RAPPORTO CARITAS 2020
covid e crisi economica una povertà sempre più “normale”
di Sabrina Magnani su Rocca
Il dibattito accesissimo di queste settimane circa la gestione dell’emergenza Covid si è imperniato sul nodo salute pubblica/economia cercando di procedere salvaguardando il più possibile entrambi, cosa che si sta profilando difficilissima. D’atra parte tale procedere ha la sua motivazione nel cercare di evitare una situazione di crisi economica così accentuata da porsi come problema più grave dell’epidemia stessa. Si tratta di un nodo drammatico, che tutti i paesi del mondo stanno affrontando, e che nel nostro paese ha già mostrato il suo volto in occasione del lockdown della scorsa primavera. A quali scenari di povertà e difficoltà economica si sia giunti in quei mesi e a quali potremmo indirizzarci nuovamente lo mostra chiaramente il Rapporto sulla povertà ed esclusione sociale in Italia 2020 presentato in occasione della Giornata mondiale di contrasto alla povertà, il 17 ottobre scorso, che restituisce una fotografia dei gravi effetti economici e sociali dell’attuale crisi sanitaria legata alla pandemia da Covid-19, e offre una tendenza che potrebbe ripetersi nei prossimi mesi.
pre-Covid, tra povertà e ripresa
Una «bilancia» fragilissima.
Nell’Italia pre-Covid i poveri assoluti risultavano 4,6 milioni, pari al 7,7% della popolazione (nel 2018 l’incidenza si attestava
all’8,4%), complessivamente 1,7 milioni di famiglie che corrispondono al 6,4% dei nuclei familiari (7,0% nel 2018). Rispetto al 2018, dunque, la povertà assoluta era calata – anche se con livelli ancora molto alti rispetto agli anni antecedenti – grazie alle misure di contrasto alla povertà messe in campo a livello governativo e alla cosidetta «ripresina» economica dopo la crisi economica del 2008. Più vulnerabili erano sempre le famiglie del Mezzogiorno, le famiglie numerose con 5 o più componenti, le famiglie con figli minori, i nuclei di stranieri (tra loro l’incidenza è pari al 24,4% a fronte del 4,9% tra le famiglie di soli italiani) e le persone meno istruite. Continua inoltre la correlazione negativa tra incidenza della povertà e età della persona di riferimento, decretando i nuclei degli under 34 come i più svantaggiati, che presentavano un’incidenza della povertà pari all’8,9%, mentre tra gli over 65 era pari al 5,1%, mentre molto alto era il peso della povertà tra i minori, che coinvolgeva l’11,4%, per un totale in valore assoluto di oltre 1,1 milioni bambini e ragazzi in stato di povertà.
Si tratta, evidentemente, di una situazione di grande fragilità, con una ampia fascia di popolazione che già prima della pandemia mostrava difficoltà evidenti, in un contesto, tipicamente italiano, connotato da uno de- gli indici di disuguaglianza tra i più alti e di mobilità sociale tra i più bassi d’Europa, una bilancia costantemente in bilico verso il basso, che il lockdown ha ulteriormente inclinato sfavorevolmente facendo scivolare nella povertà una parte della popolazione che a fatica riusciva a stare sui margini. Analizzando il periodo maggio-settembre del 2019 e confrontandolo con lo stesso periodo del 2020 emerge che da un anno all’altro l’incidenza dei «nuovi poveri» passa dal 31% al 45%: quasi una persona su due che si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Aumenta in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, dei nuclei di italiani che risultano in maggioranza (52% rispetto al 47,9% del- lo scorso anno) e delle persone in età lavorativa; cala di contro la grave marginalità. A fare la differenza, tuttavia, rispetto allo shock economico del 2008 è il punto dal quale si parte, giacchè nell’Italia del pre-pandemia il numero di poveri assoluti era più che doppio rispetto al 2007. Secondo i dati pubblicati da Banca d’Italia, nei mesi di aprile e maggio, vi è stata una riduzione di reddito per la metà delle famiglie italiane, anche tenendo conto degli eventuali strumenti di sostegno ricevuti; e per il 15% del campione il calo è stato di oltre la metà del reddito complessivo.
L’impatto è più negativo tra i lavoratori indipendenti: quasi l’80% ha subito un calo nel reddito e per il 36% la caduta è di oltre la metà del reddito familiare. Oltre a un diffuso calo nei redditi, più di un terzo degli individui ha dichiarato di disporre di risorse finanziarie liquide sufficienti per meno di 3 mesi a coprire le spese per con- sumi essenziali. Questa quota supera il 50 per cento per i disoccupati e per i lavoratori dipendenti con contratto a termine.
i tre mesi di lockdown nuovi disagi e nuove criticità
In tre mesi (marzo-maggio) la rete Caritas ha registrato un forte incremento del numero di persone sostenute a livello diocesano e parrocchiale, con un aumento complessivo del 12,7% di chi ha chiesto un aiuto: complessivamente si parla di circa 450mila persone. Tra i beneficiari circa il 30% è rappresentato dai cosiddetti «nuovi poveri», che per la prima volta hanno sperimentato condizioni di disagio e di deprivazione economica tali da dover chiedere aiuto. Tra gli assistiti nel periodo marzo-maggio prevalgono i disoccupati, le persone con impiego irregolare fermo a causa delle restrizioni imposte dal lockdown, i lavoratori dipendenti in attesa della cassa integrazione ordinaria o in deroga e i lavoratori precari o intermittenti che, al momento della presa in carico, non godevano di ammortizzatori sociali.
Il disagio ha mostrato anche fenomeni nuovi, come ad esempio le difficoltà di alcune famiglie rispetto alla didattica a distanza, manifestate nell’impossibilità di poter accedere alla strumentazione adeguata (tablet, pc, connessioni wi-fi). Colpiscono, poi, i numerosi alert delle Caritas inerenti la dimensione psicologica: si rileva un evidente aumento durante il lockdown del «disagio psicologico-relazionale», di problemi connessi alla «solitudine» e di forme depressive. I territori sottolineano anche un accentuarsi delle problematiche familiari, in termini di conflittualità di coppia, violenza, difficoltà di accudimento di bambini piccoli o di familiari colpiti dalla disabilità, conflittualità genitori-figli. Preoccupa, infine, anche il fenomeno della «rinuncia o il rinvio di cure e assistenza sanitaria», determinato dal blocco dell’assistenza specialistica ordinaria e di prevenzione che potrebbe deter- minare in futuro un effetto di onda lunga sul piano del carico assistenziale e del profilo epidemiologico del nostro paese.
A fronte di uno spettro di fenomeni così vasto e inedito, le Caritas hanno evidenziato una grande capacità di adattamento, mettendo in atto risposte innovative e diversificate, mai sperimentate in precedenza. Una vivacità di iniziative e opere realizzate anche grazie all’azione di circa 62mila volontari, a partire dai giovani impegnati nel Servizio Civile Universale. Sono 19.087 gli over 65 che si sono dovuti fermare per ragioni di sicurezza sanitaria e 5.339 le nuove leve (under 34), attivate in questo tempo di emergenza. Sono stati mantenuti i «centri di ascolto» con forme anche telefoniche nel periodo di chiusura e poi di nuovo in presenza non appena è stato possibile. Preziosa è stata l’attività sul fronte dell’accompagnamento e orientamento rispetto alle misure previste dal Decreto «Cura Italia» e «Decreto Rilancio»; che ha permesso a numerose persone e famiglie in difficoltà di poter accedere a tali sostegni pubblici (l’83% delle diocesi ha svolto questa specifica attività). Circa l’ambito del lavoro, in particolare quello della sofferenza sperimentata da tanti piccoli commercianti e lavoratori autonomi, le Caritas diocesane hanno erogato sostegni economici specifici, in ben 136 diocesi sono stati attivati fondi dedicati, utili a sostenere le spese più urgenti (affitto degli immobili, rate del mutuo, utenze, acquisti utili alla ripartenza dell’attività, ecc.). Complessivamente sono stati 2.073 i piccoli commercianti/lavoratori autonomi accompagnati in questo tempo.
Caritas Italiana ha anche esaminato il funzionamento delle misure emergenziali disposte dal governo in particolare di quelle volte a sostenere i redditi di famiglie e lavoratori, anche per individuare i difetti e le criticità da evitare in futuro. Da una rilevazione ad hoc condotta su un campione di 756 nuclei beneficiari dei servizi Caritas nei mesi di giugno-luglio 2020, il Rem (Reddito di emergenza) è risultata la misura più richiesta (26,3%) ma con un tasso di accettazione delle domande più basso (30,2%) rispetto alla indennità per lavoratori domestici (61,9%), al bonus per i lavoratori stagionali (58,3%) e al bonus per i lavoratori flessibili (53,8%). Il Rem è stato fruito prevalentemente da nuclei composti da adulti over 50, soprattutto single e monogenitori con figli maggiorenni, con un reddito fino a 800 euro e bassi tassi di attività lavorativa. Si tratta di un profilo del tutto sovrapponibile a quello di coloro che percepiscono il Reddito di cittadinanza (32,5%) all’interno dello stesso campione intervistato: questo dice che tra le due misure, rispetto alle caratteristiche dei beneficiari, vi sia sovrapposizione piuttosto che compensazione.
una povertà strutturale, mutevole e multiforme
Quello che il Covid-19 ha messo in evidenza è il carattere mutevole della povertà e stiamo ora entrando in una nuova fase nel nostro Paese. Si tratta di una povertà sempre più cronica, multidimensionale, legata a vissuti complessi che richiedevano percorsi di accompagnamento anche molto lunghi.
Se si collega tale constatazione, che emerge da un’azione costante e articolata territorialmente come quello delle Caritas, ai dati sui processi di disagio registrati anche da altri fonti (Istat, Banca d’Italia) e che evidenziano il maggiore peso degli italiani sulla popolazione in difficoltà, con un aumento dell’incidenza dei giovani tra i 18 e i 34 anni, un innalzamento della quota di coniugati, delle famiglie con figli e delle famiglie con minori, si intravede dunque l’ipotesi di una nuova fase di «normalizzazione» della povertà che si innesta tuttavia su un fenomeno già di per sé normalizzato. Occorre, dunque, suggerisce il Rapporto, istituire strumenti di analisi e di intervento adeguati al mutato contesto, realizzare analisi di lungo periodo per monitorare come cambiano le condizioni di vita delle persone in povertà e come su di esse incidano le misure pubbliche, concepire le misure nazionali di contrasto alla povertà come un «work in progress», che, a partire da un attento e sistematico lavoro di monitoraggio, vengano periodicamente «aggiustate» per poter adeguarsi e meglio rispondere alle trasformazioni in corso. In definitiva, come dice papa Francesco, occorre «lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi» (3 ottobre 2020). Solo in questo modo si potranno fornire elementi a partire dai quali proiettarsi in un futuro di concreto cambiamento.
Sabrina Magnani
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GLI ANTICORPI DELLA SOLIDARIETÀ
RAPPORTO 2020 SU POVERTÀ
ED ESCLUSIONE SOCIALE IN ITALIA
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