Stravanati quegli anni! Racconti dell’associazione Toniolo di Stampace: ricordando Ignazio Cogotti

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IGNAZIO, IL PALLETTARO
di Gianni Loy

Ignazio era un pallettaro. Chiamavamo così quanti, nel ping pong, adottavano una tattica difensiva, si avventuravano raramente nella schiacciata limitandosi a rilanciare, ostinatamente, la pallina nel campo avversario.
Erano tempi di transizione tecnica. L’epoca dei campioni come Lucio Fais e di quanti, come lui, maneggiavano leggere racchette di legno ricoperte di gomma puntinata era tramontata. Quel gioco, rapidissimo, spesso in controbalzo, le schiacciate secche, avevano ormai lasciato il posto ai nuovi materiali
La gommapiuma, incollata tra il legno e la gomma, liscia in superficie, consentivano traiettorie fino ad allora sconosciute, altri effetti, imponevano nuovi stili di gioco. Non tutti uguali. In via Fara 4 vi era chi prediligeva giocare di dritto, alla continua ricerca della schiacciata conclusiva, come Alberto Giordano; vi era chi neppure sapeva cosa fosse il rovescio, come Mario Cogotti, che pur di colpire con il dritto, unico colpo che gli era congeniale, si spostava in continuazione fuori dal campo, alla sua sinistra, si quasi fuori dalla finestra. Il topspin si sarebbe affermato più tardi, con Alberto Melis, che però non era cresciuto in via Fara, come gli altri, che tutti i pomeriggi varcavano la porta d’ingresso al grido di “Cristo regni. Sfido!”. Saluto che, si dice, qualcuno pronunciava invertendo le due proposizioni: il profano prima del sacro.
Ignazio Cogotti era un pallettaro. Profittava dei nuovi effetti per rafforzare il proprio stile. La tecnica non gli faceva difetto, e neppure la pazienza che, semmai, finiva per difettare nell’avversario.
[segue] Eppure avevano deciso di ciacciarlo via; via dall’associazione e dalla parrocchia, insieme a tutta la sua famiglia, attivamente impegnata, soltanto perché si erano trasferiti di casa. Erano andati ad abitare in un quartiere allora in espansione, mi pare nella zona di Bonaria. Una politica inavveduta della diocesi pretendeva che chi si trasferiva in un nuovo quartiere dovesse abbandonare la propria parrocchia e smettere di frequentare le associazioni nelle quali era cresciuto; politica probabilmente finalizzata al sostegno delle parrocchie periferiche, nuove e, perciò, prive di storia.
Ricordo che, all’epoca, gli affetti e le passioni prevalevano sulle regole della toponomastica, anche di quella religiosa, che non erano pochi quelli che cercavano di resistere a quella sorta di trasferimento coatto.
ignazio-con-don-dino-a-romaIgnazio in quella associazione c’era nato. Ricordo che, quando potevamo avere 11 o 12 anni, già esploravamo il mondo grazie all’incredibile attivismo di don Dino Pittau. Quel giovanissimo assistente, come premio per qualcosa che non ricordo, probabilmente i risultati nelle gare di catechismo, una volta ci portò a visitare Roma. Attraversammo il mare in un piccolo piroscafo, incantati dai delfini e dai gabbiani che per lunghi tratti seguivano la scia della nave. Eravamo in tre, Ignazio, Giampaolo Marchi ed io.
Ignazio, a dispetto di tutto, ha proseguito lungo quell’esperienza anche quando la porta di via Fara è stata sbarrata, ha proseguito nello Jolly, ancora animato da Antonello Floris e ospitato, per qualche tempo, nelle pertinenze della chiesa di San Giacomo.
Probabilmente è stato proprio lì che ha cementato il rapporto con Antonello Floris, un’altra delle colonne che hanno supportato la straordinaria esperienza dello “squadrone della Toniolo”. Un gruppo di ragazzi svezzato con i “doni del popolo americano” e con i residuati della seconda guerra mondiale, che si è formato tra quella sede e la murialla, tra la sacrestia della chiesa e i campeggi estivi
Quando la porta di via Fara è stata chiusa, quei ragazzi si sono dispersi nella città o altrove. Sono rimasti così, per lungo tempo, inghiottiti da altre esperienze di vita. Eppur un filo, al momento invisibile, ancora li teneva uniti.
Ignazio sembrava scomparso, come tanti altri. Invece, son venuto saperlo molto tempo dopo, continuava a frequentare, con la sua ostinazione da pallettaro, sia Antonello, il vecchio storico delegato aspiranti, sia don Dino Pittau, che obbedendo e tacendo, come i carabinieri, ha dovuto abbandonare, anch’egli, quel capolavoro di comunità che aveva contribuito a far germogliare dietro un portone della via Fara comunicante con il retrosacristia. Non so se il berretto da monsignore, che più tardi gli è stato concesso, sia stato un compenso sufficiente per quel suo sacrificio. Conservo ancora il regalo che mi ha fatto in occasione del suo trasferimento.
Non ricordo Ignazio ridere a crepapelle. Lo ricordo misurato, in tutto. Ricordo che aveva l’abitudine di ascoltare, anche quando parlava ti ascoltava, anche quando era impegnato a far prevalere, con ostinazione, la sua opinione. Ha continuato a frequentare, assiduamente e con affetto, sia Antonello che don Dino. Immagino che l’abbia fatto un po’ anche a nome nostro.
Poi, quando è arrivato il momento, ha incominciato a richiamarci, tutti quanti, a poco a poco. Senza neppure bisogno dell’ausilio della posta elettronica, perché continuava ad armeggiare solo con i numeri di telefono,
Abbiamo riconosciuto la sua voce, Si è messo al nostro servizio per consentirci di ritrovare quel filo che credevamo perduto. E’ c’è riuscito. Ha scandito i tempi della morte. Era lui che, quando la campana suonava per uno di noi, ci convocava per salutarlo, spesso sotto le stesse navate che avevamo calpestavo quando portavamo ancora i calzoncini corti. Ed era lui che, approfittando delle occasioni, un compleanno, una ricorrenza, ci ha fatto ri-incontrare. Era lui che ha ricostruito le immagini della nostra storia, che ce ne ha fatto dono, perché la memoria non svanisca. Un giorno, ci ha persino condotto, dopo un’assenza che credevamo definitiva, nella grande sala di via Fara, dove tutto ha avuto inizio.
Franco ha ragione. Da qualche tempo a questa parte, ogni qualvolta squillava il telefono e una voce conosciuta, dall’altro capo del filo, esordiva dicendo: “Sono Ignazio”, ci assaliva il dubbio, l’angoscia: Un altro di noi se n’è andato o ricorre il compleanno, o l’anniversario dell’ordinazione di don Dino?
E’ così che questo pallettaro, gentile e ostinato, a furia di rimandare la pallina in campo, telefonata dopo telefonata, ci ha rimesso tutti in gioco, è riuscito a ricomporre la squadra. Andato via lui, sono state persino assegnate le nuove cariche della vecchia associazione, con tanto di presidente, segretario e tesoriere.
Solo che quando saremo convocati per il prossimo funerale, o per il prossimo anniversario, chi lo sa, all’altro capo del telefono non ci sarà più lui, Ignazio, l’ostinato pallettaro.
O forse sì.
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