Il coronavirus rilancia il Reddito di Cittadinanza… Non ancora quello incondizionato e universale. Tuttavia il dibattito è finalmente senza pregiudizi

papa-francesco-a-santa-cruz Coronavirus. Tutto dovrà cambiare? Ma i costi non saranno equamente distribuiti. Cosa fare per contrastare l’aumento della povertà. Papa Francesco propone una retribuzione universale di base. Qualcosa già si fa, ma non basta. Cosa fare di più e meglio prima che la casa bruci.
di Franco Meloni*

Viviamo tutti uno stato di angoscia per questo terribile nemico invisibile, il Covid-19. In Italia e in tutto il mondo, ha infettato una quantità spaventosa di individui, provocando innumerevoli vittime, soprattutto tra le persone più fragili: quelle anziane e già interessate da altre patologie fino ad ora curabili o comunque controllabili. Dei contagiati non diamo i numeri, anche perché ci sono inflitti in continuazione dai media. Ai morti pensiamo con infinita tristezza affidandoci al ricordo, quando consolatorio, e alla speranza della fede. Guardiamo ora con prudente ottimismo al trend di contagiati e di decessi, dappertutto in netta diminuzione e alla crescita dei guariti, in tutto il mondo, in misura differenziata da paese a paese. Gioiamo che il virus oggi venga combattuto e vinto da farmaci e terapie efficaci. E poi la bella notizia: si avvicina il tempo della scoperta di un vaccino che possa prevenire l’infezione, considerato che diversi team scientifici internazionali (anche con collaborazioni delle Università italiane e sarde) sono già arrivati a risultati affidabili, con l’avvio delle fasi di sperimentazione. Speriamo che ciò accada presto, prima che il virus aggredisca zone del pianeta con sistemi sanitari gracili e inadeguati, con esiti catastrofici. Non sappiamo quando la pandemia sarà debellata. Sappiamo che per lungo tempo dovremo conviverci e che dopo, ma a cominciare da adesso, niente sarà come prima. Ciò non vuol dire che tutto sarà meglio di prima, anzi! A pagare il prezzo di questa situazione sono e saranno centinaia di milioni di persone, molte delle quali già segnate da disuguaglianze e povertà. Sappiamo con sicurezza che cresceranno vertiginosamente i poveri. La loro grande numerosità prima della crisi del coronavirus verrà paurosamente incrementata dal passaggio di interi ceti sociali da condizioni di benessere alla povertà relativa e finanche assoluta. Fasce consistenti di popolazione si trovano già oggi senza le risorse minime per vivere. Ad esse ha rivolto il suo pensiero Papa Francesco, nel messaggio pasquale ai movimenti e alle organizzazioni popolari (1), facendo un elenco delle diverse categorie interessate: “venditori ambulanti, raccoglitori, giostrai, piccoli contadini, muratori, sarti, quanti svolgono diversi compiti assistenziali, lavoratori precari, indipendenti, del settore informale o dell’economia popolare…”. Tutti coloro insomma che non godono di un reddito stabile per resistere a questo momento e affrontare il futuro. Il Papa avanza una proposta inedita: “Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità… un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti”.Non sembri senza conseguenze questa posizione del Papa, stante il fatto che per affrontare l’emergenza e oltre, i governi di molti stati, di tutti i colori politici, hanno introdotto nei rispettivi ordinamenti forme di “reddito di cittadinanza”. Tuttavia nessuna delle soluzioni adottate si avvicina a quella pensata dai grandi economisti sensibili al sociale, da John Mainard Keynes e James Meade in poi (2), cioè di un “reddito di cittadinanza incondizionato e universale” da distribuirsi a tutti i cittadini a far data dalla maggiore età di ciascuno, senza condizionamento alcuno. La ragione fondamentale è che rimane irrisolta la questione del suo finanziamento: con la fiscalità generale da una parte e con la ristrutturazione dell’welfare state dall’altra? Il dibattito è aperto da tempo e oggi viene rilanciato dal coronavirus. In Italia, una forma di reddito (e pensione) di cittadinanza è stata istituita nel 2019 (fino a 780 euro a persona), inglobando dal 2020 il preesistente reddito di inclusione sociale. Inoltre di recente, come misura temporanea è stato introdotto il  “reddito di emergenza”, consistente in due mensilità (da 400 fino a 840 euro ciascuna), destinato a soccorrere le persone rimaste senza sostentamento nella fase di chiusura (lockdown) per contrastare l’epidemia. Sono interventi risolutivi? Sicuramente no. E si prestano a consistenti critiche: basti pensare alla pretesa, sbagliata, di concepire queste misure come politiche attive del lavoro, che sono altra cosa. Non è casuale che il reddito di cittadinanza esistente mentre va incontro e spesso risolve le situazioni di indigenza, a poco è servito per creare nuova occupazione o difendere quella esistente. Obbiettivi che, invece, oggi si possono e si devono realizzare con interventi massicci dello Stato nell’economia, soprattutto attraverso investimenti nella sanità pubblica (prima condizione rispetto a tutto il resto) nelle infrastrutture, nell’innovazione, nell’istruzione e così via. Riguardo all’argomento centrale di questo articolo, il reddito di cittadinanza, la conclusione è che va difeso e rafforzato, ampliando la platea dei beneficiari e semplificando le procedure burocratiche di accesso, che allo stato ne limitano il funzionamento (3). Proiettandoci verso un futuro possibile, certo è che della necessaria riforma dello Stato sociale, l’introduzione del reddito di cittadinanza incondizionato e universale deve essere un pilastro fondamentale. Per ora possiamo e dobbiamo solo studiare, approfondire e sperimentare, senza preclusione alcuna.
*Franco Meloni, articolo pubblicato anche su Nuovo Cammino, periodico della Diocesi di Ales Terralba, nonché sulla News online Giornalia.

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(1) Città del Vaticano, 12 aprile 2020, Domenica di Pasqua (rif.: https://www.aladinpensiero.it/?p=106628).

(2) Evidentemente non tutto è semplice, anzi. Di questa questione scrive il prof. Gianfranco Sabattini, economista cagliaritano, che l’ha approfondita nei suoi studi accademici, in un articolo, che ha il merito di porgere in sintesi concetti elaborati da illustri studiosi – tra i quali il grande economista John Mainard Keynes e il premio Nobel all’Economia 1977 James Meade – tratti da una copiosa letteratura economica che si misura con l’attualità politica. L’articolo è apparso su tre riviste online (Aladinpensiero, il Manifesto sardo e Democraziaoggi) ed è riportato anche in appendice di questo articolo. Ecco comunque il link su aladinpensiero online: https://www.aladinpensiero.it/?p=107059 .
(3) Dello stesso avviso l’Unione Europea. Vedasi l’articolo di Antonio Cosenza su Money.it
Reddito di cittadinanza a più persone: la richiesta dell’UE all’Italia
Antonio Cosenza, 21 Maggio 2020 – 12:00

Reddito di cittadinanza: secondo l’Unione Europea non va abolito, semmai va riformato per raggiungere più categorie di persone vulnerabili.

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ALTRI ARTICOLI DI RIFERIMENTO
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Lo chiamano “reddito di cittadinanza” ma è un “reddito di inclusione sociale”, auspicabilmente migliorativo di quello esistente, del quale abbiamo urgente bisogno!

di Franco Meloni**

Il “reddito di cittadinanza” che ha fatto la fortuna elettorale del Movimento 5 stelle, non è di certo quel “reddito universale e incondizionato” che molti economisti a partire dal XVIII secolo ritenevano ineludibile addirittura nel breve periodo. Tra questi ricordiamo uno dei più grandi, John Maynard Keynes, che nel 1928 tenne su queste questioni agli studenti di Cambridge una memorabile lezione dal titolo “Possibilità economiche per i nostri nipoti“. Secondo Keynes ed altri, l’aumento progressivo della produttività delle attività economiche con l’inesorabile sostituzione del lavoro umano con le macchine, avrebbe comportato insieme alla diminuzione dell’orario di lavoro la necessità di garantire un reddito per i disoccupati involontari, vecchi e nuovi. Nessun problema per il relativo finanziamento che sarebbe stato assicurato dallo sviluppo stesso dell’economia. Keynes azzardò perfino che tutto si sarebbe verificato nel giro di 100 anni! E ci stiamo appunto arrivando, senza però che la previsione si sia finora avverata, se non parzialmente, richiedendosi pertanto un’ulteriore proiezione nei tempi a venire sulla base dello sviluppo sempre più impetuoso delle tecnologie. Il problema n. uno rimane quello del “finanziamento del reddito di cittadinanza”, per il quale si dovrebbe attingere in grande misura dalla fiscalità generale e in altra parte dalle risorse liberate dalla riforma del welfare. Insomma l’incertezza permane e i tempi non sembrano ancora maturi!
Più modestamente il “reddito di cittadinanza” inserito dai 5 Stelle nel “contratto di governo”, è ascrivibile alla categoria del “reddito di inclusione sociale”, che ha la finalità precipua di contrastare la povertà estrema, nella quale in Italia versano otre 5 milioni di persone, a cui si aggiungono gli oltre 9 milioni di cittadini in condizione di povertà relativa, pari al 12,3% della popolazione italiana (il 17,3% con riferimento alla popolazione sarda). L’Unione Europea ha da molto tempo invitato i paesi aderenti ad adottare forme di sostegno al reddito dei meno abbienti, nell’ottobre scorso anche attraverso una apposita risoluzione del Parlamento Europeo. In verità l’Italia si era già adeguata con un provvedimento del settembre 2017 (Governo Gentiloni), in concreta operatività dal 1° gennaio 2018. Si tratta del ReI, beneficiarie fino ad oggi 110.000 famiglie e 317.000 persone, che risultano in condizione di povertà assoluta, con un importo medio del sussidio mensile pari a poco meno di 300 euro per la generalità della platea, e a 430 euro per le famiglie con minori.
A questo punto non si capisce quale scandalo possano destare in sede nazionale ed europea gli annunciati provvedimenti del Governo, peraltro allo stato ancora sulla carta, che avrebbero come novità rispetto al ReI esistente oltre che l’adeguamento del quantum (780 euro), l’estensione della platea dei beneficiari (tutta la fascia della povertà assoluta) e uno stretto collegamento alle politiche attive sul lavoro. Per ora il Documento economico-finanziario governativo ha stabilito che le risorse dedicate ammontano a 9 miliardi + 1 per la riforma dei centri d’impiego, rinviando a una successiva legge i dettagli operativi: il reddito sarà erogato attraverso un bancomat? Saranno consentite solo alcune categorie di spese? Il reddito sarà differenziato per ogni regione o su base nazionale? E, ancora: chi ne avrà precisamente diritto? Il reddito effettivamente posseduto dovrà essere certificato dall’ISEE e un’eventuale proprietà della casa di abitazione sarà motivo di esclusione dai benefici? Varrà la precedenza per anzianità di disoccupazione? E a quanti lavori si potrà rinunciare prima di perderlo? Lavori vicini o quanto lontani da casa? Realisticamente detta legge collegata potrebbe essere approvata nei primi mesi del 2019 ma, considerata la complessità dei provvedimenti da assumere, non sarà facile trovare un accordo in sede politica. In ogni caso, per ovvie ragioni, si dovrà decidere prima delle prossime elezioni europee. Teniamoci aggiornati, ad horas!
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**Franco Meloni. Articolo pubblicato su Nuovo Cammino, dicembre 2018, periodico della Diocesi di Ales-Terralba.
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Il reddito di cittadinanza non è un provvedimento-tampone contro la povertà o contro gli esiti distruttivi di eventi eccezionali

di Gianfranco Sabattini

Lo scoppio della pandemia da Covid-19 sta rilanciando l’idea dell’introduzione nel sistema di sicurezza nazionale del reddito di cittadinanza, con le finalità che hanno inteso assegnargli coloro che per primi l’hanno proposto, non già in contrapposizione, ma ad integrazione (per il maggior rispetto della dignità umana e la maggiore efficacia sul piano della valorizzazione dell’attività lavorativa), del sistema di welfare State, introdotto dopo la fine del secondo conflitto mondiale nella seconda metà del secolo scorso.
La cosiddetta “prova dei mezzi” e le molte “condizionalità” alle quali devono sottostare i fruitori della “difesa sociale” garantita dal sistema welfarista sono la conseguenza dei molti pregiudizi che caratterizzano una malintesa tutela della “dignità del lavoro”, che hanno giustificato, sino ai nostri giorni, le critiche portate da un arco di forze sociali (tra loro molto distanti sul piano ideologico) contro la possibile introduzione del reddito di cittadinanza, riproposte di continuo da quando sono iniziate ad emergere gli irreversibili motivi di crisi del sistema del welfare State sinora realizzato. Tali forze sociali hanno sempre considerato “offensive” della dignità personale l’erogazione di un reddito cui non corrispondesse una “prestazione lavorativa” da parte del fruitore.
Ciò che ha accomunato l’intero arco di tali forze ideologicamente eterogenee è stato il convincimento che la tutela del lavoro come valore in sé fosse irrinunciabile, perché il lavoro è “vita”, “partecipazione”, “autonomia” ed altro ancora. Sulla base di questo radicato assunto, sia le forze politiche e sindacali di sinistra, sia quelle che si rifanno ai principi della dottrina sociale della Chiesa cattolica, hanno sempre sostenuto che la tutela del lavoro dovesse essere garantita attraverso la creazione di posti di lavoro, malgrado tale obiettivo divenisse sempre più difficile da perseguire nei moderni sistemi economici.
In tal modo, le “buone intenzioni” dell’ampio arco di forze sociali critiche del reddito di cittadinanza ha finito col subire gli esiti di un’eterogenesi dei fini, che ha condotto le loro intenzioni ad essere sostituite dalle “conseguenze inintenzionali” di un convincimento volto a tutelare il lavoro; in tal modo, la loro posizione è servita, non già a difendere la dignità del lavoro, bensì a tutelare gli interessi delle forze conservatrici, motivate a conservare gli esiti spontanei connessi al libero svolgersi delle forze di mercato.
Tra le voci contrarie al reddito di cittadinanza, una delle più autorevoli è stata quella espressa tempo addietro da Papa Francesco in un discorso tenuto a Genova davanti ad un’assemblea dei lavoratori dell’Ilva; ora, però, a fronte dello scoppio della pandemia da Covid-19, anche il Papa sembra essersi convinto dell’urgenza, come di recente ha dichiarato, di una “retribuzione universale di base”, cioè di una forma di reddito in grado di garantire e realizzare un tipo di società che rispetti i suoi stessi membri. L’apertura del Papa all’introduzione di un reddito di cittadinanza incondizionato ha suscitato un coro di consensi anche tra quelle forze politiche di sinistra e sindacali (forse anch’esse indotte a cambiare parere di fronte agli effetti distruttivi della pandemia da Covid-19) tradizionalmente contrarie all’introduzione di ogni forma di reddito universale e incondizionato.
La rapida conversione ad accettare di istituzionalizzare una proposta sempre avversata sotto l’incalzare dello stato dell’urgenza e della necessità non può che essere apprezzata da quanti, da tempo, nell’ambito del dibattito politico-culturale in corso in Sardegna, sottolineano la positività dell’introduzione del reddito di cittadinanza nel sistema di sicurezza sociale, a motivo della crisi irreversibile del welfare State; ne è prova l’attività del Comitato Regionale d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria, i cui promotori ed organizzatori hanno ospitato nei loro “Blog” (Democraziaoggi, Aladinpensiero e Il Manifesto sardo), scritti e riflessioni sull’opportunità di introdurre il sempre criticato reddito di cittadinanza incondizionato nel sistemi sociali democratici ad economia di mercato; del dibattito, protrattosi negli anni non senza contrasti, fa fede la celebrazione, ad iniziativa del succennato “Comitato” e dell’“Europe Direct Regione Sardegna”, di un Convegno sul lavoro (svoltosi a Cagliari il 4-5 ottobre 2017, i cui atti sono stati raccolti nel volume “Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti”), nel corso del quale sono stati esposti gli aspetti positivi del reddito di cittadinanza, rispetto alla tutela di chi involontariamente è privato della disponibilità di un reddito di base necessario alla sua sopravvivenza. [segue]  Qui di seguito vengono riassunte le motivazioni che hanno caratterizzato la proposta dell’introduzione di tale reddito di base, intorno al quale sembra essersi finalmente realizzato un generale consenso.
Il welfare State, il sistema di protezione sociale oggi esistente, è stato formulato sul piano teorico tra le due guerre mondiali del secolo scorso, per tradursi in strutture pubbliche operative nei Paesi ad economia di mercato e retti da regimi democratici, a partire soprattutto dalla fine del secondo conflitto mondiale, legittimando sul piano sociale che l’intervento dello Stato nell’economia costituisse la base portante del benessere dei cittadini, da conseguirsi attraverso la conservazione dello stabile funzionamento del sistema economico; ciò ha prodotto la trasformazione dello Stato di diritto liberale in Stato sociale di diritto, legittimando in tal modo un intervento pubblico costante di natura strutturale nel governo dell’economia. Le riforme istituzionali introdotte hanno dato luogo alla costruzione del sistema di sicurezza sociale, la cui funzione è stata quella di rendere operante la stipula di un patto politico tra capitale e lavoro, fondato sull’apporto teorico di John Maynard Keynes al pensiero economico dominante.
Il welfare State è divenuto così, sul piano dell’azione politica dei Paesi che l’hanno adottato, il presidio della realizzazione delle condizioni volte a garantire lo stabile funzionamento del sistema economico, con una crescente creazione e conservazione di opportunità lavorative. In particolare, il sistema welfarista ha assunto anche la funzione di assicurare alla forza lavoro, nel caso fosse risultata temporaneamente e involontariamente disoccupata, la garanzia di un reddito da corrispondere sotto forma di sussidio, a fronte di contribuzioni previdenziali a carico di imprese e lavoratori.
Negli anni successivi alla sua introduzione, il welfare State ha perso gran parte della sua funzionalità, a causa del formarsi di una diffusa disoccupazione sempre più difficile da “governare”; fatto, quest’ultimo, che ha messo progressivamente in crisi il sistema di sicurezza sociale realizzato, a causa delle profonde trasformazioni delle modalità di produzione del prodotto sociale e della crescente partecipazione dei cittadini alle procedure decisionali dell’attività politica.
E’ però opportuno ricordare che il welfare State fondato sulle idee di William Beveridge, si contrapponeva una proposta alternativa, avanzata da James Edward Meade (premio Nobel per l’economia 1977 e già docente alla London School of Economics e alla Cambridge University). Meade proponeva che la sicurezza sociale fosse garantita in termini radicalmente diversi da quelli previsti dal sistema suggerito da Beveridge; la sicurezza sociale, a suo parere, poteva essere meglio assicurata, invece che con la corresponsione ai soli disoccupati di sussidi condizionati (vincolando, ad esempio, il disoccupato a reinserirsi nel mondo del lavoro e a sottoporsi a un insieme di controlli non sempre rispettosi della dignità della persona), attraverso l’erogazione di un reddito di cittadinanza universale e incondizionato, da corrispondere a tutti i cittadini senza alcun vincolo. Meade chiamava tale forme di reddito “dividendo sociale”, da finanziarsi senza alcun inasprimento del sistema fiscale ad integrazione del welfare State. Il dividendo sociale, doveva essere corrisposto a ciascun cittadino sotto forma di trasferimento pubblico, indipendentemente da ogni considerazione riguardo ad età, sesso, salute, stato lavorativo, stato coniugale, prova dei mezzi e funzionamento stabile del sistema economico.
Il fine ultimo della proposta di Meade era quello di realizzare un sistema di sicurezza sociale che riconoscesse ad ogni singolo soggetto, in quanto cittadino, il diritto ad un reddito di base, erogato in termini assolutamente ugualitari. Tuttavia, tale proposta non è stata accolta, non solo per il maggior accreditamento sociale delle idee keynesiane sulle quali era stato formulato il sistema di welfare, ma anche perché i “Gloriosi Trent’Anni” (1945-1975), nell’arco dei quali i sistemi sociali democratici ad economia di mercato hanno vissuto un periodo di crescita sostenuta, sono valsi a giustificare il consenso in pro dei welfare State nazionali, aperti ad allargare sempre di più le loro funzioni.
Se il processo di allargamento delle finalità dei sistemi di welfare, ha avuto l’effetto di promuovere l’espansione e la sicurezza economica dei cittadini, esso ha anche portato ad una continua crescita della spesa pubblica, la cui copertura, per via dell’aumentata frequenza dei periodi di instabilità dei sistemi economici, è stata la causa del rallentamento del processo di crescita e sviluppo delle economie, con la formazione di crescenti livelli di disoccupazione strutturale irreversibile. Tali fenomeni, oltre ad incrinare l’antico patto tra capitale e lavoro, hanno anche determinato una crisi più generale del welfare State, progressivamente trasformatosi in struttura caritatevole nei confronti di una crescente massa di disoccupati, contribuendo ad allargare l’area della povertà, a causa delle sempre più limitate prestazioni sociali nei confronti di chi perdeva la stabilità del posto di lavoro.
Alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, il rallentamento della crescita e dello sviluppo, nonché la conseguente crisi del welfare, hanno comportato il “ricupero” di antiche ideologie economiche e politiche conservatrici, dando vita al neoliberismo; imputando la causa della stagnazione del sistema economico al crescente livello della spesa pubblica, questa nuova ideologia ha individuato la soluzione del problema del rilancio della crescita e dello sviluppo nella riduzione delle prestazioni sociali (considerate un disincentivo al lavoro) e del carico fiscale (col quale veniva finanziato il sistema di sicurezza sociale).
Quali siano stati gli esiti di questo nuovo orientamento politico è ormai nell’esperienza di tutti. Ma se il connotato principale degli attuali sistemi produttivi ad economia di mercato è stato quello di causare crescenti livelli di disoccupazione strutturale (complici, da un lato, l’internazionalizzazione senza regole delle economie nazionali e, da un altro lato, l’elevata velocità dei processi di miglioramento delle tecnologie produttive), quale prospettiva può essere offerta ai disoccupati irreversibili (e, in generale, a tutti coloro che risultano privi di reddito) di partecipare alla distribuzione del prodotto sociale, perché sia loro reso possibile di perseguire dignitosamente il proprio progetto di vita?
La risposta a questo interrogativo può essere data solo prendendo in considerazione una riforma delle modalità di distribuzione del prodotto sociale, erogando a tutti i cittadini un dividendo sociale (come originariamente lo ha denominato Meade), indipendentemente dalla loro età e dal fatto di essere occupati, disoccupati o poveri; una soluzione però ignorata dai Paesi sempre più frequentemente colpiti da crisi economiche, le cui forze politiche hanno preferito, al contrario, continuare a “rabberciare” il vecchio sistema welfarista.
Da tempo, a livello internazionale, si propone di ricuperare l’originaria proposta di Meade, per istituzionalizzare un reddito di inclusione, una forma di trasferimento pubblico (a favore di chi è privo di reddito) diversa da quella prevista dal sistema welfarista; tale è, ad esempio, il trasferimento che, con la denominazione impropria di reddito di cittadinanza, viene corrisposto sulla base dei provvedimenti adottati di recente in Italia. In realtà, questa forma di erogazione fondata su un’impropria identificazione tra povero e disoccupato ed un approccio caritatevole, che vede nel percettore del reddito un potenziale approfittatore da tenere sotto sorveglianza ed al quale prescrivere persino i consumi, è tutto fuorché un dividendo sociale (o reddito di cittadinanza) universale e incondizionato.
Una riforma delle regole di distribuzione del prodotto sociale fondata sull’introduzione di un reddito di cittadinanza à la Meade renderebbe inutile, quasi totalmente, l’intero apparato del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, qualora essa fosse associata ad una riqualificazione dell’attuale sistema di welfare, indirizzandolo a curare prevalentemente, se non esclusivamente, la formazione professionale e lo stato di salute dei cittadini. Tale riforma renderebbe plausibile il rilancio di uno stabile processo di crescita e sviluppo, evitando ogni possibile spreco della risorsa più preziosa (cioè la capacita lavorativa e creativa dei cittadini) della quale ogni sistema dispone anche nelle fasi di crisi.
Con l’introduzione di un reddito di cittadinanza (universale e incondizionato) e la riqualificazione del sistema di welfare diventerebbe realistico pensare che il settore pubblico, liberato dall’incombenza di risolvere i problemi distributivi di momento in momento insorgenti, possa essere orientato prevalentemente ad allargare e diversificare l’offerta di beni collettivi, utili a massimizzare la valorizzazione delle capacità lavorative di tutti i cittadini; i quali, attraverso la loro creatività, potranno concorrere a plasmare, non solo l’economia, ma anche la società alla quale appartengono.
Che senso può avere la costituzione di un’organizzazione della società fondata su un’attività d’investimento pubblico volto a rendere massima la valorizzazione delle capacità lavorative individuali? Se si riflette sulle difficoltà delle moderne economie industriali a creare nuovi posti di lavoro, l’introduzione di un reddito di cittadinanza universale e incondizionato risponderebbe all’urgenza che le politiche pubbliche tradizionali divengano conformi alla soluzione dei problemi del nostro tempo, quali – tra i molti – la povertà, la disoccupazione, la salute pubblica e la bassa produttività dell’attività politica, ora perennemente “schiacciata” sul presente e poco orientata a progettare il futuro.
Questi problemi possono essere adeguatamente affrontati da una riorganizzazione del sistema sociale che, eliminando le disuguaglianze, la disoccupazione, la povertà e le minacce allo stato di salute della collettività, crei sempre più spazio ad attività d’investimento pubblico volte a massimizzare il prodotto sociale, attraverso la promozione di attività produttive autodirette, come fonte di reddito alternativo al lavoro eterodiretto (o dipendente), del quale il processo di accumulazione capitalistica contemporanea tende ad avere sempre meno bisogno.
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APPELLI
Rammentiamo che è in corso una Campagna per l’istituzione del Reddito di cittadinanza incondizionato e universale in Italia e in tutti gli altri paesi dell’Unione Europea, promossa da Unconditional Basic Income Europe e da BIN Italia. Aladinpensiero, il manifesto sardo, Democraziaoggi e Giornalia appoggiano detta Campagna e invitano a firmare l’apposito appello.

In argomento, per completezza di informazione segnaliamo altre due iniziative che Aladinpensiero appoggia:
- APPELLO PROMOSSO DA OPERATORI CULTURALI DELLA SARDEGNA.
- APPELLO PROMOSSO DA OPERATORI CULTURALI DELLA CATALOGNA.
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3 Responses to Il coronavirus rilancia il Reddito di Cittadinanza… Non ancora quello incondizionato e universale. Tuttavia il dibattito è finalmente senza pregiudizi

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  2. […] dei sussidi, e aggiornare il calcolo dell’Isee corrente a marzo per accedere al rdc. Soprattutto, chiedono un reddito di base per tutti. —————————– Aggiornamento 30 maggio […]

  3. […] piazza i lavoratori atipici senza protezione sociale. Li sostiene in solitaria la CSS. Anche Papa Francesco li aveva difesi. GLI AMBULANTI E I LAVORATORI ATIPICI SI SENTONO TRADITI DAI PARTITI DI OPPOSIZIONE E DALLE OO.SS […]

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