Oltre il PIL

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La trappola di una crescita fredda e insostenibile
di Mauro Gallegati
sbilanciamoci-20
30 Gennaio 2020 | Sbilanciamoci- Sezione: Apertura, Economia e finanza
Tratto comune a tutti i Paesi è che mentre il Pil cresce, il capitale naturale si deteriora. In era robotica poi si parla di disaccoppiamento tra crescita del Pil e dell’occupazione. L’ora di dire addio alla dittatura del Pil e di usare indicatori di benessere multidimensionali è suonata.

Come recita il titolo di un fortunato libro, il Pil è “una misura sbagliata della nostra vita”. Ora, a parte gli irriducibili mainstream (neo)liberisti, “ragionieri dell’economia” – la definizione è di Paolo Sylos Labini che così bollava chi considera solo i costi monetari e trascura gli altri – sono sempre più quelli che valutano il benessere come prodotto da vari domini.

Un tratto comune a tutti i Paesi è che mentre il Pil cresce, il capitale naturale si deteriora, come in una trappola evolutiva – una configurazione ambientale scelta da una specie perché sembra vantaggiosa nell’immediato, ma che nel tempo si rivela foriera di effetti negativi per la specie stessa. È un segno caratteristico dell’Antropocene – l’epoca geologica attuale in cui alle attività umane sono attribuite le cause principali delle modifiche territoriali, ambientali e climatiche – quello di produrre beni e servizi a scapito dell’ambiente, cioè di noi stessi. La giustificazione per decenni è stata quella del male necessario: se vogliamo avere più beni a disposizione o un lavoro che ci consenta una remunerazione monetaria per vivere, dobbiamo rinunciare ad un po’ di “verde”.

Ora però siamo di fronte a due nodi: 1) La quasi totalità degli scienziati ci dice che ci stiamo avvicinando al punto critico dell’ambiente, ovvero l’inquinamento sta superando la capacità di carico dello stesso; 2) il legame tra Pil e occupazione è assai indebolito, se non scomparso. Gli economisti parlano di “disaccoppiamento”, di crescita fredda: il Pil aumenta senza che ci sia creazione di nuova occupazione poiché la produttività continua a crescere grazie ai “robot” – e con essa i profitti – ma non i salari e gli occupati, provocando la scomparsa della classe media e il fenomeno di chi, pur lavorando, resta povero.

Se guardiamo al solo Pil e alla sua crescita dobbiamo riconoscere non solo che la sostenibilità è impossibile (l’entropia ci dice che non saremo mai in grado di produrre senza scorie che non potranno mai più rientrare nel ciclo produttivo – i processi di riciclo o recupero devono essere certo affiancati a processi produttivi meno inquinanti, e il mercato lo farà certo spontaneamente, ma semmai sotto la spinta dei consumatori – e di policy maker e imprenditori lungimiranti), ma che non abbiamo gli strumenti per affrontare le crisi attuali: quella ambientale e quella distributiva – di reddito, ricchezza e sfruttamento delle risorse naturali – all’origine dei fenomeni di populismo e nazionalismo che minano la democrazia. Occorre prendere coscienza che per risolvere i problemi abbiamo bisogno delle metriche adeguate. E il Pil non lo è, né invero era stato pensato per quello. Sembra ovvio all’uomo comune – ma non ai ragionieri dell’economia – riconoscere che il benessere non dipende solo dalla crescita del Pil, ma anche dalla società e dalla natura.

È necessario un cambio di paradigma: liberarci dall’assillo della crescita a tutti i costi. Acrescere non solo si può, ma si deve. Se il Pil crescesse al 4% l’anno, a vantaggio del solo 1% della popolazione mentre gli occupati fossero in diminuzione, dovremmo esserne contenti? E ancora: se l’economia entrasse in conflitto con l’ecologia, fino a che il collasso di questa determinasse la scomparsa della vita e dunque della prima, dovremmo preoccuparci? Mentre appare non più procrastinabile adottare produzioni ad impatto ambientale zero, che generino sprechi quasi nulli, il cambio “verde” è necessario, ma non sufficiente. Solo il progresso (l’aumento del benessere) e non la crescita (del Pil) è sostenibile.

Solo riconoscendo la natura multidimensionale del benessere – dove natura, economia e società convivono – la sostenibilità ha un senso. La Cappella Sistina non viene valutata nel Pil, ma ha certamente aumentano il benessere dell’umanità; così come la ricerca scientifica e le ricadute nella speranza di vita dell’uomo. Occorre riconoscere che il nostro rapporto con l’economia va cambiato. Intanto dovremmo mirare al benessere e non alla massimizzazione del solo Pil. Smetterla quindi di cercare di dare un prezzo a tutto, ossia di assumere che il Pil sia la misura della nostra vita. Gli economisti dovrebbero essere “scienziati sociali”, riformatori utili. Ci si è accorti ora che la sostenibilità è importante. Bene. Ovvio che una crescita “verde” è meglio di una “grigio topo”. Ma entrambe prima o poi si fermeranno perché le leggi della fisica sono invalicabili ed è sensato parlare di “economia circolare” come lo è discutere del moto perpetuo.

Dobbiamo fare un passo ulteriore riconoscendo che il solo benessere, e non il Pil, può essere sostenibile. Coi loro modelli matematici astratti e di equilibrio – sarà il caso di ricordare che, per la scienza, un organismo in equilibrio è tale solo quando è morto? – gli economisti mainstream appaiono sempre più come quei collezionisti di eserciti in miniatura che con questi vogliono invadere la Grecia.
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Manifesto di Assisi, per un economia a misura d’uomo
di Leonardo Becchetti 22 gennaio 2020 su Vita

Promosso da Symbola con i suoi 2000 firmatari riassume economisti, rappresentanti delle istituzioni e imprese leader sul fronte della sostenibilità che intendono lavorare assieme in direzione di un’economia circolare. «Vogliamo trasformare la transizione ecologica in un grande vantaggio competitivo centrato sulla vocazione italiana: un Paese ricco di biodiversità, di capacità d’innovazione, di beni e servizi di qualità, di ricchezza di senso del vivere», spiega Leonardo Becchetti, uno dei primi firmatari

La sfida è invisibile e non per questo meno insidiosa. In Italia nessuno muore per terrorismo islamico mentre si stima che circa 219 persone al giorno muoiono nel nostro paese per inquinamento. I morti della più grave strage in Italia, quella della stazione di Bologna, sono stati 85. Immaginiamo cosa accadrebbe se i giornali dovessero riportare ogni giorno la cronaca di 3 stragi gravi quasi come quella di Bologna. Non parleremmo e non ci preoccuperemmo che di questo. E questa triste contabilità non include i rischi crescenti del riscaldamento climatico, il continente di plastica a largo dell’Oceano Atlantico e i flussi enormi di migranti climatici che dal Sahel arrivano verso le sponde del Mediterraneo.

Dobbiamo imparare a conoscere il più grande nemico invisibile dei nostri tempi e ad affrontarlo. Per trasformare la sfida e il pericolo in un’opportunità. Il manifesto di Assisi promosso da Symbola con i suoi più di 1600 firmatari rappresenta una tappa fondamentale in questa battaglia perché sancisce la nascita di una coalizione molto vasta di interessi e rappresentanze del paese (dai frati francescani di Assisi, agli economisti dell’economia civile, ai rappresentanti delle istituzioni, alle imprese leader sul fronte della sostenibilità nel paese) che intendono lavorare assieme in direzione di uno sviluppo sostenibile. Sono grato all’amico Ermete Realacci per avermi coinvolto nella sua sottoscrizione e promozione al principio del percorso.

Dietro questo manifesto c’è un’offensiva culturale concentrica che parte dallo sviluppo del concetto di ecologia integrale della “Laudato Si” e si svilupperà poi attraverso tre grandi eventi centrati su questi temi nel prossimo futuro (l’incontro con 2000 giovani di tutto il mondo di Economy of Francesco, il Festival Nazionale dell’economia Civile in aprile a Firenze sul tema della Ri-Generazione e il percorso delle Settimane Sociali che culminerà nell’evento del Gennaio 2021 a Taranto).

La sensibilità al tema della sostenibilità ambientale in Italia, in Europa e nel mondo sta crescendo senz’altro. I dati della European Social Survey ci dicono che circa il 90 percento degli intervistati in 28 paesi crede al riscaldamento climatico e al fatto che dipenda dalla nostra responsabilità e non da cause naturali. Le percentuali italiane sono in linea con la media europea. Lentamente i comportamenti dei cittadini stanno cambiando con l’abitudine alla raccolta differenziata, l’attenzione allo spreco e all’uso della plastica e il consumo responsabile che premia prodotti più sostenibili che sono spesso anche più salutari.

Si è parlato molto in questi giorni di Green New Deal con un approccio a mio avviso sbagliato. Diamo a questo proposito una cattiva e una buona notizia. La cattiva notizia è che i 1000 miliardi promessi sono pochi se rapportati alla disponibilità annua per ciascuno dei 27 paesi. La buona notizia è che il successo del Green New Deal non si misura sulla quantità di risorse pubbliche messe in campo ma sulla capacità di combinare un insieme di nuove regole e di incentivi fiscali smart in grado di modificare i nostri stili di vita e di stimolare l’innovazione e il cambiamento di mix produttivo dell’industria verso la sostenibilità. Stiamo parlando di estensione e semplificazione dei criteri ambientali minimi negli appalti, di riduzione progressiva dei sussidi ambientalmente dannosi, di sistemi di rating e d’informazione ai cittadini in grado di stimolare il loro voto col portafoglio e l’incentivo alla transizione ecologica per le imprese. E, fondamentale infine, di una tassa per i prodotti che entrano nello spazio economico dell’Unione Europea in grado di combattere il dumping ambientale (la Carbon Border Tax) con la quale sarà possibile raccogliere ulteriori risorse per gli stati membri.

Il manifesto traccia una via e indica un’orizzonte di senso fondamentale per il nostro paese. L’Italia, già all’avanguardia in Europa per economia circolare e sviluppo delle rinnovabili, può trasformare la transizione ecologica in un grande vantaggio competitivo centrato sulla sua vocazione. Quella di essere un paese ricco di biodiversità, di capacità d’innovazione, di beni e servizi di qualità, di ricchezza di senso del vivere. L’alleanza tra leader spirituali, accademici civili e grandi imprese innovatrici non è casuale perché il successo della trasformazione passa attraverso una rivoluzione spirituale, culturale ed industriale che è già avviata e deve arrivare a piena maturazione e compimento.

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