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logo76Newsletter n. 196 del 30 aprile 2020
IN MEMORIA
Care Amiche ed Amici, [segue]

La decisione dei vescovi, in Italia e in Francia, di intervenire su Conte e su Macron per una deroga a favore della Chiesa cattolica alle norme sul confinamento, ai fini di radunare il popolo per l’Eucaristia, ha suscitato un dissenso profondo non solo da parte di “cristiani critici” pronti e forse adusi a dar sulla voce alle gerarchie, ma anche da parte di teologi autorevoli, intellettuali, vescovi. Così la messa che è la grande istituzione per l’unità – la “comunione” – dei fedeli, è diventata causa di divisione.
Si è perfino sostenuto che emergessero due Chiese, una nella tradizione dei sacramenti e del culto, l’altra del Vangelo. In ogni caso la Chiesa di tutti, la Chiesa dei poveri ama tutte e due, anche perché esse non sono così nettamente distinte tra loro e c’è molto traffico di frontalieri attraverso i loro confini.
Neanche noi abbiamo condiviso la rivendicazione dei vescovi e motivi validissimi ne sono stati recati e messi in circolazione da molti. Ciò che soprattutto ci ha turbato è stata la ragione, un po’ ultimativa, addotta dai funzionari di un ufficio della CEI, secondo la quale con meno messe ci sarebbe stato meno servizio ai poveri, alla comunità; come a dire niente sacramento niente lavanda dei piedi, l’una cosa essendo alimento dell’altra, e ciò come se la messa, e solo lei, fosse un distributore di benzina o una centralina per il rifornimento di elettricità, senza cui la macchina non va. È verissimo che per servire i poveri, lavarsi i piedi l’un l’altro, essere cristiani ci vuole una ingente energia, ma, a non essere pelagiani, si sa che questa energia viene dallo Spirito del Signore, e ci mancherebbe altro che lo Spirito Santo si facesse interdire dalla scarsità di messe in tempi di pandemia o in regioni amazzoniche, sarebbe come tagliare la luce al palazzo occupato, che l’Elemosiniere del papa, il divino elettricista, è andato a riattaccare.
Per uscire dalla controversia, se essa non vuole essere tenuta in vita e strumentalizzata ad altri scopi, basterebbe rifarsi alle parole di Gesù quando ha dato il suo pane, ed ha detto: “fate questo in memoria di me”. Dunque il pane, che poi i teologi hanno spiegato come transustanziazione, è il mezzo, il fine è ricordarsi di lui. E qui il mezzo non è il messaggio, il fine è superiore al mezzo. Per questo abbiamo sempre pensato che sarebbe bello che I cristiani si ricordassero di lui ogni volta che spezzano e mangiano il pane, cioè sempre, tanto più se condiviso; e infatti c’è un’antica tradizione popolare secondo cui a tavola il padre, o la madre, o uno degli altri, benedice il pane prima che tutti lo mangino.
È bello che il pane sia legato alla memoria, per questo le celebrazioni della Parola che si fermano alle letture prima della consacrazione, come si usava a Bologna nell’entusiasmo della riscoperta della Bibbia dopo il Concilio, in questo mancano, nel rendere visibile la memoria. Per questo non c’è mai stata più memoria di Gesù in questi tempi, di quanta c’è n’è ora intorno alla messa di Papa Francesco, che grazie al virus è trasmessa e “vista” in TV ogni mattina da Santa Marta. E se il pane rende visibile la memoria e la fa anche cibo, epidemia permettendo, la memoria del Signore non vive di solo pane. E se no, come sarebbe giunta fin qui?

Con i più cordiali saluti

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it

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