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Fratelli tutti: «La vita è l’arte dell’incontro». Facciamo crescere la cultura dell’incontro

di Franco Meloni

Nello scrivere dell’enciclica provo un certo ritegno perché sintetizzarne i concetti rischia di guastarne la chiarezza e diminuirne la forza comunicativa. Per evitare entrambi ricorro alla tecnica della “virgolettatura”, soffermandomi su pochi passaggi che mi piace mettere in evidenza. Formulo comunque l’invito a leggerla per intero, e poi a rileggerla per singoli argomenti, anche senza seguire l’ordine originario.
Intanto rammento gli intendimenti del Papa: “Consegno questa Enciclica sociale come un umile apporto alla riflessione affinché [...] siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole. Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane [...] ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà”. Ecco: tre parole fondamentali, avvolte dal sogno che ne rafforza la suggestione: fraternità, amicizia sociale, dialogo. E ancora, i destinatari: «tutte le persone di buona volontà», come è consuetudine dei Papi, da Giovanni XXIII (Pacem in terris, 1963) in poi. Perfino nel porgere la parabola del buon Samaritano il Papa ci tiene a dire: “benché questa Lettera sia rivolta a tutte le persone di buona volontà, al di là delle loro convinzioni religiose, la parabola si esprime in modo tale che chiunque di noi può lasciarsene interpellare”.
Riflettiamo sul racconto evangelico, condividendo le parole di Raniero La Valle: «la figura emblematica che fa l’identità di questa enciclica, […] è quella del Samaritano, che ci pone di fronte a una scelta stringente: davanti all’uomo ferito [...] ci sono solo tre possibilità: o noi siamo i briganti, e come tali armiamo la società dell’esclusione e dell’iniquità, o siamo quelli dell’indifferenza che passano oltre immersi nelle loro faccende e nelle loro religioni, o riconosciamo l’uomo caduto e ci facciamo carico del suo dolore: e dobbiamo farlo non solo con il nostro amore privato, ma col nostro amore politico, perché dobbiamo pure far sì che ci sia una locanda a cui affidare la vittima, e istituzioni che giungano là dove il denaro non compra e il mercato non arriva».
Il Papa nel riprendere i tre grandi valori della Rivoluzione Francese, «Libertà, uguaglianza e fraternità», esamina le relazioni di quest’ultimo con gli altri due: “La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. [...] ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore. Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che «tutti gli esseri umani sono uguali», bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità”.
Il valore della fraternità è stato sottovalutato nel tempo, da tutti. Forse solo gli artisti lo hanno sempre valorizzato. Un esempio lo fornisce lo stesso Papa quando nell’enciclica cita un verso della canzone Samba delle Benedizioni di Vinicius de Moraes, che rende magnificamente l’invito a far crescere una cultura dell’incontro: «La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita». E prosegue: “È uno stile di vita che tende a formare quel poliedro che ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono un’unità ricca di sfumature, perché «il tutto è superiore alla parte». Il poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda [...]. Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo”.
Un’altra parola fondamentale utilizzata dal Papa è dialogo, connesso all’impegno per la «cultura dell’incontro». Al riguardo merita evidenziare come nell’enciclica citi il suo discorso tenuto a Cagliari al “mondo della cultura” (22/9/2013): “L’isolamento e la chiusura in se stessi o nei propri interessi non sono mai la via per ridare speranza e operare un rinnovamento, ma è la vicinanza, è la cultura dell’incontro. L’isolamento, no; vicinanza, sì. Cultura dello scontro, no; cultura dell’incontro, sì”.
E, allora, fratelli e sorelle: l’enciclica non lascia spazio alla rassegnazione e all’indifferenza, ci obbliga, credenti e non credenti, a un impegno concreto per la fratellanza e l’amicizia sociale nel mondo che abitiamo.

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