America, America
L’ELEZIONE DELLA PAURA
di Marino de Medici
“L’unica cosa che dobbiamo temere è la paura stessa”. E’ giustamente rimasta famosa questa frase che Franklin Delano Roosevelt pronunciò nel suo discorso inaugurale del 1933. Oggi, la paura torna a rappresentare un tema dominante a motivo della cinica campagna elettorale di un presidente che semina paura per essere rieletto. Nella nazione attanagliata dal tragico perdurare del virtuale us – che uccide novecento americani ogni giorno – e da una sconvolgente congiuntura economica – con un tasso di disoccupazione superiore al 10 per cento e trenta milioni di disoccupati con i sussidi di disoccupazione avviati a scadere – il presidente repubblicano si rivolge all’elettorato come se la pandemia fosse terminata e imputando la violenza in alcune città all’estremismo radical-socialista del candidato democratico Joseph Biden.
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Di fatto, la violenza a Kenosha era perpretata dalle milizie di Trump, arrivate in città da altre zone. Dei 175 arrestati durante gli incidenti 102 risultano residenti altrove. Erano arrivati a Kenosha in una carovana per attaccare i dimostranti che protestavano per l’ingiustificato ferimento di Jacob Black. Dalla carovana recante bandiere americane e vessilli col nome di Trump erano partiti nugoli di una sostanza irritante (pepper spray) scaricata contro i manifestanti. Il presidente applaudiva le sue milizie con un tweet che proclamava: “Grandi Patrioti!”
Poche ore dopo, Joe Biden finalmente usciva allo scoperto con un pesante attacco a Trump e alle sue milizie: “Il presidente – dichiarava – non puo’ fermare la violenza perché l’ha fomentata per anni”. Ad aggravare la situazione a Kenosha, dove ora vige il coprifuoco, ha contribuito una scellerata inserzione su Facebook da parte di un gruppo di miliziani che esortava i suoi membri armati a convergere su Kenosha. Il proprietario di Facebook, Mark Zuckerberg, ammetteva che il non aver soppresso immediatamente quell’inserzione era stato “un errore operativo”.
Donald Trump passerà alla storia non solo come il presidente che ha sconvolto le istituzioni e i valori della Repubblica, ma quello che ha seminato il caos invece di promuovere l’ordine pubblico e la causa dell’unità nazionale. L’accusa piu’ infamante che si può rivolgere a Trump resta comunque quella di non aver fatto fronte per tempo all’epidemia, sottovalutando il pericolo del virus e rifiutando il contributo della scienza medica, nonché promuovendo rimedi privi di efficacia se non addirittura risibili come il ricorso alla candeggina.
L’arma tutt’altro che segreta di Trump è quella di aizzare disordini civili, soprattutto nei centri amministrati da democratici, per distrarre l’attenzione dal perdurare dell’epidemia e dalla crisi economica. Meglio ancora per Trump se la situazione a Kenosha, Portland ed altre città dovesse farsi critica perché ciò gli permetterebbe di dislocare la guardia nazionale, una mossa che inevitabilmente accrescerebbe le tensioni. Queste sono destinate ad aumentare man mano che l’America, una nazione ormai polarizzata, si avvicina alle elezioni del 3 Novembre. Donald Trump gioca insomma una carta disperata contando su una statistica che fa testo: dal 1964 in poi, il candidato democratico non ha raccolto più del 52 per cento dei suffragi. Uno scarto minimo a favore di Trump è strettamente legato allo “swing vote”, il voto oscillante di cinque stati: Michigan, Ohio, Wisconsin, Pennsylvania e North Carolina. Il successo di Trump in uno solo di questi stati sarebbe sufficiente a creare una situazione di equivalenza nel computo del Collegio Elettorale, fondamentale nella strategia del presidente repubblicano. Negli Stati Uniti, infatti, il conteggio dei numeri di voto è irrilevante.
La strategia elettorale di Donald Trump incorpora un argomento che riguarda non solo il presente ma il futuro, quello che un’amministrazione Biden spingerebbe l’America in un completo disordine civile. Secondo questo argomento, gli attivisti democratici che commettono crimini terroristici nelle strade sono quelli che influenzeranno le decisioni e la scelta degli uomini di una eventuale amministrazione Biden.
Ed ancora, Biden e Kamala Harris “ignorano la sommossa, i saccheggi, la distruzione delle proprietà e le uccisioni commesse dai rivoltosi criminali del partito democratico”. Il motivo di questa requisitoria trumpiana e’ di instillare paura nella gente. Stando alla propaganda di Trump, la scelta che si pone agli elettori americani è tra un candidato che condurrà il paese alla rovina di stampo sinistrorso ed un presidente che per quanto moralmente criticabile assicura normalità ed il ritorno ad un’economia sfolgorante.
La paura intanto cresce, come il numero degli omicidi, dei saccheggi e vandalismi che turbano profondamente le città americane. Tutto questo avviene nell’America di Donald Trump. Quattro anni fa, Trump aveva promesso di riportare l’ordine nelle strade americane. Di fatto, le sue proposte di bilancio includevano tagli ai bilanci dei dipartimenti di polizia. Ma il presidente ha l’impudenza di affermare che Biden e i democratici vogliono tagliare i fondi per la polizia. Non solo, ma il Senato in mano ai repubblicani ha bloccato ogni tentativo di riforma delle forze di polizia. Per contro, non si può ignorare il fatto che dal Senato alle corti, dal Collegio Elettorale alle legislature conquistate con il vecchio metodo del “gerrymandering” (un’artificiosa ripartizione dei distretti elettorali volta a ridurre il peso delle minoranze) i repubblicani sono in una posizione di potere tale che un’ordinaria partecipazione al processo elettorale non sarà sufficiente per sloggiarli dai vertici della politica. Lo strumento di cui dispone Trump è ancora una volta il Collegio Elettorale, un meccanismo arcaico che premia gli stati rurali del Midwest e quelli sudisti.
In che senso agirà la paura che Trump sta disperamente tentando di iniettare come elemento di giudizio per gli elettori? Difficile dirlo anche se c’è da dubitare che sia un causale decisiva. Vero e’ che in questi frangenti di indecisi ce ne sono pochi. Tra l’altro, non ci sono neppure altri candidati presidenziali che per un’inezia possono influenzare un risultato. Due terzi dei sostenitori di Gary Johnson e Jill Stein, rispettivamente un “libertarian” e la portabandiera del partito verde, candidati nell’elezione del 2016, si sono detti favorevoli alla candidatura Biden. E’ una buona notizia per Joe ma la posta in gioco è tale che solo un vittoria di larga misura potrà neutralizzare la prevedibile contestazione di Donald Trump, con l’appiglio di un lento esasperante conteggio dei voti, in particolare quelli affidati alle poste.
In conclusione, l’America si avvia ad un finale in cui gli elettori dovanno scegliere tra il monito di Trump “nessuno sarà sicuro nell’America di Biden” in cui la “sinistra radicale” eliminerà i fondi per la polizia, e l’avvertimento di Joe Biden che la sicurezza della nazione è legata anche alla sanità pubblica e ad una stabile economia. Joe conta molto sul fatto che una maggioranza degli americani giudica negativamente il comportamento di Trump dinanzi al divampare della pandemia da virus. Ed infine, l’inchiesta di un comitato della Camera ha rivelato come durante l’estate l’amministrazione Trump ha deliberatamente occultato l’impatto del Covid-19 sulla salute pubblica per non compromettere la strategia di rielezione di Trump. Quanto tali giudizi negativi peseranno sul risultato elettorale è la grande incognita. Molto comunque dipenderà dalla risposta che gli americani daranno ad un domanda posta proprio da Biden: “Americani, chiedetevi questo: ho forse l’aspetto di un socialista radicale con sentimenti teneri per i rivoltosi?
Davvero?”. Agli elettori la sentenza.
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