Il Vietnam ieri e oggi

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Il nostro amico e collaboratore Raffaele Deidda, di ritorno dal Vietnam ha scritto queste riflessioni, che meritano di essere pubblicate anche come occasione di dibattito. Raffaele ci segnala di aver notato come anche i suoi compagni di viaggio cominciavano a perdere la memoria degli eventi vietnamiti, e io come loro, che ne sono stato contemporaneo negli anni della contestazione giovanile (dal 68 agli anni 70) Le molte manifestazioni per i “compagni vietnamiti, contro l’imperialismo americano” anche a Cagliari, al di là degli errori di valutazione e delle troppe semplificazioni, ci facevano sentire protagonisti delle lotte di liberazione dei popoli oppressi di tutto il mondo. Questo è forse la cosa più bella che con Raffaele e con tutti i compagni di quei tempi ci portiamo addosso (f.m.)
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Il Vietnam senza “lo zio Ho”
di Raffaele Deidda
Fa uno strano effetto sostare di fronte all’austero mausoleo di Ho Chi Minh ad Hanoi. Si viene colti da un coacervo di sensazioni che trasferiscono emozione e rispetto per il liberatore del Vietnam. Anche se lo “Zio Ho”, come lo chiamano in tanti, essendo morto nel 1969 non ha visto la fine, nel 1975, della guerra di liberazione contro l’invasore americano. E’ un effetto particolare soprattutto per chi negli anni della guerra scendeva in piazza a protestare contro gli yankee invasori e ad inneggiare ad Ho Chi Minh e al generale Giap, il capo militare del Viet Minh di Ho Chi Minh nella guerra d’Indocina e dell’Esercito popolare vietnamita nella guerra del Vietnam.
Per i giovani di allora, e non solo, il Vietnam era un mito alimentato anche dalle immagini dei film come “Apocalypse Now e “Il Cacciatore”. Il rifiuto della sporca guerra iniziata da Kennedy (si, proprio da quel Jonh Fitzgerald Kennedy che sembrava rappresentare, prima di essere assassinato, il volto progressista e democratico degli Stati Uniti) e proseguita da Nixon, era totale e incondizionato, anche se non erano del tutto note le dinamiche di quel conflitto che si svolgeva così lontano dalle nostre città. Come incondizionata era l’ammirazione per un popolo che già aveva sconfitto potenze come la Cina, la Francia e il Giappone e che combatteva contro il nemico più forte militarmente, massicciamente presente in Vietnam perché preoccupato che dalla riunificazione del nord e del sud del paese potesse prendere vita la minaccia comunista su base planetaria, con l’allora Unione Sovietica che sosteneva apertamente i vietcong.
Il Vietnam riuscì ad accomunare in tutto il mondo persone con tendenze culturali e politiche molto diverse, da quelle comuniste-marxiste a quelle cattoliche e liberal-socialiste, empatiche con la rivendicazione di Ho Chi Minh di difendere l’unità e soprattutto l’indipendenza del paese. La solidarietà ai vietnamiti in lotta era rafforzata dall’idea che fosse cosa giusta stare dalla parte del più debole che lottava contro il gigante invasore. [segue]
Dopo il ritiro delle truppe statunitensi nel 1973, i nordvietnamiti continuarono gli attacchi contro i sudvietnamiti, espugnando Saigon nel 1975 e proclamando poi la riunificazione dei due Vietnam sotto il nome di Repubblica socialista del Vietnam. Saigon fu ribattezzata con il nome Città di Ho Chi Minh, in onore di colui che aveva saputo portare il Paese all’indipendenza e alla vittoria finale sulla più grande potenza politico-militare del mondo e che non aveva fatto in tempo a godere quella grande felicità circondato dal suo popolo.
Il bilancio umano finale del conflitto è tragico, con più di due milioni di morti, tre milioni di feriti e dodici milioni di profughi tra i vietnamiti e 60.000 mila morti e 150.000 feriti fra i soldati statunitensi. Tuttora incalcolabili i danni prodotti dai bombardamenti americani ai siti d’interesse culturale come My Son, oggi patrimonio dell’Umanità. Terrificanti le conseguenze delle armi chimiche usate dagli USA, con i defoglianti che hanno devastato l’ambiente e prodotto tumori e malformazioni fisiche. Pare accertata la trasmissione genetica degli effetti mutogeni dei defoglianti. Grazie ai reportage dei fotografi di tutto il mondo sono stati resi noti gli orrori della guerra in immagini che hanno sconvolto l’umanità. Come la terribile foto della bambina nuda che corre sul sentiero aggredito dal napalm.
Dopo la conquista di Saigon da parte dei vietcong ebbe inizio un’altra tragedia, con la fuga dal Vietnam del Sud di moltissimi sostenitori del dittatore Ngo Dinh Diem, filoamericano. Si imbarcarono in massa su fragili battelli nell’Oceano Pacifico, sperando di poter essere salvati da pescherecci o navi mercantili in navigazione. Vennero chiamati “boat people” dalla stampa internazionale e presentati all’opinione pubblica come perseguitati, a ragione, dal nuovo regime comunista. E’ noto che l’allora Presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini diede mandato al Capo del Governo Giulio Andreotti di salvare quanti più profughi possibile e la Marina Militare italiana riuscì a mettere in salvo, portandole in Italia, 907 persone di cui 125 bambini.
Questo ieri, e oggi? Oggi il Vietnam è un paese di oltre 90milioni di abitanti governato da un partito unico, il Partito Comunista del Vietnam che nel 1986 ha adottato un pacchetto di riforme chiamato Doi Moi (Nuova Economia), dando il via alla transizione verso il libero mercato, con l’abbandono della pianificazione centralizzata di stampo stalinista. Successivamente alla rimozione dell’embargo statunitense nel ‘94 e a un sempre maggiore numero di liberalizzazioni con l’apertura del paese ai capitali stranieri, l’economia del Vietnam ha registrato un vero boom, con tassi di crescita annui superiori al 6%. Il paese si è trasformato da importatore di prodotti agricoli a maggiore esportatore mondiale di pepe, caffè e cocco e secondo esportatore di riso. Molte imprese, anche italiane, hanno delocalizzato le loro attività produttive in Vietnam, fra queste la Geox e la Piaggio. Il Vietnam è oggi un paese in via di sviluppo che punta con decisione alla crescita economica, alla riduzione della povertà e alla stabilità politica. Se non ci fosse un governo “comunista” (sono quasi introvabili le bandiere con la falce e il martello) che attua un controllo particolare del sistema economico, Il Vietnam potrebbe essere considerato un paese capitalista a tutti gli effetti. Viaggiando al suo interno è facile osservare la vorticosa crescita del settore turistico e quindi edilizio, con i resort costruiti nelle zone di maggior pregio ambientale, i campi da golf, i grattacieli. I giovani poco sanno o vogliono sapere della loro pur recente storia, coltivano il mito del motorino, possibilmente la Vespa, del cellulare di ultima generazione, dei locali dove impazza il karaoke.
Restano irrisolti molti problemi politici, sociali ed economici, dovuti soprattutto alle disuguaglianze anche territoriali, alla diversa concentrazione della ricchezza fra zone urbane e zone rurali. La povertà, pur in calo, è ancora un fenomeno presente e gli anziani, fatta eccezione per i dipendenti dello Stato, non usufruiscono di alcuna pensione. Sono inoltre ancora severe le pene per chi dissente pubblicamente dalle politiche governative. Oggi il nemico del Vietnam non sono più gli USA ma la Cina, di cui si temono le mire espansionistiche. Con gli yankee regna la pace e fervono gli scambi commerciali. Gli statunitensi sono una quota significativa dei turisti che annualmente visitano il Vietnam. Molti di loro sono reduci o figli di reduci della guerra che cercano una qualche espiazione per le atrocità commesse durante il conflitto. Il dollaro è la moneta che circola insieme al dong vietnamita, indifferentemente.
Su questi nuovi scenari aleggia ancora l’autorità morale di Ho Chi Min e risuonano le sue parole: “E’ il patriottismo, non il comunismo, che mi ha ispirato”.
Intanto, mentre in altri paesi si assiste al crollo del comunismo e prevale il modello capitalistico, i capitalisti occidentali guardano con attenzione al contesto vietnamita e augurano lunga vita al Partito Comunista di governo che garantisce stabilità politica e continuità nei rapporti rapporti commerciali.

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