Relazione di Luigi Ferrajoli: l’emergenza ambientale.
4. A) L’emergenza ambientale, le possibili catastrofi ecologiche e le garanzie della Terra –
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La prima emergenza, che richiede un costituzionalismo allargato in tutte e tre le direzioni sopra indicate – quale costituzionalismo di diritto privato, quale costituzionalismo dei beni comuni e quale costituzionalismo di livello globale – è l’emergenza ambientale. La nostra generazione ha recato danni irreversibili e crescenti al nostro ambiente naturale. Abbiamo massacrato intere specie animali, avvelenato il mare, inquinato l’aria e l’acqua, deforestato e desertificato milioni di ettari di terra. L’attuale sviluppo sregolato del capitalismo, insostenibile sul piano ecologico, sta avvolgendo come una metastasi il nostro pianeta mettendone a rischio, in tempi non lunghissimi, la stessa abitabilità. Nell’ultimo mezzo secolo, mentre la popolazione mondiale si è più che triplicata, il processo di alterazione e distruzione della natura – le cementificazioni, lo scioglimento delle calotte di ghiaccio in Groenlandia e in Antartide, il riscaldamento globale, gli inquinamenti dell’aria e dei mari, la riduzione della biodiversità, le esplosioni nucleari – si è sviluppato in maniera esponenziale. Contemporaneamente si stanno estinguendo le risorse energetiche non rinnovabili – il petrolio, il carbone e i gas naturali – accumulate in milioni di anni e dissipate in pochi decenni. Lo sviluppo insostenibile sta insomma dilapidando i beni comuni naturali come se noi fossimo le ultime generazioni che vivono sulla Terra.
Di qui la necessità di dar vita a una fase nuova del costituzionalismo che riconosca e garantisca, accanto ai diritti fondamentali, anche quelli che possiamo chiamare beni fondamentali perché vitali – come l’acqua, l’aria, i ghiacciai, il patrimonio forestale – sottraendoli al mercato e alla disponibilità della politica e stipulandone lo status inderogabile di beni costituzionali e perciò indisponibili, onde conservarli e renderli accessibili a tutti.
Assistiamo invece al processo opposto: alle privatizzazioni e alla mercificazione di questi beni. Il caso esemplare è quello di quel bene vitale che è l’acqua potabile, sottoposta a una duplice aggressione: dapprima la sua trasformazione, ad opera delle pratiche predatorie del capitalismo selvaggio – deforestazioni, sperperi, inquinamenti delle sorgenti e delle faglie acquifere – in un bene scarso e non più accessibile a tutti, al punto che circa un miliardo di persone non possono accedervi; poi, proprio per questo, la sua paradossale privatizzazione e trasformazione in merce, nel momento in cui se ne richiederebbe, per la sua scarsità, la garanzia come bene fondamentali di tutti.
Ma non solo l’acqua, ma tutti i beni comuni – l’atmosfera, i mari e i grandi fiumi, le grandi foreste, la biodiversità – sono oggi minacciati dallo sviluppo industriale insostenibile. Parafrasando il preambolo della Carta dell’Onu, una Costituzione della Terra volta a garantire i beni fondamentali del pianeta in aggiunta ai diritti fondamentali, delle persone, potrebbe aprirsi con queste parole: “Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le generazioni future dal flagello dello sviluppo ecologicamente insostenibile che nel corso di una generazione ha provocato indicibili devastazioni al nostro ambiente naturale, conveniamo” le seguenti, urgenti misure a garanzia dei seguenti beni fondamentali dell’umanità.
La riflessione teorica promossa dalla nostra scuola dovrà identificare questi beni e queste misure: l’istituzione di autorità mondiali di garanzia dell’ambiente, deputate alla sorveglianza sull’intangibilità dei beni fondamentali, all’imposizione di limiti e controlli in ordine all’emissione di gas serra, alla deliberazione di sequestri e sanzioni nei confronti di quanti violano le regole e le garanzie poste a tutela di tali beni vitali. La più importante di queste garanzie è una vecchia figura, nota fin dal diritto romano: quella del demanio, cioè della sottrazione al mercato dei beni comuni attraverso la loro qualificazione come beni demaniali. Con due correttivi. In primo luogo la costituzionalizzazione del loro status di beni demaniali. Oggi i beni demaniali sono definiti dalla legge: in Italia dal Codice civile, che qualifica come tali una lunga serie di cose (le spiagge, i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi, le strade statali e simili). Ma la legge può disporne, come è avvenuto in Italia, la privatizzazione e la trasformazione in beni patrimoniali che solo la loro costituzionalizzazione può impedire. In secondo luogo è necessaria l’istituzione di più tipi di demanio: oltre agli odierni demani comunali, regionali e statali, anche, i demani sovra-statali, europei o anche globali, onde porli al riparo dalle aggressioni provenienti dall’industria e dal mercato globale. Di un futuro demanio planetario dovrebbero far parte l’acqua potabile, i ghiacciai, i mari, i litorali marini e la foresta amazzonica, vittima da anni di incendi criminali.
Va aggiunto che una politica razionale diretta alla tutela dei beni ecologici richiede oggi una lotta contro il tempo. C’è infatti una terribile novità rispetto a tutte le catastrofi del passato. Sempre, dalle altre catastrofi, anche le più terribili – dalle guerre mondiali ai genocidi – la ragione giuridica e politica ha tratto lezioni, formulando contro il loro ripetersi nuovi patti costituzionali, nuovi “mai più”. Diversamente da tutte le altre catastrofi passate della storia umana, la catastrofe ecologica è in larga parte irrimediabile, e forse non faremo a tempo a trarne le dovute lezioni. Per la prima volta nella storia c’è il pericolo che si acquisti la consapevolezza della necessità di cambiare strada e di stipulare un nuovo patto quando ormai sarà troppo tardi. Ma possiamo anche dire che per la prima volta nella storia l’emergenza ambientale può offrire, forse più di qualunque altra, l’occasione per costringere la popolazione del pianeta a mettere da parte i tanti conflitti e interessi meschini e per unificarla intorno a una battaglia comune, contro una minaccia comune, per una causa comune.
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