Il pianeta di tutti. Come il capitalismo ha colonizzato la Terra

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I limiti del “modello estrattivo” di crescita economica

di Gianfranco Sabattini

Il libro “Il pianeta di tutti. Come il capitalismo ha colonizzato la Terra”, scritto da Vandana Shiva con la collaborazione di Kartikey Shiva (fisica ed economista indiana, considerata tra i massimi esperti di ecologia sociale, la prima, e reporter, il secondo), al di là del fideismo induista dell’autrice, è una sorta di Manifesto rivolto a tutti gli uomini di buona volontà, perché si impegnino, prima che sia troppo tardi, a contrastare le idee oggi dominanti che, “in fatto di sapere, di creazione di ‘ricchezza’ e di democrazia ‘rappresentativa’ violano i limiti del pianeta, i diritti delle tante specie che lo abitano, così come i diritti umani e la libertà di gran parte delle persone”.
Si tratta di idee, afferma Vandana Shiva (sulla base di un rapporto del “Comitato Oxfam”, una confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà nel mondo), professate da un’esigua minoranza di persone in grado di condizionare le decisioni politiche, attraverso il potere del quale dispongono per essere i controllori di una parte considerevole della ricchezza esistente nel mondo.
Nel 2016, il “Comitato” ha presentato infatti un rapporto, intitolato “Un economia per l’1%”, rivelando che i patrimoni accumulati dall’1% più ricco delle popolazione mondiale uguagliano quelli della metà più povera dell’umanità (stimata pari a 3,6 miliardi di persone). Il potere unico del denaro – afferma Vandana Shiva – consente che questa estrema minoranza di persone che abitano la Terra esponga a un rischio irreversibile di distruzione il nostro pianeta e la vita degli esseri umani, senza dover rendere conto delle proprie azioni.
Aspirare al benessere è un fenomeno atemporale e la “ricchezza” non è che il suo supporto materiale; ma l’intromissione del mercato tra l’umanità e il suo benessere, oltre ad avere assicurato una produzione di ricchezza come mai era accaduto in passato, ha anche contribuito, quando non è stata politicamente regolata, a creare disuguaglianze distributive che hanno originato situazioni sociali insostenibili. Soprattutto con l’avvento della globalizzazione, la disgregazione sociale seguita alla crescente polarizzazione economica è diventata un tratto comune a tutte le comunità del mondo. Per questo motivo, non esiste società – sostiene Vandana Shiva – che allo stato attuale, soprattutto dopo la Grande Recessione del 2007-2008, non sia alle prese con la crisi della democrazia; ciò è accaduto “perché il denaro [ha sequestrato] il sistema delle democrazia rappresentativa, e le elezioni [sono state utilizzate] per dividere la gente con l’odio e la paura”. Si tratta di una situazione che ha condotto l’umanità sull’orlo del baratro, poiché “ogni aspetto del modo di pensare e di vivere dominante sta distruggendo la capacità della Terra di garantire il nostro sostentamento”.
Si tratta di una previsione apocalittica, che però consente di evidenziare alcuni tratti reali delle non desiderabili condizioni di vita che l’umanità è costretta a subire per effetto dell’inarrestabile processo di polarizzazione della ricchezza prodotta. Ciò perché l’1%, continuando a consolidarsi, alimenta una coercizione antidemocratica con cui riesce ad imporre al “mondo i suoi parametri e le sue narrazioni”, per assumere “il controllo di ogni ambito delle nostra vita”, attraverso un’architettura materiale e intellettuale che separa artificialmente l’umanità dalla Terra e gli uni dagli altri. Il potere dell’1% non solo sta separando l’umanità dalla Terra, ma concorre ad affermare l’idea che la natura sia “materia morta e inerte, mera materia grezza da sfruttare” al servizio di un capitalismo che, grazie al modello estrattivo di crescita economica continua, ha elevato a scienza un paradigma di utilizzazione delle risorse naturali “inadeguato, riduzionistico, meccanicistico”; mentre “il riconoscimento della Terra come natura vivente” è stato politicamente relegato ad argomento del tutto irrilevante e marginale. In tal modo – continua Vandana Shiva – l’ignoranza ecologica e quella delle sue ricadute negative sulla vita sociale delle comunità ha consentito al dominio dell’1% di “spadroneggiare sul mondo”.
E’ da irresponsabili consentire al potere di un ristretto numero di persone di disporre, a propria discrezione e nel loro esclusivo interesse, delle risorse naturali e dei processi ecologici dell’intero pianeta; ciò significa non riconoscere che quando i sistemi economici del mondo funzionano in conflitto con l’ecologia si arriva ad accettare come fatto normale il consolidarsi di una contraddizione anche dal punto di vista delle logica comportamentale propria della scienza economica, alla quale dovrebbe attenersi l’ideologia del capitalismo neoliberista globalizzato, ispiratrice delle pretese totalizzante dell’1%. La compromissione delle opportunità offerte dal sistema Terra sono sono confermate dalle continue crisi (climatiche, geologiche, idriche, alimentari ed altre ancora) che affliggono l’intera umanità; esse, infatti, sono il sintomo della distruzione dei processi ecologici che presiedono alla conservazione della natura, che costituisce il vero capitale sul quale è fondata la conservazione delle varie forme di vita esistenti sulla Terra.
In questo modo, la fruizione delle risorse della Terra promossa dalla propensione illimitata ad accumulare sta trasformando l’abbondanza in scarsità, con la compromissione dei più elementari diritti del restante 99% dell’umanità, quali quelli che presiedono alla sostenibilità della crescita economica.
La maggior contraddizione che caratterizza il potere dell’1% è la pretesa – sottolinea Vandana Shiva – di separare l’umanità dalla Terra, senza rilevare che ciò costituisce “una visione del mondo, un paradigma, un’ideologia, un modo di vedere e plasmare il pianeta [...] con mezzi violenti”, attraverso i quali sono state modellate “le nostre idee sul sapere, la scienza e la tecnologia, sull’economia, la produzione e il consumo, sulla democrazia e la libertà, su ciò che noi siamo, sulla nostra identità e i nostri fini, sulle ragioni per cui siamo al mondo”. Si tratta di una separazione che caratterizza tre aspetti della vita dell’uomo: rispetto alla natura, rispetto ai suoi simili (secondo criteri di classe, religione, razza e genere) e rispetto all’Io di ogni singolo uomo dal suo essere integrale e interconnesso.
Il primo aspetto, quello che si riferisce alla separazione dalla natura ha originato ciò che Vandana Shiva chiama eco-apartheid. Si tratta di una disgiunzione che dissocia “il suolo e la Terra dai nostri corpi e dalle nostre menti”, separando “gli aspetti interconnessi della natura, frammentandola in tante parti da sfruttare, possedere, commerciare, distruggere e gettare via”. L’eco-apartheid, inoltre, separa “i potenti dalle conseguenze delle loro azioni, creando la possibilità di una totale impunità e irresponsabilità”. In tal modo, il potere dell’1% può estrarre ricchezza dalla natura, senza rendere conto ad alcuno dei danni che arreca al restante 99% dell’umanità, definendo il suo estrattivismo come “’progresso’ scientifico, economico e umano”.
Il secondo aspetto della separazione, quello che isola gli uomini gli uni dagli altri, crea all’interno delle singole comunità delle disuguaglianze di varia natura, con cui le diversità degli uomini, da fonte di ricchezza, vengono trasformate nella base dei loro conflitti.
Infine, la separazione dell’Io dal suo essere integrale vale, per i potenti, a configurare la loro natura in termini di “un’avidità senza freni e nella ricerca di un potere illimitato”; mentre, agli oppressi viene riservato un senso di insicurezza, paura e odio nei confronti degli altri, cioè una natura che trasforma questi sentimenti in violenza che “diventa onnipervasiva e strutturale, riprodotta ogni giorno nei nostri modi di pensare e nel sistema economico-politico”.
In sostanza, secondo Vandana Shiva, il potere unico dell’1% sfrutta le varie forme di separazione per estrarre ricchezza e poi realizzare nuove forme specifiche di integrazione dei settori produttivi per aumentare sempre più il suo potere di estrazione, plasmando i sistemi economici in modo da giustificare l’accumulazione continua di ricchezza come una virtù, invece che come conseguenza di “aberrazioni da correggere attraverso i processi sociali e democratici”.
Molti critici del mancato governo della globalizzazione si chiedono come sia stato possibile che il mondo cadesse vittima del potere assoluto dell’1%; sono molti coloro che affermano che il consolidarsi dello stato attuale del mondo sarebbe da ricondursi all’affermazione dell’ideologia neoliberista, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso. A parere di Vandana Shiva, il neoliberismo sarebbe solo il paradigma economico “che ‘naturalizza’ la violenta imposizione delle multinazionali e dell’1 per cento”; se è vero che la globalizzazione ha consentito che l’1% accumulasse in sé l’enorme potere del quale dispone, è altrettanto vero però che tale potere non è sempre esistito.
Esso, infatti ha potuto affermarsi grazie a contesti sociali che hanno consentito l’eccessiva polarizzazione della ricchezza e il progressivo affievolimento del funzionamento della democrazia. Ciò ha consentito che l’1% potesse legittimare la tesi secondo cui solo l’accumulazione continua di ricchezza può garantire crescenti livelli di benessere e solo chi riesce ad accumulare ha titolo per stabilire il modo in cui può funzionare, in termini ottimali, l’economia e quali siano le regole più convenienti di distribuzione del prodotto sociale. La crescita continua della polarizzazione della ricchezza concentrata nelle mani di un piccolo gruppo di soggetti, “che nessuno ha eletto e che non sono tenuti a rendere conto del loro operato”, consente a questi ultimi di influenzare i governi, di attenuare l’efficacia del controllo democratico sul loro operato e di plasmare a loro discrezione il futuro del pianeta.
L’umanità si trova ora a dover fare una scelta: o consentire al dominio assoluto dell’1% di condurla alla probabile estinzione; oppure decidere – afferma Vandana Shiva – di spargere “i semi del futuro [...], con la consapevolezza e la convinzione che l’estinzione non è inevitabile”, in quanto dispone del “potenziale per seguire un altro cammino, sul sentiero aperto dal nostro impegno per una co-evoluzione pacifica” dell’ecologia e dell’economia. La consapevolezza dell’umanità di poter realizzare un cambiamento compatibile con questa seconda alternativa è la base per fugare e respingere la proposta di chi è del parere che l’umanità, per evitare l’alto rischio di estinzione cui è esposta, debba entro un secolo prepararsi ad abbandonare il pianeta per colonizzarne altri.
Si tratta di un’idea, a parere di Vandana Shiva, che non fa altro che alimentare l’illusione che i limiti del pianeta possano essere ulteriormente violati dall’1% e che il progresso umano possa continuare ad essere realizzato “avulso dalla sua unione indissolubile con la Terra”. Ciò significherebbe accettare il riconoscimento che la Terra è l’unica dimora che l’umanità ha a disposizione, ma anche riconoscere che il rischio cui è esposta deriva, in realtà, dalla colonizzazione arbitraria della Terra da parte dell’1% e dal fatto che lo sparuto gruppo di soggetti che lo compongono non sia chiamato a rendere conto delle distruzioni causate col loro operato.
L’idea di fuga, conclude Vandana Shiva, ha alimentato nel passato la logica di conquista e di possesso di alcuni popoli a danno di altri; la stessa logica, a titolo di riconoscimento della presunta virtù dell’azione dell’1%, la si vorrebbe ora applicare alla colonizzazione di altri pianeti.
Cha dire della critica dell’economista indiana formulata contro i limiti di una globalizzazione alimentata e sorretta dal modello estrattivo di crescita economica globale? Al di là della natura fideistica della critica e di quella idealistica degli auspici, non si può certo dire che Vandana Shiva non colga nel segno quando individua la causa dei mali e dei rischi cui è esposta l’umanità nell’eccessiva concentrazione del potere economico nelle mani di un gruppo sempre più ristretto di individui che, grazie al loro eccessivo potere economico, hanno affievolito, se non annullato, ogni possibile forma di controllo sociale del loro operato.

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