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Newsletter n. 195 del 28 APRILE 2020
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Mentre scriviamo questa lettera, sui giornali viene evidenziato il disappunto e la contrarietà con cui la CEI ha accolto l’ultimo provvedimento del Presidente del Consiglio, che esclude, anche nella Fase 2, la partecipazione dei fedeli alla celebrazione delle Messe. Da un versante totalmente diverso (ma non estraneo) si fa notare che la maggioranza del nostro popolo apprezza l’operato del governo in questa situazione del tutto nuova che ha messo a nudo i risultati di politiche sociali ed economiche molto discutibili. Tali polemiche possono essere il preludio per la riproposizione della contrapposizione Stato-Chiesa pre concordataria. Vogliamo definire la nostra gente come “popolo patriottico” (come è stato definito ironicamente da qualche cattolico doc) e la Chiesa come antigovernativa? Peggio: come Chiesa possiamo permetterci di dare l’impressione di appoggiare quelle frange dell’opposizione che hanno strumentalizzato la religione per le loro campagna elettorali? A tutte queste legittime domande, rispondo che no, che non vuole questo la CEI e, credo, neppure il Governo. Anche se tante cose potrebbero essere prudenzialmente evitate. Come l’irruzione armata di Carabinieri a Cremona per una messa celebrata con un gruppetto esiguo di persone in lutto. E, forse da evitare, era pure l’ammonimento della Curia di quella città al prete che aveva osato tanto per eccesso di compassione, e che si era rifiutato di interrompere il rito, eppur disposto a pagare la multa prevista. Si obbedisce alla legge anche pagando per averla disobbedita. Comunque mi rendo conto che viviamo in tempo in cui discernere con chiarezza il bene dal male non è facile, ed a volte ci si deve contentare del meno male o del bene possibile. Con ciò voglio dire che l’ultima cosa di cui ha bisogno l’Italia (e solo l’Italia?) è una guerra tra candele e fucili. CEI, Governo e Comitato scientifico troveranno un accordo per ostacolare la diffusione del contagio e nello stesso tempo per permettere ai credenti “di non vivere di solo pane”.
Ma ciò che oggi ci angustia è un altro problema ben più complesso e su cui questi mesi hanno costretto tutti a riflettere. Posso enuclearlo in una domanda: se in tempi di smarrimento si accentua in tanti il bisogno di pregare, siamo sicuri, noi tutti, come Chiesa che le preghiere suggerite siano “cristiane”?
È un dato di fatto che in questi mesi abbiamo pregato di più. Questo atteggiamento di preghiera è stato trasversale, tra clero e laici, tra dotti e semplici, tra popolo di Dio ed élite, anche se in modalità probabilmente specifiche. Ha assunto toni forse appena ieri impensabili: si è incoraggiata la preghiera domestica ed è venuta spontanea una preghiera ecumenica, interreligiosa, “cattolica” nel senso più bello. Nessuno ha detto, Signore salva prima gli italiani, o i cattolici… Almeno lo spero.
Anche il Popolo di Dio è stato creativo. La gente ha invitato al Rosario amici del balcone di fronte, o dirimpettai delle terrazze, ha organizzato tra amici, ad un determinato orario, discussioni religiose in whatsapp, si è data appuntamento, alle 7 del mattino per “andare a Messa ogni giorno, da papa Francesco”.
Siamo dunque diventati un popolo orante? Abbiamo superato l’idea che l’unica preghiera è quella che si esaurisce in chiesa? Abbiamo imparato a pregare? Preghiamo come Gesù ci ha insegnato? Ne dubito.
Dico con schiettezza che certe formulazioni di preghiera esasperavano tanto l’intervento divino, da fare quasi sottintendere che Lui ci doveva togliere dalla prova perché da Lui, come castigo, come penitenza per i nostri peccati, era arrivato il virus omicida. Facilmente si poteva disegnare nella mente di persone pie l’immagine di un Dio giustiziere, irato per le nostre disubbidienze, vendicativo.
Conosciamo l’esito di preghiere non esaudite. “Sono stanco di guardare in alto, non c’è nessun Dio, e se c’è fa i fatti suoi” – può concludere qualcuno.
Ciò che mi interessa sottolineare è la necessità di una cristianizzazione della preghiera. Gesù avvertiva i suoi amici che è molto in uso una preghiera che meritava il suo “Ma voi, non così!”, quella che pensa di moltiplicare parole per convincere Dio a cambiare opinione, a smettere di castigarci, “a svegliarsi”.
Ognuno prega come può ed ha appreso. Come si cerca Dio “a tentoni” così si prega anche “a tentoni” secondo il grado di disperazione, di bisogno, e, soprattutto, secondo il proprio ambiente religioso. Ma nella cura pastorale non dovrebbe esistere un accompagnamento a saper meglio pregare, come esiste quello a saper meglio credere ed a saper meglio vivere “coram Domino”?
Quanto appena detto sfocia in un altro antico problema che proprio tra qualche giorno potrà aprire un nuovo fronte: religiosità popolare contro religiosità dotta.
La CEI ha stabilito che il primo maggio affiderà l’Italia al Cuore Immacolato di Maria e proprio (spero vivamente senza collegamento con quanto riferito sopra) nella diocesi di Cremona. Un comunicato ANSA recita: Raccogliendo la proposta e la sollecitazione di tanti fedeli, la Conferenza Episcopale Italiana affida l’intero Paese alla protezione della Madre di Dio come segno di salvezza e di speranza. Lo farà venerdì 10 Maggio, alle 21.00, con un momento di preghiera, nella basilica di Santa Maria del Fonte presso Caravaggio (diocesi di Cremona, provincia di Bergamo). “La scelta della data e del luogo è estremamente simbolica – spiega la Cei -. Maggio è, infatti, il mese tradizionalmente dedicato alla Madonna, tempo scandito dalla preghiera del Rosario, dai pellegrinaggi ai santuari, dal bisogno di rivolgersi con preghiere speciali all’intercessione della Vergine. Iniziare questo mese con l’Atto di Affidamento a Maria, nella situazione attuale, acquista un significato molto particolare per tutta l’Italia”.
Diversamente, in modo sorprendente e positivo, Papa Francesco, ci aiuta a ritrovare il senso profondo, sincero e di abbandono nella preghiera consegnando, non solo ai cattolici ma agli uomini e donne che in questi mesi siamo stati impauriti e chiusi nelle nostre case, la “Lettera a tutti i fedeli per il mese di maggio” (25.04,2020). Essa rimane fortemente ancorata al dato biblico, alla mariologia conciliare e, insieme, alla religiosità popolare da lui sempre richiamata e rispettata.
E proprio con riguardo al richiamo alla pietà popolare, pensiamo a quanto possa risultare devozionale e ambigua una “consacrazione al Cuore Immacolato di Maria” di persone già consacrate dal battesimo e dunque chiamate a vivere “nel mondo” (in modo “altro” “separato”, “santo”) ma non “secondo il mondo”. Quanto sia stato aberrante agitare un Rosario come arma potente contro i musulmani, attribuendo poi sacrilegamente a Maria il massacro di Lepanto. All’uso del Rosario (e perfino del Vangelo) da parte di certi nostalgici credenti (preti e laici) e certi atei-devoti, ancorato ad un cristianesimo stile “più cristianità e meno Cristo”. Pensiamo a quanto sia pericoloso non solo scambiare 500 lettere – forse sollecitate ad hoc – per una richiesta dell’Italia intera, ma, soprattutto, insinuare l’idea che una intercessione della Vergine ci voglia, dato che la Trinità non intende volgere lo sguardo sulle nostre disgrazie planetarie.
Il papa conosce tutto questo e molto altro, ed allora nella sua Lettera fa anche stavolta ciò che raccomanda sempre di fare: “evangelizza la pietà popolare”. A quanti reciteranno preghiere nell’intero mese di maggio raccomanda, nelle ripetitività delle Ave Maria e nella contemplazione dei misteri di Gesù, di giungere a considerare quanto sia decisivo guardare Maria come modello di vita cristiana. È necessario – sembra dire il Papa – in una situazione come la nostra, ricordarci che abbiamo una “Madre nostra”, una “Donna” in carne ed ossa, che dopo avere visto lo strapotere dei potenti, la superbia insediata sui troni, l’umiliazione dei costretti alla fame, la sofferenza degli oppressi, non si è limitata a pregare e ad essere una bella persona, ma è entrata nella mischia ed ha offerto tutta se stessa per generare Dio nel mondo. E non per generarlo soltanto, ma anche per difenderlo, custodirlo, proteggerlo, anche quando erano assediati, Madre e Figlio, quel venerdì tragico, da nemici impietosi, sul Golgota.
Con i più cordiali saluti
p. Felice Scalia s.J.
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