Oggi martedì 28 aprile 2020 Sa die de sa Sardigna
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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti—————————————————–
Sa die de sa Sardinia, una giornata di festa e di riflessione nel nome della libertà come il 25
28 Aprile 2020
A.P. Su Democraziaoggi
Dopo il 25 aprile il giorno più bello per l’Italia, festeggiamo oggi Sa die de sa Sardinia, il giorno più bello per noi sardi. Li festeggiamo in continuità ideale fra due movimenti popolari, quello cagliaritano del 1794, che portò alla cacciata del viceré sabaudo e dei piemontesi arroganti da Cagliari, e quello resistenziale che sancì […]
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Sardegna fra il 25 aprile della Liberazione e il 28 aprile della Sarda Rivoluzione
28 Aprile 2020
Tonino Dessì su Democraziaoggi.
Mi pare che quest’anno il 25 aprile sardo abbia avuto, sotto il profilo politico-istituzionale, caratteristiche analoghe a quelle dell’anno scorso.
Le istituzioni governate dal centrodestra a matrice leghista, Fratelli d’Italia e sardista hanno schivato la ricorrenza della Liberazione.
In ordine di tempo seguirà Sa Die de sa Sardigna, al cui significato ho […]
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Il 28 aprile 1794 una gloriosa giornata di lotta popolare, ma è sul progetto di Angioy che dobbiamo ancora scavare
28 Aprile 2020
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Ho approfittato dei giorni di clausura per mandare all’editore Arkadia un mio volumetto su Giommaria Angioy, che andrà in libreria in autunno. Ho così avuto modo, grazie anche ai preziosi consigli di Luciano Carta, di approfondire lo studio sulla “Sarda rivoluzione“, che avevo iniziato in occasione del mio saggio su Palabanda – la Rivoltà […]
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Sa die tutti i giorni.
Roberto Loddo su il manifesto sardo
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Ricordare sa Die de sa Sardigna
Pubblicato il 20/04/2020 su Truncare sas cadenas
di Francesco Casula.
Firmaisì! E arrazza de brigungia! Arrazza ‘e onori! Sardus, genti de onori! E it’ant a nai de nosus, de totus ! Chi nc’eus bogau s’istrangiu po amori ‘e libertadi ? Nossi, po amori de s’arroba! Lassai stai totu! Non toccheis nudda! Non ddi faeus nudda de sa merda de is istrangius! Chi ddi sa pappint a Torinu cun saludi! A nosus interessat a essi meris in domu nostra! Libertadi, traballu, autonomia!
Chiusi in casa, per il 28 aprile, la Giornata della Sardegna, ovvero la Festa nazionale del popolo sardo, non possiamo fare quasi niente. Possiamo però almeno ricordarla. [segue] “Fermatevi! Che vergogna! Che onore! Sardi gente di onore? E che diranno di noi, di tutti! Che abbiamo cacciato lo straniero per amore della libertà? No, per amore della roba! Lasciate stare tutto! Non toccate nulla! Non ce ne facciamo niente di quella merda degli stranieri! Che se la mangino a Torino con salute!” A noi interessa di essere padroni in casa nostra! Libertà, lavoro, autonomia! Nella finzione letteraria e teatrale divertente e brillante, in “Sa dì de s’acciappa”, lo scrittore Piero Marcialis fa dire così a Francesco Leccis – macellaio, protagonista della ribellione dei cagliaritani contro i piemontesi – rivolgendosi ai popolani che arrabbiati volevano assaltare i carri zeppi di ogni grazia di Dio, per sottrarre ai dominatori la “roba” che stavano rubando e che volevano portare a Torino. Ed è questo – a mio parere – il significato profondo, storico e simbolico, della cacciata dei Piemontesi da Cagliari il 28 aprile del 1784: i Sardi, dopo secoli di rassegnazione, di abitudine a piegare la schiena, di obbedienza, di asservimento e di inerzia, per troppo tempo abituati a abbassare la testa, sopportando ogni tipo di prepotenza, umiliazione, sfruttamento e prese in giro, con un moto di orgoglio nazionale e un colpo di reni, di dignità e di orgoglio, si ribellano e alzano la testa, raddrizzano la schiena e dicono basta! In nome dell’autonomia e dunque per “essere padroni in casa nostra”! E cacciano i Piemontesi e i savoiardi, non per ragioni etniche ma perché rappresentano l’arroganza, la prepotenza e il potere. Si è detto e scritto che si è trattato di “robetta”: di una semplice congiura ordita da un manipolo di borghesi giacobini, illuminati e illuministi, per cacciare qualche centinaio di piemontesi. Non sono d’accordo. A questa tesi, del resto ha risposto, con dovizia di dati, documenti e argomentazioni, Girolamo Sotgiu. Il prestigioso storico sardo, gran conoscitore e studioso della Sardegna sabauda polemizza garbatamente ma decisamente proprio con l’interpretazione data da storici filosabaudi come Giuseppe Manno o Vittorio Angius che avevano considerato la cacciata dei Piemontesi alla stregua, appunto, di una congiura. “Simile interpretazione offusca – a parere di Sotgiu – le componenti politiche e sociali e, bisogna aggiungere senza temere di usare questa parola «nazionali». Insistere sulla congiura – ricordo sempre lo storico sardo – potrebbe alimentare l’opinione sbagliata che l’insurrezione sia stato il risultato di un intrigo ordito da un gruppo di ambiziosi, i quali stimolati dagli errori del governo e dalle sollecitazioni che venivano dalla Francia, cercò di trascinare il popolo su un terreno che non era suo naturale, di fedeltà al re e alle istituzioni”. A parere di Sotgiu questo modo di concepire una vicenda complessa e ricca di suggestioni, non consente di cogliere il reale sviluppo dello scontro sociale e politico né di comprendere la carica rivoluzionaria che animava larghi strati della popolazione di Cagliari e dell’Isola nel momento in cui insorge contro coloro che avevano dominato da oltre 70 anni. Non fu quindi congiura o improvviso ribellismo: ad annotarlo è anche Tommaso Napoli, padre scolopio, vivace e popolaresco scrittore ma anche attento e attendibile testimone, che visse quelli avvenimenti in prima persona. Secondo il Napoli “l’avversione della «Nazione Sarda» – la chiama proprio così – contro i Piemontesi, cominciò da più di mezzo secolo, allorché cominciarono a riservare a sé tutti gli impieghi lucrosi, a violare i privilegi antichissimi concessi ai Sardi dai re d’Aragona, a promuovere alle migliori mitre soggetti di loro nazione lasciando ai nazionali solo i vescovadi di Ales, Bosa e Castelsardo, ossia Ampurias. L’arroganza e lo sprezzo – continua – con cui i Piemontesi trattavano i Sardi chiamandoli pezzenti, lordi, vigliacchi e altri simili irritanti epiteti e soprattutto l’usuale intercalare di Sardi molenti, vale a dire asinacci inaspriva giornalmente gli animi e a poco a poco li alienava da questa nazione”.
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Chi ha paura di sa DIE?
di Francesco Casula
Sa DIE, come Festa nazionale del popolo sardo, unica nostra Festa “non ottriata”, nel corso degli anni è stata via via depotenziata: e non solamente per gli investimenti finanziari viepiù ridotti. Da parte poi della Regione sarda e delle Istituzioni è stata sostanzialmente azzerata, cancellata.
Probabilmente l’opera di studio, ricerca, confronto, sensibilizzazione che vi è stata nei primi anni, dopo l’istituzione nel 1993, ha spaventato soprattutto la politica.
Così la “Festa” da occasione di studio e di risveglio identitario si riduce nel tempo a rito formale e liturgia vuota: con l’Amministrazione Soru viene annacquata e svuotata dei significati storici e simbolici più “eversivi”; la Giunta di Cappellacci la stravolge del tutto: viene addirittura dedicata alla Brigata Sassari! E Pigliaru, la seppellisce definitivamente.
L’attuale Giunta ha altro cui pensare: equilibri di potere.
Ma fin dai primi anni, dopo la sua istituzione, soprattutto da parte di certa intellettualità, se non ascara certo culturalmente subalterna, ai paradigmi storici e storiografici italici, sono state avanzate riserve in merito alla “forza” dello stesso Evento del 28 aprile del 1794:
1. Sarebbe stata “robetta” quello di “cacciare” 514 piemontesi, savoiardi e nizzardi. Dimenticandosi che lo stesso numero è enorme: Cagliari aveva allora 20.000 abitanti, duncas sulla groppa di ogni 40 cagliaritani pesava un parassita che ruotava intorno al vicerè, arrogante e prepotente.
2. Sarebbe stata sostanzialmente una “congiura” de unu grustu de burghesos, antzis de bator abogadeddos, illuministas. Guarda caso, tale ipotesi, combacia esattamente con le posizioni degli storici filo sabaudi come Giuseppe Manno e Vittorio Angius, che, appunto, avevano parlato di “congiura”!
3. I sabaudi sarebbero comunque ritornati dopo qualche mese. Questo è vero. Ma che significa? Dopo la Rivoluzione francese si afferma un despota come Napoleone. E dopo la caduta del Corso si restaurano in tutta l’Europa regimi autoritari, assoluti e liberticidi. Ciò significa negare valore all’Evento dell’89? Chi fa questa obiezione non sa o non capisce che la storia non ha un andamento lineare e rettilineo, ma rinculi e ritorni all’indietro, cadute e regressioni.
In realtà personaggi e intellettuali di valore e diversa provenienza culturale e politica (da Lussu a Lilliu a Maria Rosa Cardia) riconoscono e sostengono l’importanza di quell’evento e di quella temperie culturale e politica in cui si radica la Sardegna moderna, in cui si afferma e si sedimenta una nuova consapevolezza e coscienza da parte dei Sardi.
Questi infatti dopo secoli di rassegnazione, di abitudine a piegare la schiena, di obbedienza, di asservimento e di inerzia, per troppo tempo abituati a abbassare la testa, sopportando ogni tipo di prepotenza, umiliazione, sfruttamento, sberleffi e prese in giro, con un moto di orgoglio nazionale e un colpo di reni, di dignità e di orgoglio, si ribellano e alzano la testa, raddrizzano la schiena e dicono basta!
E voglio precisare che “quelle temperie culturale e politica” non abbraccia – come si suole comunemente affermare – il cosiddetto triennio rivoluzionario (1794-96) ma più che un trentennio rivoluzionario: dal 1780 (rivolta di Sassari contro il governatore Allì di Maccarani ) al 1812 (Rivolta di Palabanda).
E allora?
Allora, al di là dei pretesti sulla “debolezza” dell’Evento o altre tontesas, la verità è che sa DIE dà fastidio. E’ una festa “pericolosa” e “sovversiva”. Anzi: eversiva. Perché può mettere in crisi i compromessi e gli equilibri di potere prima ancora che i paradigmi culturali e politici di tutti i partiti che dominano la Sardegna: del centro sinistra come del centro destra. Di ieri come di oggi.
Per questo l’hanno, di fatto cancellata.
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