America, America
DONALD TRUMP UNA BELVA IN GABBIA
di Marino de Medici
In America, la radicata tradizione di un civile interregno tra amministrazioni è stata già lacerata dal presidente uscente. Donald Trump non è una “anatra zoppa” in attesa del trasloco ma una belva ruggente nella gabbia che dovrà abbandonare il 20 gennaio. La transizione del potere a Washington è entrata immediatamente in una fase assai pericolosa che coinvolge lo stesso futuro della politica estera degli Stati Uniti. Il licenziamento in tronco del Segretario alla Difesa Mark Esper, con il solito tweet, segna l’avvio di una purga che molto probabilmente espellerà altri personaggi dell’amministrazione, tra i quali l’Attorney General Barr, la direttrice della CIA Haspel e il capo dello FBI Wray. [segue]
Queste mosse rientrano in un disperato tentativo di Trump di esercitare al massimo i suoi poteri esecutivi. Di fatto, riflettono la sua volontà di smantellare finché possibile i meccanismi istituzionali a favore di una gestione autoritaria del potere esecutivo. Trump continuerà a farlo fino al giorno in cui dovrà cedere il potere.
Il futuro dell’America non è solo nelle mani di Joseph Biden, ma in misura ragguardevole anche in quelle di un gruppo di senatori repubblicani ed in particulare del loro leader McConnell. Non va dimenticato infatti che nel giorno stesso in cui Obama assumeva il potere, McConnell dichiarava guerra al primo presidente di colore affermando che la priorità dei repubblicani era quella di fare di lui un “one term president”. L’interrogativo che oggi domina la discussione nei circoli politici di Washington è quanti senatori repubblicani siano disposti ad abbandonare il maleodorante carrozzone di Donald Trump e a convincere il presidente a cedere le armi. Il discorso è complesso perché il presidente non ha sconfessato quei fedelissimi secondo cui egli ambisce a ripresentare la sua candidatura per le presidenziali del 2006. Una norma costituzionale lo permette. L’ultimo presidente che ha governato con due mandati non consecutivi è stato Grover Cleveland, eletto nel 1884 e 1892. Ma il quesito più intrigante è quello delle condizioni nelle quali potrà manifestarsi l’ostruzionismo repubblicano al senato, che potrebbe spaziare da ostacoli alle nomine presidenziali a ben più grossi bastoni tra le ruote per la politica sociale dell’amministrazione Biden.
Le dichiarazioni rese nel Marzo scorso da McConnell non promettono nulla di buono: ”se sarò ancora leader di maggioranza al senato, pensate a me come il “Grim Reaper” (il triste mietitore). Nulla passerà.”
Una voce peraltro appare fondata, che McConnell ed una ventina di senatori repubblicani vogliono liberarsi dell’influenza malefica del presidente narcisista ed accentratore. E’ il caso di dire che lo dicono sottovoce ma vari elementi depongono a favore di una strategia parzialmente collaborativa. Lo spartiacque però resta in quanto i repubblicani potrebbero collaborare per l’approvazione di progetti di minore importanza ma non su programmi sociali di ampio respiro come quelli che propugna la sinistra del partito democratico. Sarà Biden in grado di far valere orientamenti progressivi sapendo di non poter contare sul loro passaggio al senato? Il calcolo è tanto più complicato in quanto tra due anni l’America voterà di nuovo per il rinnovo della Camera dei Rappresentanti e di un terzo del senato. I seggi senatoriali in palio saranno 34, dei quali il maggior numero sarà repubblicano (21 contro 13 democratici). Per quanto le elezioni di midterm siano generalmente sfavorevoli al partito del presidente in carica, la contesa al senato potrebbe eliminare un numero sufficiente di senatori repubblicani per restituire il senato ai democratici ed assicurare una navigazione più tranquilla a Biden.
Va comunque segnalato che nelle elezioni presidenziali appena concluse ha prevalso il voto anti-Trump piuttosto che il programma ideologico dei democratici.
La sinistra democratica ha rispettato lo spirito di unità richiesto dal candidato e dai dirigenti del partito ma all’indomani della consultazione sta già rivolgendo severe critiche alla condotta del partito. Il distacco è strettamente legato alle scelte che Biden dovrà fare per la composizione del gabinetto e degli altri organi di governo, scelte che determineranno la politica dell’amministrazione Biden. In tale contesto, la sinistra già bussa insistentemente alla porta per ottenere ministeri di spicco per Bernie Sanders e Elizabeth Warren. Il problema non è tanto quello dell’approvazione nel feudo del “Grim Reaper” ma delle possibilità di riuscita di una strategia di Biden volta a riparare i danni arrecati da Donald Trump all’ordine costituzionale oltre che ad isolare la sua base popolare.
Questa infatti non scomparirà domani. Il futuro è tanto più incerto perché i democratici dovono recuperare sul terreno dell’elettorato bianco e dei lavoratori senza titoli di studio, che i repubblicani considerano una loro valenza essenziale. Ed ancora, i democratici dovranno lottare duramente per assottigliare il predominio repubblicano negli stati del Midwest e del Sud, dovuto in buona parte al “gerrymandering”, l’artificiosa creazione dei distretti elettorali che favorisce il GOP repubblicano.
Infine, non vi è dubbio che Donald Trump farà di tutto, nei prossimi 70 giorni, per aggravare il quadro politico e strategico dell’America. La rimozione del segretario alla difesa Esper ha generato una situazione quanto mai grave per la catena militare di comando negli Stati Uniti e per l’esecuzione di strategie di sicurezza nazionale. Il segretario della difesa uscente non solo si era opposto all’impiego di unità militari per reprimere le manifestazioni di protesta in America ma aveva criticato la decisione presidenziale di riportare in patria le forze dislocate nell’Afghanistan ed altri fronti. La sua rimozione è destabilizzante in un periodo di transizione che non potrebbe essere più precario, stante la protervia con cui Trump ostacolerà il trapasso dei poteri. Tra l’altro, un suo ufficio ha negato finora di fornire fondi all’organismo preposto alla transizione.
Una conclusione purtroppo è autorizzata, che la situazione di pesante incertezza che grava sull’esordio della presidenza Biden non permette di superare la polarizzazione in atto per molto tempo ancora. Il declino della qualità della democrazia in America compromette un rapido ritorno ai cardini della politica estera americana ed in modo particolare all’articolazione di interessi strategici che presuppongono una fattiva collaborazione con alleati e partners dell’America. Le convulsioni che ora turbano l’apparato militare degli Stati Uniti sono motivo di ulteriori profonde preoccupazioni. Spetta al presidente eletto Biden sconfiggere il populismo illiberale di Donald Trump. La maggioranza degli americani, e della comunità democratica all’esterno, lo spera ardentemente.
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