Referendum (e Elezioni): in Italia e in Sardegna rivelano un deficit di democrazia

di Franco Meloni
Abbiamo sott’occhio i risultati del Referendum:
schermata-2020-09-22-alle-09-19-49 in Italia il SI ha stravinto con quasi il 70% dei consensi, lasciando al NO il resto. Meglio per il NO – che abbiamo sostenuto – in Sardegna, schermata-2020-09-22-alle-09-18-35 dove il Si totalizza il 67%, lasciando al No il 33%. Un positivo differenziale di circa 3 punti tra il dato italiano e quello sardo che in certa misura ci annettiamo (forse presuntuosamente) per il nostro impegno militante a sostegno del NO. Per come si era partiti, il risultato sembrava scontato: con tutte le forze politiche schierate per il SI, nonostante qualche dissenso, e, soprattutto, stante il quesito referendario che incitava gli elettori a dare una bastonata ai politici, a prescindere, anzi, contro ogni ragionamento sul fatto che la classe politica non avrebbe mai e poi mai consentito un suo ridimensionamento in termini di potere. Ciò che avrebbe perduto in numerosità avrebbe ricuperato in potere effettivo con il rafforzamento delle oligarchie di partito. Non ripeto le argomentazioni per il NO che sopravanzavano, come sopravanzano, quelle per il SI, quand’anche sostenute da eminenti giuristi come Zagrebelsky, Onida, Carlassare, ed altri. I risultati danno conto che non ci poteva aspettare alcun miracolo e dunque da questi occorre ripartire, anche riconoscendo che il 30%, pari a oltre 7 milioni e 400mila voti è comunque un numero enorme anche quando confrontato con i 17 milioni dei SI. Uguali considerazioni facciamo per i numeri sardi. Vedremo ora cosa succederà: riforma elettorale in senso proporzionale e dintorni. Non staremo certo a guardare.
Sempre molto preoccupante il dato di affluenza: in Italia pari al 53,84% e, in Sardegna, più basso ancora, pari infatti al 35,71%. Certo occorre considerare che in Italia la contemporaneità di importanti elezioni amministrative in sette regioni Regioni e molti Comuni (Election day) hanno fatto da traino per incrementare il dato di affluenza, comunque basso.

In Italia
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In Sardegna
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Se la DEMOCRAZIA è PARTECIPAZIONE non possiamo che constatare come in Sardegna e nel resto d’Italia si verifichi un pericoloso DEFICIT di DEMOCRAZIA. Non possiamo solo prenderne atto: dobbiamo impegnarci in direzione ostinata e contraria, come e di più rispetto a quanto già facciamo individualmente e organizzati.

Ribadisco solo alcune semplici conclusioni: 1) resto convinto che tagliare il numero dei parlamentari sia sbagliato e fondamentalmente antidemocratico, per tutte le argomentazioni più volte avanzate; 2) non possiamo accettare lo status quo; urge una reimpostazione delle forme della rappresentanza politica a partire dalla democratizzazione dei partiti e, come detto, dalla riforma dei sistemi elettorali in chiave proporzionale. È un discorso complesso ma va continuato. E nel nostro piccolo, anche attraverso le News che animiamo, continueremo a farlo, impegnati, secondo le nostre inossidabili convinzioni, per la democrazia, che si esprime con la partecipazione popolare nelle istituzioni e nel territorio.

Ad altri lasciamo considerazioni più vaste anche rispetto ai risultati delle elezioni regionali, comunali e politiche suppletive.

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* I dati (definitivi) sono tratti dal sito web del Ministero dell’Interno.

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coordinamento
Referendum: vince il SI. Apriamo una stagione per l’attuazione della Costituzione
21 Settembre 2020
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.

In cuor mio ho sperato fino all’ultimo nella vittoria del NO. Ma tanti erano i segnali di segno contrario. Lasciamo da parte i cosiddetti partiti, che contano poco o niente, c’erano altri fattori ben più rivelatori degli orientamenti generali. Anzitutto una parte del costituzionalismo alto si è espresso per il SI. Zagrebelsky, Carlassare, l’ex presidente della Corte costituzionale Onida ed altri hanno benedetto il taglio, mentre in passato sono stati la punta di diamante del NO. Questo mutato orientamento ha convinto l’elettorato democratico che la riduzione del numero dei parlamentari non è fonte di pericoli sul piano democratico. La revisione poi si configurava come un emendamento specifico non come una modifica pervasiva della Carta. Ancora sia il PCI sia due eminenti giuristi democratici come Stefano Rodotà e Gianno Ferrara avevano begli anni ‘80, quali esponenti della “Sinistra indipendente”, presentato una proposta di legge simile a questa con l’aggiunta dell’introduione del monocameralismo. Un ruolo lo ha giocato anche Conte, tenendosi in disparte, mentre Berlusconi e Renzi si erano proposti come i presentatori del progetti del 2006 e del 2016. Anche questo ha eliminato la paura di una riforma dall’alto in chiave autocratica.
Questa analisi nulla toglie alla giustezza delle ragioni del NO, ma occorre guardare avanti. C’è un parlamento più efficiente? Bene apriamo allora la stagione dell’attuazione della Carta: in essa e nei suoi principi c’è un programma di governo per più legislature: lavoro, diritti individuali e sociali (sanità e scuola anzitutto), e uguaglianza, uguaglianza e ancora uguaglianza. Subito una legge elettorale proporzionale.
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Questo è il fronte che il Coordinamento per la democrazia costituzionale aprirà su scala nazionale e su cui anche noi come Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria (CoStat) di Cagliari ci impegneremo con decisione. Su questo programma può anche ricomporsi il fronte progressista diviso fra NO e SI.
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Che brutto risvegliarsi in un’Italia con meno democrazia
Tomaso Montanari analizza i risultati elettorali. Dalla tristezza di un risveglio in un’Italia meno plurale e con il conflitto sociale istradato nelle istituzioni, alla consapevolezza dell’inesistenza di una sinistra capace di portare al voto gli esclusi, i marginali, i poveri. “Occorre battere strade più lontane, più impervie”.

di Tomaso Montanari su MicroMega.

Il giorno dopo queste strane elezioni pandemiche ci siamo svegliati con meno democrazia. Mi pare questa la cifra dominante: almeno se con ‘democrazia’ intendiamo pluralità, rappresentanza, istradamento del conflitto sociale nelle istituzioni. Decenni di plebiscitarismo, maggioritarismo, riduzione quantitativa e qualitativa della rappresentanza danno i loro frutti: in Veneto e in Campania siamo al dominio personale, al di là di ogni partito; in Liguria perde l’unico progetto in qualche modo progressivo; in Toscana trionfa una paura creata ad arte.

Sulla mia Toscana vorrei scrivere qualche parola in più. Mentre per fortuna muore nella sua stessa culla Italia Viva (4,48% mentre mancano ancora poche sezioni da scrutinare), Renzi trionfa nella sadica imposizione al Pd di Eugenio Giani, un candidato di apparato, anzi di corridoio. Del tutto incapace di parlare di futuro, del tutto alieno da ogni idea di sinistra. Come ho continuato (inutilmente) a scrivere fino a ieri, quel candidato inguardabile era un candidato naturalmente vincente: perché capace di attrarre moltissimi voti dalla destra del potere, e insieme di ricattare (proprio per la sua apparente debolezza) gli elettori di sinistra attraverso la paura della destra popolare.

È andata puntualmente così: a urne aperte i toscani (specie quelli di sinistra-sinistra) hanno ricevuto decine di sms con sondaggi che davano la Ceccardi in vantaggio di dieci e passa punti (varie denunce sono state presentate), secondo una tecnica ampiamente sperimentata in Brasile, dove le campagne elettorali si decidono attraverso campagne mistificatorie via Whatsapp.

Conosco amici carissimi, e membri della mia stessa famiglia che, presi dal panico dei fascisti che arrivano in Piazza della Signoria, hanno votato per Giani, spesso senza riuscire a fare il voto disgiunto (risultano oltre quarantamila schede nulle), e trattenendo a stento i conati di vomito: salvo accorgersi, ieri pomeriggio, della truffa subìta. Il risultato è che la bella lista di Tommaso Fattori, Toscana a Sinistra, che nel 2015 aveva preso il 6,9 entrando in Consiglio regionale con due seggi, oggi con il 2,86 rimane fuori. E del resto dal Consiglio regionale toscano rimane fuori (secondo i dati attuali) ogni possibile sinistra: perché nella coalizione vincente eleggono consiglieri solo il Pd, la lista di Giani e Italia Viva, mentre i (peraltro risibili) cartelli ‘di sinistra’ creati ad hoc non superano lo sbarramento. Vincono dunque la paura, la credulità popolare e il cinismo di un sistema mediatico che, obbedendo a proprietà e poteri, all’unisono ha suonato l’allarme per l’inesistente pericolo fascista e invitato al salvifico voto per Giani, eliminando dalla narrazione qualunque altra lista.

Naturalmente, però, i problemi della sinistra sono più antichi e più profondi. Giani vince con i voti dei salvati, di coloro a cui conviene che tutto rimanga com’è: mentre il voto dei sommersi, dei poveri, degli esclusi (la base sociale naturale di ogni sinistra) rimane nell’astensione (il 37,3 per cento dei toscani non ha votato), o va (per disperazione e rabbia) alla Ceccardi, la candidata della Lega. Ma anche il 6,9 per cento di Toscana a Sinistra del 2015 veniva dai salvati: dai più generosi e illuminati dei salvati, che si impegnano nelle lotte per l’ambiente e per gli ultimi.

Stavolta sono stati terrorizzati, e si sono compattati per Giani, suicidando le loro idee. Ma è chiaro che, anche se avessero votato come nel 2015, il problema sarebbe stato lì, enorme: non esiste (in Toscana, in Italia, in Europa e forse nel mondo) una sinistra capace di portare al voto gli esclusi, i marginali, i poveri. E il sistema mediatico e quello elettorale, la forma stessa assunta dalle istituzioni, rende difficile o forse impossibile anche solo provare a costruirla.

E la vittoria del Sì (votata dal 69,64 per cento del 54,9 per cento che ha votato) prosciugando ancora l’acqua della rappresentanza popolare, aumentando l’oligarchia, restringendo lo spazio del dissenso, chiude un po’ di più quella porta già quasi serrata.

È sempre più evidente che la “Sinistra che non c’è” non nascerà in prossimità di elezioni e istituzioni. Occorre battere strade più lontane, più impervie.

(22 settembre 2020)

Approfondimenti
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I dati di Cagliari città
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