claudio Dellavalle mi ha inviato una bellissima mail a proposito della scomparsa di Carla.
Ha fra l’altro scritto: “Penso che Carla ci abbia offerto un linguaggio e un modo di porsi che dovremmo cercare di salvaguardare perché è come guardare con occhi nuovi un impegno che viene da lontano”. Mi ha ricordato una nota frase di Marcel Proust: “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”. Ecco, essere partigiani oggi. Il nostro impegno richiede questo cambio di passo che ho citato all’inizio: dobbiamo avviare una nuova fase della lotta democratica e antifascista.
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La foto in testa è tratta dalla pubblicazione “30 giorni. Nella Chiesa e nel mondo”, a corredo di un articolo di Giovanni Sale S.I. La rivista, diretta da Giulio Andreotti è stata pubblicata dal 1993 al 2012.
La dicitura che accompagna la foto: “Nella foto di sfondo, una manifestazione per la Costituente a Torino nell’ottobre 1945; il Corriere della Sera del 6 giugno 1946, La Voce Repubblicana del 9 ottobre 1947, un manifesto del Partito socialista italiano di unità proletaria e uno della Democrazia cristiana, una foto di Nenni, Ruini, Vernocchi, De Gasperi e Togliatti all’epoca del primo governo De Gasperi (10 dicembre 1945-13 luglio 1946)“
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