“Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo, solidale”*
Sei ore per quattro giorni a settimana, con lo stesso stipendio. La proposta rivoluzionaria della premier finlandese
Su fortebraccionews News del 5 gennaio 2020
In Italia, per anni, è stato tra gli slogan più potenti della sinistra operaista, una proposta avanzata per la prima volta negli anni ’70 da un piccolo partito, “Democrazia Proletaria” (che aveva tra i suoi militanti anche Peppino Impastato), e sempre bollata come utopistica e irrealizzabile: “Lavorare meno, lavorare tutti”, ossia ridurre l’orario di lavoro mantenendo uguale il salario. Una proposta che, nel nostro Paese, non ha mai riscosso un grande successo. Eppure, secondo tanti osservatori, al netto dei benefici per le persone e per i lavoratori, cui verrebbero restitutiti tempi e spazi di vita, è una delle strade possibili per fronteggiare la riduzione dei posti di lavoro causata dall’avvento dell’automazione e dell’intelligenza artificiale: lavorare meno, lavorare tutti, appunto. Ma cosa succede altrove?
A febbraio 2018, in Germania, nella regione del Baden Wuerttemberg è stato firmato un accordo collettivo che copre circa 900.000 metalmeccanici ed elettrici tedeschi per la riduzione dell’orario di lavoro a 28 ore, seppur con qualche penalizzazione sulle retribuzioni. In Svezia, nella città città di Goteborg, è stato ridotto l’orario di lavoro a sei ore al giorno ai dipendenti dell’ospedale municipale, senza variazioni allo stipendio. I risultati sono incoraggianti: il personale è più felice, più sano e più produttivo e persino i pazienti sono più soddisfatti. La sperimentazione ha interessato anche il settore privato. La giornata di 6 ore è stata introdotta in Svezia anche dalla Toyota. Il risultati? Dipendenti più soddisfatti e produttività in aumento.
Ed è proprio l’esperienza svedese che ha ispirato la proposta rivoluzionaria di Sanna Marin, la premier finlandese, la più giovane al mondo, che ha proposto una drastica riduzione dell’orario di lavoro: 6 ore per quattro giorni a settimana, a parità di salario: “Una settimana lavorativa di quattro giorni, di sei ore ciascuno, con lo stesso stipendio – ha detto Sanna Marin – potrebbe essere il prossimo passo per la Finlandia. Otto ore sono davvero l’unica scelta possibile? Credo che le persone meritino di trascorrere più tempo con le loro famiglie, con i propri cari, dedicandosi agli hobby e altri aspetti della vita, come la cultura. Questo potrebbe essere il prossimo passo per noi”. Attualmente, in Finlandia si lavora come in Italia: otto ore al giorno per cinque giorni a settimana.
Fortebraccio News
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Cresce l’attenzione alle dimensioni e alla vulnerabilità del lavoro informale
di Viola Brancatella su ASviS
Il 61% della popolazione mondiale è occupata nel lavoro informale: bisogna sostenere i lavoratori e avviare un piano di protezione sociale che riduca la vulnerabilità e aiuti la transizione al lavoro formale, dice l’Ocse. 3/1/20
Oggi due miliardi di persone in tutto il mondo sono occupate in un lavoro informale, che, per sua definizione, non prevede un regolare contratto, non è soggetto alle legislazioni nazionali sul lavoro e non ha diritto alla protezione sociale e ad altri benefici sul lavoro, come il preavviso di licenziamento, il trattamento di fine rapporto e il congedo annuale pagato per malattia e maternità.
Di questo tema si continua a discutere. In novembre, “Measuring the Informal Economy”, la misura dell’economia informale è stata oggetto del 7mo Statistical forum organizzato dal Fondo monetario internazionale.
Il quadro più aggiornato delle dimensioni dell’economia informale è quello del il rapporto Ocse del maggio scorso “Tackling Vulnerability in the Informal Economy”, elaborato con la collaborazione della Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), che analizza i dati disponibili su 119 Paesi e un campione di nuovi indicatori sull’informalità nelle famiglie di 27 Paesi in via di sviluppo.
Il 61% della popolazione mondiale è occupato nel lavoro informale; l’informalità si verifica in tutti i tipi di lavoro e colpisce globalmente più di quattro lavoratori su cinque in proprio, un datore di lavoro su due e due persone su cinque che lavorano in famiglia, secondo i dati del Rapporto.
I settori più colpiti da questo fenomeno sono l’agricoltura e l’industria, con quasi il 94% di lavoratori informali occupati nel primo caso e il 57% nel secondo.
Il dossier rileva, inoltre, che l’informalità rappresenta il 70% di tutta l’occupazione nelle economie emergenti, rispetto al 18% dei Paesi sviluppati, e che colpisce maggiormente i giovani sotto i 15 anni e gli anziani sopra i 60 anni, raggiungendo il 94% tra gli individui senza un’istruzione di base.
Il Rapporto mette in luce anche la dimensione familiare del lavoro informale, mostrando che, generalmente, tutti i componenti delle famiglie analizzate sono occupati nel lavoro informale, inclusi bambini e anziani, con delle differenze sostanziali tra Paesi: in Cile questo fenomeno riguarda il 3% della popolazione, mentre in Burkina Faso raggiunge il 92%.
I lavoratori informali, inoltre, affrontano rischi di povertà due volte più alti rispetto agli altri lavoratori, a causa di una combinazione di fattori, tra cui la mancanza di accesso alla protezione sociale, con conseguenze drammatiche per donne, bambini e anziani.
Accanto all’analisi delle molteplici facce del lavoro informale a livello globale, il dossier mette in risalto il contributo dell’economia informale alla crescita del Pil nazionale, sia in modo diretto che indiretto, raggiungendo un contributo del 30% nel settore agricolo, e invita i policy maker all’estensione della protezione sociale anche ai lavoratori informali.
“L’obiettivo della protezione sociale universale – spiega il dossier – può essere raggiunto soltanto se effettivamente viene esteso anche agli impiegati nell’economia informale”, con la conseguenza positiva di arginare la vulnerabilità economica delle famiglie coinvolte nel lavoro informale e di favorire la transizione al lavoro formale.
A questo proposito, il dossier propone un piano di azione politico per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori informali, come primo passo verso il lavoro formale, che prevede le seguenti aree prioritarie di intervento: garantire l’estensione della protezione sociale al settore informale; migliorare la sicurezza e la salute sul lavoro; aumentare la produttività e il reddito del settore; creare un mix di politiche che incentivi la formalizzazione delle imprese e incoraggi la conformità legale; infine, conferire potere ai lavoratori e ai datori di lavoro informali grazie all’organizzazione, la rappresentanza e l’impegno nel dialogo sociale, inclusa la contrattazione collettiva.
Nuovi modelli politici di inclusione sul lavoro – conclude il dossier – insieme ad altre misure per aumentare la produttività e il reddito lavorativo, possono ridurre la vulnerabilità dei lavoratori informali, diventando un esempio di dignità sul lavoro, sviluppo inclusivo e giustizia sociale.
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- L’immagine in testa è tratta da sito dell’ASviS.
* “Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo, solidale”
E’ una frase tratta dall’Esortazione apostolica di Papa Francesco Evangelii Gaudium.
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