Migranti
Un gruppo di cristiani impegnati per i Diritti Umani e la Solidarietà Universale scrivono una lettera-appello all’Arcivescovo di Cagliari sulla tragica situazione dei migranti rinchiusi presso le strutture denominate CPR (Centro Permanenza e Rimpatrio), di cui una presente anche in Sardegna, a Macomer.
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Lettera aperta
ALL’ARCIVESCOVO DI CAGLIARI
MONSIGNOR GIUSEPPE BATURI
P.ZZA PALAZZO 4 – CAGLIARI (CA)
Caro Monsignor Giuseppe,
Come cristiani impegnati per i Diritti Umani e la Solidarietà Universale, vorremmo porre alla sua attenzione la tragica e nascosta situazione dei migranti rinchiusi presso le strutture denominate CPR (Centro Permanenza e Rimpatrio), di cui una presente anche in Sardegna, situata in località Bonu Trau, Macomer.
Ci permettiamo di dare una breve descrizione di questi terribili posti:
CHE COS’È UN CPR?
Noti precedentemente come Cpt (Centri di permanenza temporanea) e successivamente come Cie (Centri di identificazione ed espulsione), i Cpr (Centri di permanenza per il rimpatrio) fanno parte della rete di strutture usate per identificare e deportare dal territorio italiano i “migranti irregolari”, ovvero le persone straniere non dotate di un permesso di soggiorno valido.
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CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) è l’ultimo dei tanti nomi (CPTA, CPT, CIE) dati alle strutture detentive per migranti cosiddetti irregolari, istituite nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano.
Con il decreto Minniti-Orlando 13/2017 (poi Legge 46/2017) è stata prevista l’apertura di un CPR per regione.
Per l’occasione in Sardegna è stato in parte ristrutturato e aperto come CPR l’ex carcere di Bonu Trau, a Macomer, con una capienza massima, sulla carta, di 100 migranti.
FUNZIONE DEI CPR
Ufficialmente, il CPR è un luogo di detenzione amministrativa in cui sono recluse persone non comunitarie prive di documenti regolari, o già destinatarie di un provvedimento di espulsione, in quanto prive di permesso di soggiorno perché scaduto o perso.
Il trattenimento, secondo la Minniti-Orlando, poteva durare fino a 90 giorni, che diventavano 120 giorni se la persona era già stata detenuta in carcere; adesso, con il decreto sicurezza Salvini il trattenimento diventa di 180 giorni, venendosi a creare dunque una situazione nella quale un migrante può essere detenuto per mesi pur non avendo commesso alcun reato.
Scopo di questi lager è quindi di garantire l’effettivo rimpatrio nel Paese d’origine di chi, secondo la legge, non ha diritto a stare in Italia!
Un abominio inaccettabile per noi ma soprattutto per coloro che, dopo essersi giocate/i la vita per attraversare le frontiere, si ritrovano rinchiuse/i e respinte/i. E infatti numerosi sono i casi di scioperi della fame, autolesionismo e rivolte avvenuti nei CPR per evitare il rimpatrio.
I CPR, ad oggi, sono innanzitutto un elemento di propaganda, un prodotto della logica che fa dell’immigrazione un problema di sicurezza e ordine pubblico. Servono a far credere che “abbiamo un problema e lo stiamo risolvendo”. Tutto ciò sulla pelle delle persone che ci finiscono dentro.
Essi creano una zona grigia in cui trovano spazio arbitrarietà, abusi e violenze di tutti i tipi, come ampiamente testimoniato nel corso degli anni da chi ci è passata/o e da chi si è opposta/o alla loro esistenza.
LE CONDIZIONI DI ESISTENZA DEI CPR
In Italia oggi quasi non esistono canali d’ingresso legali e sicuri sul territorio per i migranti. Ciò avviene per una precisa volontà politica che affronta l’immigrazione come un problema da cui difendersi, negando alle persone considerate indesiderabili la possibilità di spostarsi e cambiare le proprie condizioni di vita.
La richiesta di asilo politico è praticamente l’unico modo per poter soggiornare legalmente sul territorio italiano, se si proviene dalla fascia non ricca di un Paese “non gradito”. Non è possibile ottenere permessi per ricerca di lavoro, e quelli per studio o ricongiungimento familiare vengono concessi col contagocce. Al tempo stesso, anche il diritto d’asilo subisce pesanti attacchi, sotto forma di respingimenti illegali alle frontiere.
Ma è proprio l’esistenza di confini chiusi che genera i problemi che la propaganda governativa dice di prevenire: la mancanza di canali d’ingresso costringe le persone a migrare illegalmente.
Dovremmo chiederci piuttosto cosa sta portando queste persone a migrare. Dovremmo riconoscere le enormi responsabilità delle potenze occidentali nelle politiche e nelle condizioni di vita dei Paesi africani, sfruttati economicamente ed energeticamente.
La detenzione nei Cpr, inoltre, è da ritenersi priva di basi legali durante il periodo di emergenza Covid essendo stata sospesa la mobilità internazionale e dunque la possibilità di effettuare rimpatri; la detenzione nei Cpr è infatti esclusivamente propedeutica al rimpatrio e se questo non è possibile ogni trattenimento deve essere ritenuto illegittimo. Nei Cpr continuano ad esserci nuovi ingressi nonostante persista il blocco dei rimpatri.
Si tratta non di numeri ma di persone vulnerabili: tra queste persone c’è chi ha perso in mare il proprio figlio, familiare o amico, o chi scappa da guerra o povertà estrema, o ha subito nel paese natio o durante il tragitto migratorio torture o trattamenti inumani o degradanti.
Ci si viene dunque a trovare in una situazione nella quale la nuova identità di ‘migrante’ che viene data allo straniero può portare talvolta ad essere destinatari di un ‘diritto minore’, di un trattamento spesso non rispettoso degli standard previsti dalle Convenzioni internazionali, oltre che della dignità di persone portatrici di diritti umani.
Quella dei Cpr, infatti, è una realtà in cui la libertà di comunicazione con l’esterno è da sempre oggetto di restrizioni di ogni sorta, resa ancora più difficile negli ultimi due anni, prima con l’impedimento a utilizzare telefonini personali provvisti di telecamere e poi telefonini personali di qualsiasi tipo.
Nel Cpr di Macomer, si sarebbero verificati anche casi di lesioni, aggressioni, episodi di autolesionismo e almeno un tentativo di suicidio. Uno tra tutti, il caso di un ragazzo del Benin che ha deciso di gettarsi dal muro alto 5 metri del centro dopo che il Giudice di Pace aveva deciso, per l’ennesima volta, di prorogare per altri 30 giorni il suo trattenimento nel Cpr, nonostante il suo legale avesse prodotto la documentazione necessaria a dimostrare il suo radicamento sul territorio sardo. Ed è nella medesima struttura che il 20 giugno, Giornata mondiale del rifugiato, un ragazzo marocchino, a seguito di maltrattamenti, abbia deciso di non mangiare più cucendosi la bocca; ne sono risultati scioperi della fame e proteste, unici mezzi per i trattenuti per far arrivare la propria voce al di là del perimetro del centro.
Anche nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) l’attenzione nei confronti della pandemia è arrivata tardi. Se infatti il lockdown in alcune regioni italiane è iniziato già a febbraio, l’attenzione per questi centri è stata scarsa nella fase iniziale dell’emergenza sanitaria.
Tutto questo ci sembra in evidente contrasto con i sommi principi evangelici dell’accoglienza del forestiero, come ci è stata trasmessa dalla Tradizione ebraico-cristiana. Gli esempi nella Bibbia sono tantissimi, ne citiamo solo alcuni:
Esodo 22,20: ricorda come il Popolo eletto non deve opprimere il forestiero,in quanto esso stesso è stato “straniero” in terra d’Egitto;
Deuteronomio 1,17-19: riporta il comandamento di amare lo straniero perché Dio nei suoi giudizi non usa parzialità, ma “rende giustizia all’orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito”. Orfano, vedova e immigrato (in ebraico gher , straniero che abita nel territorio d’israele) sono le categorie sociali più deboli e bisognose, di cui bisogna prendersi cura;
Levitico 19, 33-34: rafforza il comando espresso dal Deuteronomio, assimilando al nativo l’immigrato, che non deve essere sfruttato: “Quando si troverà a dimorare con te un straniero nel vostro paese voi non vi approfitterete di lui: come un nativo dei vostri sarà per voi lo straniero che dimora con voi; tu l’amerai come te stesso, poiché foste stranieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore vostro Dio”.
E nel Nuovo Testamento, come non citare il capitolo 25 del Vangelo di Matteo, e la la parabola del buon Samaritano (Luca 10,25-37)? Tra le opere di misericordia corporali sulle quali avverrà il giudizio finale, come dare da mangiare e da bere gli affamati e gli assettati, vestire gli ignudi, visitare gli ammalati e i carcerati, c’è anche l’accoglienza dello straniero.
La parabola del buon samaritano ci ricorda che l’amore verso il prossimo, la carità cristiana, il carisma più grande come ci insegna San Paolo (1^ Corinzi 13 ), deve essere agita verso tutti, quindi pure verso lo straniero. Il Samaritano della parabola, disprezzato e considerato nemico, dal popolo ebraico, non ha esitato a soccorrere un ebreo ferito; in questo modo, superando le barriere razziali e religiose, “si è fatto prossimo” (vedi Luca 10,36).
In conformità agli inviti del Santo Padre, e al suo ultimo forte richiamo alla responsabilità espresso nell’Angelus del 23 agosto: “Il Signore ci chiederà conto di tutti i migranti caduti nei viaggi della speranza. Sono stati vittime della cultura dello scarto”.
“Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo”.
“Sogno un’Europa, in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano”.
“Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti”. Sono queste le parole del Santo Padre durante il suo intervento in occasione del premio Carlo Magno conferitogli il 5 maggio 2016 dall’Unione Europea, il suo sogno di “un costante cammino di umanizzazione” in un’Europa “capace di essere ancora madre”.
Vista l’inumana situazione dei detenuti dei CPR e del CPR di Macomer in particolare, in cui la dignità dell’essere umano è lesa nei suoi più elementari diritti, quali l’impossibilità di sentire la propria famiglia; isolamento senza adeguata assistenza sanitaria (già precaria con abbondante distribuzione di soli psicofarmaci e casi di Tso arbitrari) e legale; così come impossibilità di portare beni di prima necessità dall’esterno, chiediamo alla Chiesa di Cagliari e della Sardegna tutta di prendere una posizione chiara, e di condanna su questa tragedia sconosciuta, a favore dei Diritti umani fondamentali, violati nei confronti di questi fratelli più vulnerabili e soli.
Cagliari, 17 settembre 2020
Lettera firmata
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