SALARIO MINIMO, si muove l’UE
Mercoledì 20 ottobre 2010
Il ruolo del reddito minimo nella lotta contro la povertà e nella promozione di una società inclusiva in Europa. Risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010 sul ruolo del reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa (2010/2039(INI))
GIOVANNI MARIA DEL RE su Avvenire 29 ottobre 2020
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Bruxelles
Un salario minimo dignitoso per tutti i lavoratori. Come obiettivo, la Commissione Europea punta in alto con la proposta presentata ieri dal vice presidente Valdis Dombrovksis e dal responsabile per l’Occupazione Nicolas Schmit. Una proposta di direttiva, dunque un testo giuridicamente vincolante da trasporre – se gli Stati membri e il Parlamento Europeo l’approveranno – nella normativa nazionale. «Quasi il 10% dei lavoratori (9,4% nel 2018 dall’8,3% del 2007 ndr) nell’Ue vive in povertà – spiega Schmit -. Questo deve cambiare». «Con questa proposta – dice anche Dombrovskis – vogliamo far sì che i lavoratori nell’Ue possano avere stipendi dignitosi ovunque vivano».
Se l’obiettivo è ambizioso, la Commissione deve fare i conti con il Trattato: le norme e i livelli salariali sono di stretta competenza nazionale. Per questo Bruxelles deve rifarsi all’articolo 153 che dà all’Ue competenze per le condizioni di lavoro. Chiari limiti giuridici che spiegano perché la proposta di direttiva non preveda alcun obbligo per gli Stati membri a cambiare i loro sistemi salariali. Sei Paesi (Italia, Danimarca, Finlandia, Svezia, Austria e Cipro) non hanno un salario minimo fissato per legge, il livello è invece stabilito attraverso i contratti collettivi. E così rimarrà a meno che, come ha fatto la Germania nel 2015, uno Stato membro non decida autonomamente di adottare una legge sul salario minimo. Oggi sono 21 i Paesi Ue che hanno una normativa in materia.
Ironicamente, secondo la Commissione i lavoratori sono trattati meglio dove non esiste il salario minimo di legge: questi Paesi «tendono ad avere una inferiore quota di lavoratori a bassa retribuzione, una minore diseguaglianza salariale e salari minimi più elevati». Questo perché in genere in questi Paesi
un’ampia quota di lavoratori (oltre il 70%, salvo Cipro che è sotto il 50%) è coperta dai contratti collettivi. E infatti l’occhio della Commissione è puntato soprattutto sui 21 che la legge ce l’hanno, ma che nella maggior parte dei casi registrano una quota bassa di lavoratori coperti dai contratti collettivi (oltre spesso a irrisori salari minimi di legge): la proposta di direttiva prevede che debbano aumentarla ad almeno il 70% del totale. Come, starà agli Stati deciderlo, d’intesa con le parti sociali.
Per il resto si chiede agli Stati membri di rafforzare il monitoraggio per assicurare che il salario minimo fissati nei contratti collettivi o dalla legge sia rispettato. In particolare i Paesi con un salario minimo di legge dovranno avere «criteri stabili e chiari» per stabilirli, con «aggiornamenti regolari e tempestivi », nonché «valori di riferimento indicativi». Oltre a questo gli Stati dovranno ridurre al minimo eccezioni o deroghe, assicurare un «coinvolgimento efficace delle parti sociali» al momento di stabilire i salari minimi di legge. La Commissione rinuncia a chiedere quella che è comunemente considerata la soglia minima perché un salario sia ancora dignitoso: il 60% della retribuzione mediana (e cioè a metà tra le cifre più alte e quelle più basse) e/o il 50% della media matematica dei salari. L’unica cosa che chiede il testo è che gli Stati «definiscano criteri chiari e stabili per valutare l’adeguatezza dei salari minimi», come il potere d’acquisto o il livello medio dei salari. La Commissione monitorerà, gli Stati membri dovranno inviarle annualmente tutti i dati rilevanti.
Probabilmente Bruxelles di più, vista la base legale, non poteva fare, ma inevitabilmente non sono pochi i delusi. «La proposta – lamenta Daniela Rondinelli, europarlamentare M5S – non obbliga gli Stati membri a introdurre una base minima legale di salario minimo e questo significa non tutelare i lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva». «Con la proposta della Commissione commenta
anche l’europarlamentare verde Mounir Satouri – potranno ancora esserci lavoratori pagati due euro l’ora in modo del tutto legale». Furibondo, ma per opposte ragioni, anche Markus Beyrer, direttore generale di BusinessEurope, che riunisce le confederazioni industriali, che rifiuta «una contrattazione collettiva quasi obbligatoria imposta dalle pubbliche autorità». Scettici pure vari Stati, tra cui anzitutto i nordici che non vogliono intromissioni Ue in materia. Per la Commissione sarà una battaglia difficile.
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Nel testo presentato dalla Commissione si chiede agli Stati di controllare che i minimi salariali (nazionali o previsti dai contratti) siano sempre rispettati Oggi nei Paesi che non hanno salari minimi c’è però meno diseguaglianza
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